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Il traffico di umani dall’Ucraina: vi raccontiamo il vero orrore che abbiamo visto

4 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO – Dopo due anni tosti di pandemia, chiusi in casa nel terrore di un virus sconosciuto e imprevedibile, a portare ombre e paura nella nostra primavera di rinascita ci ha pensato la guerra. Non una guerra come le altre. L’invasione Russa in Ucraina probabilmente segnerà uno spartiacque e un punto di non ritorno nella storia d’Europa. Una cosa però, nel nostro breve e intenso viaggio che abbiamo compiuto attraverso gli occhi e l’esperienza della nostra coraggiosa e intraprendete collega Francesca Sapia che è arrivata fino ai confini di quel conflitto, l’abbiamo imparata: in una guerra non ci sono buoni e cattivi. La guerra è l’abiura dell’animo umano. E non è un concetto filosofico tantomeno un’espressione da buonisti pacifisti. È così. Perché chiunque combatte sa di mettere a repentaglio la propria vita e quella di altri uomini.

La nostra trasferta, segnante, a Cracovia non è stata voluta per raccontare la guerra, tantomeno per “giocare” a risiko sulle cartine geografiche, come ormai fanno quotidianamente le tv nazionali ad argomenti unificati nel bombardamento mediatico della guerra, mentre la gente muore per strada. No, il nostro intento non era e non è quello. Siamo andati lì per raccontare le storie di chi scappa dalla guerra. Di chi da un giorno all’altro si è vista espropriata la sua casa, i suoi affetti da un missile piuttosto che da un carrarmato. Ed è questo, per noi, il vero orrore della guerra e di questa guerra che si sta combattendo in Europa.

In soli tre giorni abbiamo visto centinaia di migliaia di persone, perlopiù giovani donne e bambini, oltrepassare le frontiere vestiti di una tuta e di un giubbotto e, nei casi più fortunati, con al seguito una valigia. A sconvolgerci di più, però, è quello che abbiamo osservato una volta che questa gente arrivava “al sicuro”.

Un sogno, quello della libertà e della pace, che per molti diventa un incubo.

Abbiamo scoperto, infatti, che non tutti i corridoi umanitari che si trovano ai confini polacchi sono legittimi, sono sicuri. Noi abbiamo viaggiato con le corriere della Protezione Civile Italiana, che registra imbarco e destinazione di ogni singola persona che viene portata in salvo dai border verso mete sicure. Se non si ha la certezza della destinazione non si imbarca nessuno. Questo, ad esempio, è avvenuto per i circa 10 profughi che hanno viaggiato gratuitamente con noi fino a Corigliano-Rossano e che, una volta arrivati qui, sapevano già la loro meta.

Ma – dicevamo - non è per tutti così. «C’è gente che arriva fino ai confini – ci ha raccontato un volontario di protezione civile che in questi giorni sta lavorando sulle aree di confine tra Polonia e Ucraina - con la sola intenzione di lucrare sulla vita di questi poveri disperati. Un viaggio, in macchina o in autobus, dalla Polonia fino ad una qualsiasi destinazione dell’Europa può arrivare a costare fino a 2000 euro da pagare in contanti e in anticipo. E una volta arrivati in una destinazione ignota – ci dicono ancora – nessuno sa più nulla di questa gente». Se si considera, poi, che alle frontiere arrivano solo donne, spesso giovani, e bambini, il sospetto che possa palesarsi un vero e proprio commercio di vite umane diventa più che legittimo.

Il mercato umano di donne e bambini, l’incubo del commercio di organi e della prostituzione

Quella che vi raccontiamo è solo una parte (quella nota a noi dell’Eco) della storia. Una cosa che non è sfuggita agli occhi della nostra Francesca Sapia nei suoi giorni a Cracovia e poi vicina al border di Uhryniv, ad appena 100 km da Leopoli, è la storia drammatica dei più piccoli che non solo si sono trovati a giocare in mezzo alle bombe ma che oggi in quel loro cammino da profughi potrebbe celarsi un macabro destino. Sui muri della dogana spiccavano una decina di foto segnaletiche di bambini; dei quali, chi stava al di là della frontiera e li aspettava, aveva perso traccia. Spesso sono giovanissimi di età compresa tra i 6 e i 12 anni che vengono mandati da soli a salvarsi dalla guerra. Molti arrivano; di altri, invece, si perdono le tracce.

«Sul solo confine sud est della Polonia ad oggi non si hanno più notizie di almeno un centinaio di bambini». Ci dicono i volontari ProCiv. Che fine hanno fatto? Dove sono finite queste povere creature? Non azzardiamo alcuna ipotesi. Purtroppo non lo sappiamo. Purtroppo è difficile reperire notizie. Sappiamo, però, che ancora oggi in tantissime parti del mondo, dove non ci sono diritti e dove le regole del lavoro non esistono, i bambini rimangono uno “strumento” da impiegare, sfinire e sfruttare per la manodopera a basso costo e pericolosa. Ma non solo. Qualcuno ci ha aperto anche la prospettiva verso un altro e più orrendo baratro: quello del traffico degli organi o della prostituzione minorile.

C’è di più, abbiamo visto di più. Nelle stazioni ferroviarie o al confine, dicevamo, ci sono persone che intercettano profughi per dirottarli in Europa verso mete e destinazioni ignote. Si cercano giovani donne che da esseri umani diventano “merce” da impiegare nel mercato della prostituzione o nel lavoro nero.

Non lo sappiamo ma chiediamo a chi di dovere di intervenire presto, verificare e fare chiarezza su quella che alla fine del conflitto potrebbe rivelarsi una catastrofe umanitaria di cui nessuno adesso si sta occupando, presi come siamo dal sapere solo dove, come e quando cadranno le bombe; e se nel prossimo inverno potremo riscaldarci con il gas russo… E risuonano ancora le parole di una donna di Mariupol, la città ucraina diventata l’epicentro di questa guerra assurda, alla quale un giornalista freelance chiede: «Ma tu non hai pensato di andartene?» - E lei, guardandolo diritto negli occhi mentre si riscalda davanti a un fuoco acceso tra le macerie, gli risponde: «Dove? A chi serviamo?»

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.