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L'atto scrittorio è sempre insieme timido e sfrontato. Tre ne sono i momenti essenziali: l’autore, lo scritto, il lettore. Necessarissimo, ma non consustanziale all’atto, è l’operato della casa editrice o della gazzetta che ti ospita. Vi è pure il revisore, nei domini dell’atto scrittorio: da ringraziarsi quando con occhio attento individua e segnala sviste, goffaggini, incongruenze, e con fattiva umiltà propone i suoi rimedi; da fuggirsi e deridersi quando, per ossequio alla prassi e per paura di irritare quel lettor medio che, essendo un’astrazione, non esiste, banalizza lo scritto e insulta l’umana dignità dell’autore. Soltanto perché certo di non rischiare questo secondo (patologico) aspetto della cosa, prendo con gioia a fornire elzeviri a L’Eco dello Jonio. Lo farò ogni due settimane: sia perché le poche e cieche idee turbinantimi in testa m’impongono tempi assai lunghi a scodellar focacce appena commestibili; sia perché i tempi in questione permetteranno al lettore, non solo di decantarsi della noia patita leggendomi, ma anche di scordarsi di averla patita.

Sfrontato e timido, comincerò quest’oggi col fornire risposta alla domanda che funge da titolo. Arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, nacqui a Cosenza nel 1966; ho collaborato e collaboro con varie gazzette, cartacee e digitali; nel 2014 ho pubblicato, a mie spese, Un giovane trifoglio tra le spine. Meditazione sull’albanesità, raccolta di traduzioni da poeti italoalbanesi; per l’Editore Donzelli è uscita, nel 2018, la mia Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri; nell’appena trascorso Febbraio, per le Edizioni ilfilorosso, è diventata libro una mia vecchia raccolta di liriche avente a titolo Patibolo; contento solo in parte delle mie traduzioni dall’arbërìshte (è la lingua degli Italoalbanesi), ho di recente ampliato e riscritto il libricciolo che pubblicai nel 2014, plasmando un testo quasi tutto nuovo: se vedrà luce d’edizione, i pochi cui dovesse importare ne saranno per tempo informati. Richiesto di corredare questo scritto d’una immagine, ho scelto la foto che ho destinato alla mia lapide. L’operistico titolo della rubrica (Arie e recitativi) viene dal fatto che alle diastoli discorsive (recitativi) mi proverò a giustapporre sistoli liriche e intensificazioni di concetti (arie). Sperando in Dei benevoli con il progetto e in lettori magnanimi col risultato, spicco ora un salto brusco soltanto in apparenza.

Quando, dalla Cina, l’influenza da Covid 19 prese a onorare i lidi italici, composi, a conforto degli amici, una filastrocca. Passò del tempo. Me ne chiesero un’altra. Li accontentai. Nell’imminenza della Pasqua, infine, scrissi e diffusi su Whats App una lirica ben altrimenti pensosa, intitolata Pasqua 2020. Nel Novembre dell’anno passato le raccolsi e proposi ai lettori de Le nuove ere, ricca e bella gazzetta digitale che generosa ha accolto (e accoglie) molti miei contributi. Giacché il morbo non s’è stancato di infuriare, e quasi a cesellare questo autoritratto, offro le prime due ai lettori de L’Eco. Mio disegno era stato di aggiungervi anche la terza, ma un Angelo del Buon Consiglio m’ha convinto a serbarla per la Pasqua che già s’intravede: mesta come quell’altra, e palpitante d’una speranza innervata di un più protratto e più intenso dolore.

Prima filastrocca: Chiaro, limpido, palese: / tra noi giunse la cinese! / Chi entro casa sta tappato, / chi va in giro mascherato; / chi dagli altri sta discosto, / chi tossisce di nascosto. / A fugare i tempi oscuri, / chi fa preci e chi scongiuri. / Alla Scienza il tal s’aggrappa, / l’altro al vino od alla grappa. / Chi ce l’ha con il Governo, / chi col diavolo o con Dio; / chi (travaglio antico, eterno!) / con la suocera o lo zio. / Io, pauroso per natura, / nulla temo e nulla peno. / Passerà la ria ventura, / splenderà vasto il sereno. / Pulserà la vita invitta / dall’androne alla soffitta! / Come inganno questa attesa? / Per nessuno è una sorpresa: / io consumo senza smacco / monti e monti di tabacco!

Seconda filastrocca: Voi mi chiedete versi, amici cari, / perch’io vi allieti in questi giorni amari. / Li pretendete buffi perché il riso / zampilli come un breve paradiso. / Vi dirò chiaro chiaro quel che sento: / come può dare luce un lume spento? / Spento, sì, poiché secca è la mia vena; / scrivo, ma scrivocose che fan pena; / scrivo, se mi chiedete una tal gioia; / questa, però, fa rima qui con noia. / Che posso far se tutto è una laguna? / se il cielo è senza stelle e senza luna? / se, come tutti, giaccio in imbarazzo? / se, come tutti, mi son rotto il cazzo?

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.