ARIE E RECITATIVI - Incrostazioni, vuoti e lampi: Alceo e Saffo
Un’isola, una città, un tempo assai remoto, un poeta, una poetessa, un’ansimante proposta traduttoria
Stupore, solo se scevro di ovvietà; sete che si rinnova; polla ogni volta ricca e pura. Nostra la sete, nostra la meraviglia – spero sapida; la polla, la Poesia dei Greci. Attingerò da Alceo e da Saffo, qua e là da quel poco che resta. Vissero entrambi a Mitilene. Alceo vi era anche nato. La loro lingua, e cioè l’eolico di Lesbo, baritona, psilòtica, ricca più di α (alfa) che di η (eta), mi è sempre stata cara. Chi ignora il greco (non è colpa, cazzo!) salti gli strani segni e sappia che li adopero perché nel mio computer espertissimi amici hanno appena installato il magico alfabeto, e le mie dita fremono! Soprattutto su Saffo fece crosta negli anni e nei secoli un ruminio di distrazioni, di frettolosità, di leggende: Saffo non canta che d’amore, e di quel tipo che da lei prese il nome; Saffo sgraziata nell’aspetto, suicida poiché amava Faone di amore vano e disperato; Saffo amata da Alceo, che la canta… Inoffensive, leggiadre leggende: convivano in letizia assieme a ciò che gode crisma di certezza. E certezza è che Saffo, di nobili natali, fu a capo di un tìaso, collegio in cui le fanciulle apprendevano l’arte del canto, le leggi dell’amore, i modi eletti, e quanto occorre a diventare un giorno spose e madri. Vi apprendevano pure a sfogare con grazia la stizza verso gli altri tìasi, e a sprezzare le donne plebee o comunque rozze. Saffo aveva marito, e una figlia. Ebbe fratelli, uno dei quali commise in Egitto disonoranti birbonate, e cui lei dedicò un augurale canto di ritorno. Politico e guerresco il circolo (eteria) di Alceo. Aristocraticissimo, il circolo è molto coeso. Il simposio ne è momento forte. Bere è addolcirsi, ma è anche stringere i legami. L’inesausto elementare odio di Alceo per l’αἰσυμνήτης (sorta di re elettivo e pro tempore) di turno, si chiami Mìrsilo, si chiami Pìttaco, gli costerà più volte l’esilio. Fu esiliata una volta anche Saffo. Questo fu il loro mondo; brutale e perciò erroneo sarebbe però un rigido nesso di causa tra esso e i loro versi: la realtà traccia i sentieri, ma chi vi transita lo fa a modo proprio.
Ai frammenti tradotti si verrà dopo un po’ di noiose saltabilissime premesse. La franta esiguità del testo di partenza potrebbe aver forzato le mie traduzioni a coincidenze del tutto fortuite con traduzioni altrui. Se è, ne chiedo scusa. Se poi è vero che il μελλιχόμειδε Σάπφοι del frammento 384 Voigt va letto μελλιχόμειδες Ἄπφοι o addirittura Ἄφροι, non è di Saffo che Alceo parla, ma di chissà chi. Per puro amor di suggestione ho seguitato a credere, nella versione che propongo, che di Saffo si tratti – né è detto che così non sia. Sempre di Alceo, il frammento 208 Voigt è noto come “Allegoria della nave”. Che offrendoci l’immagine di una nave in balia di venti in lotta il poeta intendesse dire di Mitilene in preda a torbidi politici che poco gli garbavano, fu il grammatico Eraclito a segnalarlo. Conosceva, presumo, il testo intero. Personalmente, non amo in sé l’allegoria. La trovo fredda, macchinosa. Pure, per via d’allegoria la Poesia d’Occidente ha germinato fiori altissimi. Qui, una lettura letterale ci trascina in un mare in tempesta, e cento simboli zampillano, mentre l’allegoria ti blocca a una significazione seconda, e solo ad essa. Al (mutilo) frammento in questione, Ernst Diehl (fr. 46 a-b Diehl) giustapponeva un altro che lo completa e chiude. Diehl stesso aveva magistralmente (ma anche giustamente?) integrato il frammento 94 Voigt di Saffo, sminuzzatissimo da un certo punto in poi (fr. 96 Diehl). Diehl morì nel 1947. Dei lirici di Grecia si fecero da allora altre e forse più agguerrite edizioni, tra cui, appunto, quella di Eva Maria Voigt, che proprio su Saffo e Alceo puntò la lente. Qual è più certa? Fingendo di sapere quel che non so farei salotto. Mi sono attenuto alla più vecchia, e cioè a quella del Diehl, solamente per ansia di completezza. In essa, Diehl colma una lacuna integrando παρ[α K]α[γγ]ονων (“dai Càngoni”), semifantomatico popolo dell’arciraffinata Lidia, produttori e mercanti di morbidi giacigli e soavi tappeti. Rincorrendo chiarezza e eufonia ho preferito, nella mia versione, non nominare i Càngoni ma la Lidia stessa, terra invero in contatti non solo commerciali con la vicina Lesbo. Quanto all’edizione Diehl della cosiddetta “Allegoria della nave”, l’ho infarcita di alcuni versi contemplati dall’edizione Voigt. Confessato il rammendo, ecco i testi!
