9 ore fa:"Festa nella Luce" per il centro storico coriglianese
2 ore fa:Noè: «Fondamentale rimanere vigili sui diritti acquisiti il 10 dicembre del 1948»
8 ore fa:Pubblicato "U ricch e ru pezzent", il nuovo disco del rossanese Carlo Lucisano
3 ore fa:Stasera, nel centro storico bizantino, la presentazione del libro di Pasquale Caruso
6 ore fa:Disposti i domiciliari per due giovani di Cassano accusati di aggressione ai danni di due extracomunitari
5 ore fa:Luigi Minnicelli, il carbonaro rossanese protagonista nell’impresa dei Mille
23 ore fa:Il Vice Ministro Cirielli ha apprezzato la concretezza dei laboratori avviati in Togo
43 minuti fa:Presentata a Castrovillari la mostra "Sub tutela Dei" dedicata al Beato Livatino
3 minuti fa:Incidente in Basilicata: muore una donna di Laino Borgo
2 ore fa:Colto da infarto, manca l'anestesista al Chidichimo e l'uomo muore

Verba Volant - La meraviglia di raccontare il mondo danzando

2 minuti di lettura

Sono alla III Edizione di Nutida, un festival di danza ispirato alla relazione con i luoghi e i suoi abitanti, che sostiene nuove generazioni di danzatori. Sono nel Giardino del Castello dell’Acciaiolo, a Scandicci, una bomboniera naturale che diventa il palcoscenico perfetto per lo spettacolo che sto per vivere.

Il titolo è Midnight Youth, sulle musiche di Bradford Cox, con la coreografia di Philippe Kratz, ballano Cristina Acri, Matteo Capetola, Matilde Di Ciolo, Veronica Galdo e Niccolò Poggini.

C’è sempre un momento di silenzio particolare, prima di una grande performance. Succede nei concerti, nella musica colta ma anche negli altri generi. Succede ai più grandi. Pearlman, Gardel, Frank Sinatra e potrei continuare.
Succede perché viviamo di luci e vibrazioni.

Quando anche l’ultimo raggio arancione del sole che tramonta dietro gli alberi, ha accarezzato di luce i volti dei presenti; quando nell’aria si sente la vibrazione dell’attesa; quando i ballerini aprono gli occhi, allora tutto inizia.

Per la prima volta nella mia vita mi trovo in difficoltà a raccontare. Quello che succede è troppo raro per la mia penna. L’unica cosa che mi vien da dire è che ho rivisto la mia vita in una serie di movimenti che non riesco a definire.
Ho ritrovato un senso di scomodità nel mondo, una difficoltà a trovare il posto giusto in cui sentirsi liberi; sono stato accarezzato dalla sensazione fugace dell’abbraccio di chi ti sta vicino, che guarda verso il tuo stesso futuro. Ho visto allo specchio l’ossessione di tirare la fune della propria ambizione, lasciando fuori dalla bolla della vita anche chi prova a sostenerti. Ho sentito la leggerezza di un corpo che cade senza far rumore e la pesantezza di un fisico immobile nel disagio della sua posizione.

Ho visto l’ultima falange di una mano muoversi in sincrono ad un beat. Ho sentito il movimento di una costola che si allinea e si disallinea con lo sterno, così come un musicista crea e armonizza la musica allineando suoni.

Ho avuto la sensazione di vivere sott’acqua osservando il movimento denso di un braccio che disegna un cerchio. Sono stato nelle profondità del mare, soffocando, per ritrovare l’ossigeno all’ultimo secondo, grazie all’ultimo colpo di pinna, all’ultimo blocco.

Sono stato la foglia di un albero che vive nel soffio del vento, a contemplare il movimento che diventa vita e non solo bellezza; non più semplicemente la costruzione del verso, ma la verità della prosa. Non solo la nobiltà agghindata, ma la carne della miseria.

Forse sta proprio in quell’intenzione la vera bellezza: nell’inclinazione di non camuffare, di non aggiungere orpelli, ricami, ghirigori; di raccontare quello che c’è, da cui a volte ci nascondiamo; nell’essere realisti e non barocchi, interpreti ma non drammatici.

Sarebbe bello capire di più, star più dentro alla tecnica, sbrogliare la matassa e ricostruire il percorso. Dallo sgorgo del fiume nel mare, risalire fino alla sorgente. Capire come hanno fatto, i cinque danzatori e il coreografo di fama internazionale Philippe Kratz, a respirare in esatta sincronia con il mondo.

Eppure è già tutto splendido così. Anche da incompetenti.
E forse questo è il senso più grande, la missione dell’artista: arrivare a chi non sa; aprire cassetti della memoria, buttare in aria ricordi, come quando ritrovi oggetti che non ricordavi più di avere; buttar giù muri e far vedere orizzonti, panorami, tramonti.

Non si può più scappare dalla generosità di chi racconta, con i movimenti, con le idee o con le parole; così non mi resta che chiudermi in un sommesso pianto di commozione e gratitudine, che mi ha ricordato quanto ancora c’è da vedere, da vivere e da scoprire. Quanto fascino e quanta vita spero di poter raccontare.

Oppure, semplicemente, ho vissuto la sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze, e tutti i puntini potrebbero unirsi.

Andrea Costantino Levote
Autore: Andrea Costantino Levote

Andrea Costantino Levote nasce come giornalista sportivo. Frequenta il corso di Reporting alla Scuola Holden, ma si imbuca anche alle lezioni di Cinema e di digital marketing. Vince il Premio Phoebe di Scuola Holden con il teaser Democracia. Racconta i ritratti dei giornalisti sportivi che lo hanno ispirato nel podcast "I Cantastorie", all'interno del programma Eutropia su Spotify. Diventa CEO di Jugaad Produzioni e con il cortometraggio FAME vince diversi premi internazionali, oltre a una menzione speciale al festival Ermanno Olmi. Oggi è CEO e founder di DIEZ- CREATIVE AGENCY, agenzia di comunicazione con la quale racconta il talento, occupandosi del digital marketing di start-up e di imprese.