di Josef Platarota «
La democrazia si misura dal lavoro e dall'evoluzione della giustizia sociale che riesce a mettersi in pratica». Un po’ Giuseppe Di Vittorio e un po’ Gilles Deleuze, Aboubakar Soumahoro - sindacalista USB attivo soprattutto nella Piana di Gioia Tauro - si è presentato a Corigliano Rossano, nella sede dell’associazione culturale Terra e Popolo, per portare la voce degli ultimi, dei disillusi e sfruttati del grande macello che è diventato il mondo del lavoro. E non fa differenza la provenienza geografica o la pigmentazione della pelle: «nei cicli produttivi, qualsiasi essi siano,
vi sono delle preoccupanti disarticolazioni umane ed affettive. Si diventa, senza saperlo, schiavi del lavoro». Il paradosso di non riuscire ad evadere dalla catena di montaggio che ti accompagna nella vita di tutti giorni, persino nella famiglia e negli affetti. Souhamaro viene dall’Africa e ha scoperto in Europa tante cose. La prima che il freddo fa uscire nuvole di fumo dalla bocca, poi che – per pudore - le persone si vergognano di ammettere di non possedere cibo per la propria famiglia e che i proletari africani non vivono nelle metropoli ma nelle campagne, che siano calabresi o pugliesi, poco importa.
Ma si è anche reso conto, da sindacalista di base, che la disperazione si può trasformare in speranza. La sua Africa non è conforme alla Calabria ma ha dei punti di contatto: «quando si parla di Meridione si parla di rassegnazione e di fuga. Gli ultimi della terra.
Ma è possibile creare comunità, perché la felicità non è mai singola ma è collettiva e deve risplendere negli occhi dei diseredati». E dentro quelle barche bisognerebbe cercare po’ di tutto: chi scappa dalla guerra e chi vuole un futuro migliore, e può avere l’accento Swahili, crotonese o messinese. Dentro le carrette del mare, come avrebbe detto un eroe caro al Sindacalista ivoriano, viaggiano chi hanno conosciuto le ironie e gli insulti subìti mattina, pomeriggio e sera perché negri, sentirsi ricevere sempre del tu - non da amico - ma solo perché il Lei era destinato solamente ai bianchi.
Insomma dentro ci sta la stragrande maggioranza del capitale umano che anima i sud. Ma i colori, come le razze, non esistono e il mondo si deve dividere tra chi sfrutta e tra chi è sfruttato. Anche se si parte con comodi pullman e si entra in Metropolitane tirate a lucido rispetto che furgoni fatiscenti: «Sono tutte persone che provano forme di privazioni e di bisogni. Essi - parlando sempre al plurale - sono anche i nostri giovani ricercatori che non hanno stabilità lavorativa. Sono quei giovani impiegati in vari settori. Sono quei tanti giovani che agiscono nell’ambito dell’informazione e del giornalismo che lavorano a cottimo.
Insomma persone che continuano a non avere la sicurezza e la stabilità del rapporto di lavoro e non hanno nessuna forma di garanzia». Umanità in rivolta, come il titolo del suo libro: «il mio stato d’animo – e lo dice con una sorta di malinconia - è di chi ha sete di vedere le persone libere e piene di dignità».
Se qualcosa può lasciare una riflessione allora si affermi di vivere la vita con la vita, con la libertà dal lavoro e non occupazione sul lavoro. La strada per la libertà dallo sfruttamento è davvero un sentiero in salita se non si mettono in ordine i concetti. Intanto, buon viaggio Aboubakar.