Riportiamo la devozione nelle strade: il popolo ha bisogno di riappropriarsi dei suoi antichi riti
Perché è possibile andare a vedere una partita di calcio e non accompagnare una processione religiosa? La pandemia ha lasciato un vuoto profondo anche nei riti popolari. È arrivato il momento di ritornare alla normalità
CORIGLIANO-ROSSANO – Il 31 marzo terminerà lo stato di emergenza sanitario che per due anni, causa questa dannata pandemia, ha messo in standby la normalità della nostra vita. Ora è arrivato il momento di dire basta, di riappropriarci delle nostre abitudini, delle nostre usanze, dei nostri riti. E quale migliore occasione della Pasqua di Resurrezione? Quest’anno, questo giorno santo, così profondo e intriso di significati, che per il popolo di Corigliano-Rossano e dell’intera Sibaritide ha da sempre un valore profondissimo cadrà il 17 aprile. Perché, allora, non ripartire da questa Pasqua per tornare alla normalità tanto agognata e sperata. Perché in occasione di questa festa non restituire al popolo la sua pietas.
Le “congreghe” a Rossano, i “misteri” a Corigliano, i “vattienti” a Cassano Jonio sono da sempre e per tutte le generazioni di persone che hanno vissuto e vivono quest’area della Calabria, un appuntamento importante, imprescindibile, irrinunciabile che solo un evento funesto come la pandemia poteva congelare.
Sono questi momenti che rianimano la fede, che ci aiutano a rimanere ancorati alla memoria del nostro popolo e che consentono quel passaggio intergenerazionale che si sta perdendo. E quest’anno, ancor di più. In un momento così fragile per l’umanità, piegata da due anni di emergenza sanitaria e, oggi, dallo spettro di una guerra mondiale incombente, divampata proprio nel giardino dei nostri vicini.
Ritorniamo a vivere, per fede e tradizioni, i tridui della Settimana Santa.
Facciamolo, come lo fanno sull’altra sponda del Mediterraneo, in Spagna, a Siviglia dove le tradizioni in realtà, non si sono mai fermate (nemmeno in pandemia). Facciamolo con il profondo credo di vivere la vita, come collettività, e anche con la giusta dose di consapevolezza e prevenzione verso una malattia infida ma che dobbiamo imparare a sconfiggere riappropriandoci anche del nostro vissuto e della nostra normalità.
Del resto abbiamo avuto il coraggio, ma soprattutto il “permesso” (in un mondo che ci sta abituando pericolosamente a chiederlo per vivere le nostre libertà) di ritornare allo stadio a vedere le partite.
Perché da cittadini liberi non possiamo essere messi nelle condizioni di poter ritornare a vivere le nostre tradizioni?