Verba Volant- Il marketing che non c'è
Non pensavo di scrivere di marketing su Verba Volant, ma una riflessione profonda è necessaria. Parliamo di marketing, sperando di tracciare una rotta, che non sia "seconda stella a destra, fino al mattino, questo è il marketing che non c'è".
Ero convinto, almeno fino a ieri, che oggi avrei scritto un pezzo sull'importanza della salute mentale, perchè è nata una nuova pagina instagram che fa cultura proprio su questo tema, ancora pieno di tabù e cose non dette. Così ho passato la settimana a prepararmi, fino a quando ho letto il pezzo del direttore dell'Eco dello Jonio, nel quale si parla di marketing. O meglio, dell'assenza del marketing.
Se non lo avete letto, potete recuperarlo qui.
Marco ha aperto una discussione su un tema centrale per il nostro territorio e io non potevo restare indifferente. Così ho stravolto i miei piani e ho deciso di "metterci il carico". Lo faccio senza presunzione, ma mettendo sul tavolo le mie esperienze e i miei studi, oltre che il mio lavoro.
L'ho scritto più di una volta, ma sono costretto a scriverlo ancora: la nostra terra affida agli altri la propria narrazione, abdicando completamente alla responsabilità di raccontare se stessa. La diretta conseguenza di questa scelta è la fortificazione degli stereotipi, perchè qualcun altro racconta sostituendosi ai narratori che non ci sono o che non sono messi nella condizione di raccontare.
Marketing è una parola che nell'immaginario comune probabilmente si lega più al rientro economico che alla bellezza, ma in realtà va intesa come la capacità di creare fascino intorno ad un luogo, o ad un prodotto, o ad un evento. Questo interesse si trasforma successivamente nella capacità di generare economia.
Serve organizzazione, capacità narrativa, visione, talento, investimenti economici e fiducia. Non è semplice, ovvio, ma questo non è un motivo per restar fermi a guardare le opportunità che ci scivolano via dalle mani.
Sulla mia strada ho avuto la fortuna di incontrare uomini che si sono dedicati a creare bellezza scrivendo campagne pubblicitarie, Paolo Iabichino è uno dei nomi che mi piace sempre fare, perchè mentre io scrivo questo pezzo, lui firma la campagna pubblicitaria che racconta l'Italia nel mondo, con il Ministero del Turismo. Lo fa scattando foto, registrando video, mettendo insieme luoghi meravigliosi e iconici e talenti straordinari. Così Bolle viene fotografato mentre balla al Colosseo.
E noi invece a che punto siamo?
Siamo spettatori di uno spettacolo improvvisato che non è ancora iniziato, che cerca la strada per arrivare, ma che alla fine si riduce sempre al solito tragitto: seconda stella a destra, fino al mattino, questo è il marketing che non c'è.
Una cosa è chiara però: qualcuno che ha visto il mondo sta ritornando, parla la lingua del futuro e si muove con i tempi digitali. Queste persone, nelle quali mi inserisco volentieri, tornano per fare, creare e anche raccontare. Così la responsabilità del racconto viene lasciata agli imprenditori, ai narratori autonomi, ai social media manager, ai videomaker, a chi sa usare anche i social.
Ma questa non può e non deve essere la prassi. Non può e non deve essere il metodo. Non può e sicuramente non sarà la soluzione.
Chi racconta ha bisogno di relazioni, strutture, fiducia, strumenti e se non si creano delle situazioni in cui chi racconta può farlo al massimo delle sue potenzialità, resteremo sempre la terra troppo lontana da raggiungere, o peggio ancora, sconosciuta. Se i nostri ristoranti non sono messi in condizione di aprire prima, perchè non siamo in grado di attirare turisti, saremo destinati al declino. Se ai giovani dovremmo sempre insegnare cosa dire, senza ascoltare mai cosa hanno da dire, non miglioreremo mai. Se continueremo a pensare che chi lavora con i social fa semplicemente "foto col telefonino", non riusciremo mai ad attirare i turisti del fututro.
Non credo che guardarsi intorno e pensare di essere meglio sia abbastanza.
Chi fa meglio di noi semplicemente si racconta meglio.