Alceo, fr. 46 a-b Diehl: Non afferro la zuffa dei venti. / Qui si solleva un’onda, / là un’altra, noi nel mezzo / sbattuti con la nera nave / che l’aspra tempesta percuote. / L’acqua sale, già tocca / la base dell’albero, lacera / pende la vela in vasti brani, / lenti sono gli stralli, / mentre il timone… / Strette però alle funi, / salde entrambe le scotte: / ciò solo salvi pure me. / […] il rollio delle onde, impetuoso, / scagliò il carico in mare. / Dicono che percossa / dai flutti, più non voglia / lottare col diluvio / né con l’aspra tempesta, / e si vada a sfasciare / contro uno scoglio ignoto. / È così, amico. Ma io non curo / tali cose, e vorrei solamente / gioire insieme a voi, / bere ancora con Bìcchide.
Fr. 332 Voigt: È l’ora di ubriacarsi, e beva ognuno / a forza, poiché Mìrsilo è crepato!
Fr. 347 Voigt: Bagna i polmoni con il vino: l’astro / compie il suo giro, arida è l’ora, tutto / asseta la calura, la cicala / canta dolce dai rami, il cardo è in fiore, / più lascive le donne, sfatti gli uomini, / poiché Sirio i ginocchi e i crani infoca.
Fr. 348 Voigt: Fu per plauso comune che l’imbelle / sciagurata città si diede in mano / a Pìttaco il bastardo.
Fr. 384 Voigt: Crine di viola, pura, dolceridente Saffo.
Saffo, fr. 5 Voigt: O Cìpride, o Nereidi, concedete / che sano torni a me il fratello mio / e si compiano tutti i desideri / che nutre in cuore. // Sia sciolto in nulla ogni suo fallo antico, / gioia agli amici sia, e sia disgrazia / agli avversari, e noi non colga mai / affanno alcuno. // Voglia che sia compagna d’un più grande / onore la sorella, e le aspre pene / sofferte […]
Fr. 55 Voigt: Tu morrai per giacere. Traccia alcuna / mai rimarrà di te, che non cogliesti / mai rose di Pieria. Via da qui / sarai volata, e vagherai per l’Ade / non veduta, tra fosche ombre di morti.
Fr. 130 Voigt: Eros che disfa i corpi, nuovamente / mi scuote, invitta belva dolceamara. / […] / Attide, il mio pensiero ti divenne / insoffribile, e voli verso Andromeda.
Fr. 132 Voigt: Ho una bimba bellissima, ricorda / un fiore d’oro, Cleide amata: io / non la darei in cambio della Lidia / tutta, né della splendida […]
Fr. 96 Diehl: Voglio davvero essere morta. / Lei lacrimando mi lasciava. / Mi disse anche così: / “Ahi, Saffo, quanto amare / le pene nostre. Non voglio lasciarti”. / E io le rispondevo: / “Va’, sta’ sana, ricordati / di me. Lo sai, ci fosti cara. / Pure, voglio farti tornare / in mente […] attimi belli, / e le tante corone / di viole e rose e croco […] insieme / […] a me accanto cingesti / e innumeri ghirlande / di fiori al delicato / collo rattorte. / Ti ungevi tutta di prezioso / unguento, di balsamo regio, e sulle molli / coltri di Lidia davi pace / al desiderio di fanciulle, / e danza o fonte / sacra di pure acque / mai ci ebbero assenti, / né bosco dove in primavera / non riecheggiasse suono / di cetra o canto di fanciulle”.