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ARIE E RECITATIVI - Congedo

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È il sette di Novembre. Per un incastro di ragioni delle quali m’appresto a dare conto, l’Eco cessa quest’oggi di propagare la mia voce. Taccio perché sfiancato da un’insonnia cocciuta e trista al punto che l’ho chiamata Lilith. Era costei un mulìebre  procelloso demoniaccio di Mesopotamia, che Isaia (XXXIV) gentilmente porrà, per ira dell’Altissimo, a recar guasto agli idolatri insieme a spine e ortiche, sciacalli e struzzi, vipere, avvoltoi, gatti selvaggi, cani zannuti ed altrettali mostri. Per il Talmud, Lilith era la prima consorte di Adamo, la quale, ripudiata, intristì a mostro tenebroso, avversario dei bimbi e di chi dorme. Incapricciata del mio sonno, me lo strappa di dosso ogni notte per unirsi con lui in cento guise oscene. Nulla mi salva. Nemmeno la preghiera. Troverei quiete in un nettare che stilla nel Giardino d’Iddio da un frutto assai più casto di quello che ingolosì Eva antica, e che le nostre farmacie distribuiscono, previa ricetta, col prosastico nome di Benzodiazepina. Ma nessun medico più me ne prescrive, e a intenerire farmaciste che me ne facciano dono  segreto, non son più bravo neanche un po’. Non è però soltanto Lilith a prosciugare il rivo d’arruffato ingegno che la Sorte mi volle accordare. Ho sempre amato scrivere: con infocata, con divertita serietà. Ma dal Gennaio del 2016 ho scritto a non poterne più. Ho pubblicato infatti (promuoviamoci un poco!) una Storia del popolo albanese (Roma, Donzelli editore, 2018), una raccolta di liriche intitolata Patibolo (Cosenza, ilfilorosso editore, 2021), un centinaio di articoli su varie gazzette, cartacee e digitali; ho volto in endecasillabi sciolti la Phèdre di Racine; ho realizzato due altre raccolte di poesie; ho aiutato liceali e laureandi a fornir temi e tesi; ho ricolmato amiche e amici di versi e prose per WhatsApp; ho dato maggior corpo e forma nuova a una mia vecchia antologia di traduzioni da poeti arbëreshë, e ne è sortito un libro che Rubbettino editerà da qui a non molto con il titolo di Un quadrifoglio, verde tra le spine; ho composto, in italiano, albanese e francese, testi che alcuni cari amici han musicato e testi che altri e non meno cari amici di musicare hanno solo promesso... Il troppo è troppo, e non voglio forzarmi a cavar frasi da un calamaio secco. Infine, e fu posto in sinossi, temo di avere annoiato chi legge. Soprattutto per questo, oggi, 7 Novembre, mi congedo.

          Ma perché proprio oggi? Perché la sera del 7 Novembre d’un anno assai lontano, ritornando bel bello dalla passeggiata, un pavido curato fece un incontro molto brutto, e ne nacque una storia. Amo I promessi sposi dacché, ai tempi delle Scuole Medie, un professore ce ne narrò la trama. Ne citò un passo che diceva “Fate del bene a quanti più potete”, e sulla semiselvaggia ingenuità di quei miei giorni s’impresse un’orma che sarà più convinta del tempo e delle cose che in me faranno cumulo. Mi diedi a divorare il libro, ne gustai pure i passi che comprendevo male o niente affatto, e quando ritrovai la frase (XXIX) fu come aver ritrovato un amico, un sorriso, una guida, o la Verità stessa. Nulla dirò qui di Manzoni. Nulla del suo romanzo. Dico soltanto che chi mi è caro sa che la mia copia de I promessi sposi dovrà essere sepolta con me. Per tempo e tempo ho desiderato che la frase salvifica mi fosse incisa sulla lapide: Fate del bene a quanti più potete... Poi ho cambiato idea: sia perché sui marmi dei cimiteri bontà e virtù le si scrive d’ufficio, sia perché so di non avere fatto tutto il bene che potevo. Pensai pertanto a un’epigrafe buffa, nell’albanese del mio borgo, da corredarsi della sua brava traduzione. Per essa, morto burlone e saggio, sussurrerei a chi passasse innanzi al mio sepolcro: U e di pse ti je qeshen (“So perché stai ridendo”). Parlai del mio progetto a arcinobili amici di Terranova da Sibari, che mi indirizzarono a un lapicida di Spezzano Albanese, abile alla bisogna. Giacché errore e ritocco incombono su ogni atto scrittorio come l’asma al respiro, la cataratta all’occhio, l’Altro al posto dell’Io, pensai di correre a Spezzano, che dista molto poco da Terranova, far dare avvio al lavoro, e seguirne ogni fase dappresso, perché errore o ritocco non maculassero le mie parole estreme. Sarei tornato al mio villaggio con la mia brava lapide incisa del mio nome, della data di nascita e, dopo lo spazio nudo per quella del trapasso, della frase: albanese e tradotta. Ciò progettavo a Terranova; ma s’era ai primi dì del Marzo del 2020, e la minaccia della peste mi fece correr via: non già a Spezzano a caccia di marmisti, ma a rintanarmi in casa: senza lapide, e con nuovo inopinato intensissimo rischio di morte.

          Addio, benevolo lettore! Ringrazio te, nonché i trisarcangelici Alessandra Mazzei e Marco Le Fosse, architrave e colonna dell’Eco dello Jonio, con me benigni e del mio scritto rispettosi. Chi ha nausea delle mie frasette, chiuda il computer, getti il cellulare, prenda in mano il romanzo, legga o rilegga la storia di Renzo e di Lucia con ansia umile e vera, e mi ringrazi: soltanto in ciò lo merito! Vivi sano e sereno, lettore ignoto e fraternissimo! Un giorno, forse, vanìta in te la noia e in me sterilità e stanchezza, ci si ritroverà su codeste colonne, lieto io di avere scritto frasi nuove, tu generoso a leggerle!

          È la sera del 7 Novembre. Esco a passeggio, e chissà che pur io non incontri qualcuno: magari un grande dio dell’anima, il padrone e signore dell’ultima scena, il quale, indifferente al fatto che, pensosa o buffa, la mia lapide ancora non sia stata incisa, mi palesi il suo volto, mi ghermisca, mi porti via per sempre.

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.