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Verba Volant- L’arte della cucina

4 minuti di lettura

Ho pensato più volte a cosa fosse degno di essere definito arte, che è la parola del Verba Volant di questa settimana. Mi sono dato risposte emotive diverse molte volte, che per mia fortuna non si escludono a vicenda: per me è arte Gabriel Garcia Marquez che racconta l’anima di Isabel attraverso la pioggia che cade; per me è arte Gianni Brera che fa la parafrasi di Leopardi per raccontare un gol di Pelè; per me è arte Caravaggio che ti scuote con la luce e con il buio; per me è arte Beethoven che inventa la musica classica che noi conosciamo oggi; per me è arte mangiare un piatto che ti permette di scoprire il vero sapore delle cose del mondo e l’ho capito solo dopo aver conosciuto la chef Melania Luberto.

Lasciamo da parte Masterchef, i voti che possono ribaltare la situazione, i litigi tra ristoratori e tutte quelle cose che siamo abituati a sentire. Andiamo oltre. 

Questa non è una recensione o un pezzo di critica culinaria, non ne sono capace. Magari lo fossi. Viaggerei in giro per il mondo a scoprire nuovi gusti, avrei una scusa per il sovrappeso e sarei pagato per “appoggiare” ad un buon pezzo, un buon vino. Oggi scrivo con un’altra speranza: quella di creare bellezza intorno ad un mestiere ormai “pop”, che si può scegliere per visione o per esigenza. Ci vuol poco però per capire chi sceglie di essere Chef e chi invece sceglie di spadellare.

SenzaNomeSiamo è il nuovo ristorante di Melania Luberto, giovanissima chef rossanese, dalla gavetta stellata. Dopo aver frequentato la scuola di Gualtiero Marchesi, dopo aver fatto stage in tre stelle e soprattutto dopo aver avuto la possibilità di mettersi alla prova nella cucina de La Tavernetta, Melania ha deciso di iniziare la sua avventura personale. 

Idee innovative, ingredienti di qualità, tanto studio, uno staff giovanissimo e la voglia di non farsi chiamare chef durante il servizio. Questa è la prima vera ricetta, per costruire un piccolo angolo di mondo in cui lavorare bene per inseguire un sogno. 

Melania mi propone un menù al buio. Accetto con fiducia e curiosità le otto portate. 

Vi farò un piccolo spoiler: non vi racconterò tutto il menù.

Posso dirvi però che si inizia con un’idea del gusto che ricorda un Caravaggio. Il buio e la luce non sono semplicemente uno strumento dell’arte, ma sono elementi di esaltazione dello sguardo. Con lo stesso criterio la Chef abbina verdure e pesce come Caravaggio usa buio e luce. La verdura crea il presupposto emotivo per esaltare il sapore del mare, delicato ma profondo, come il fascio di luce che Caravaggio usa nella Vocazione di San Matteo.

Poi arriva un panino. Si, un panino. 

L’emblema dello street food si trasforma in una portata da menù degustazione. Mantiene però la stessa percentuale di godimento data dall’uso delle mani, perché un panino si può mangiare solo così! Un tocco di gioventù, che non ti fa sentire imbalsamato in una tovaglia lunga e non ti mette a disagio. Come il gesto di un amico che ti invita a casa per cena mettendo una mano sulla spalla. 

Al primo morso capisci subito che la cucina è un viaggio e Melania deve aver conosciuto il mondo e vuol farlo conoscere anche ai suoi ospiti. Nel panino c’è una nota di Giappone, che taglia l’aria come un samurai antico.

La cena continua con polpo, baccalà, peperoni, carote, sedano.

Così tra questa immensità s’annega il pensier mio.

Tutto ha un sapore diverso. 

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Quando Mattia, il giovane direttore di sala, sorridendomi, mi dice che sta per arrivare il pezzo forte, ci credo a fatica, ma perché mettere limiti all’arte. 

Come vedere il Brasile del ‘70 segnare l’ennesimo gol. Non sarebbe necessario, ma questo non lo rende meno emozionante. D’altronde parliamo di arte contemporanea in movimento. 

Così come l’ennesimo gol, arriva il risotto. 

Questo non posso tenerlo segreto: tartufo, nocciole e ostriche ghiacciate. 

Sembra la musica di Beethoven. Mi spiego meglio: prima di Beethoven la musica classica era una musica d’arredo, pensata e suonata per il divertimento dei ricchi. Per stare fuori dal corpo di chi ascolta. Beethoven rompe i confini di chi ascolta. La musica classica, quella che conosciamo e intendiamo noi oggi, nasce là. Nel preciso momento in cui un artista decide di sconvolgere l’anima, di creare movimento emotivo, una danza interiore, che a volte si può tramutare in battaglia. 

Se decostruiamo la Sinfonia numero 5 in Do Minore, tutto questo processo appare evidente. Beethoven dà inizio al tutto con una precisa molecola musicale, come Melania fa con il profumo; quel ta ta-ta- dan che viene ripetuto, come l’odore di mare che ti arriva come la brezza marina in spiaggia; poi rinforzato, con il tartufo, poi girato in modo asimmetrico, aggiungendo la sincope, come un battito del cuore che salta, come un elemento di imperfezione nella linea ritmica, poi ti mette a tuo agio con un momento di pausa e poi arriva la grandezza del gusto.  La musica di Beethoven rompe i confini della sensibilità dell’uomo grazie ad una incredibile architettura della forza musicale, perchè senza paura l’artista conquista il centro della tastiera e vola, aggiungendo velocità, bassi e ritmica, poi lampi di acuti, squilli di tromba che squarciano il cielo e tutto si unisce in un miscela di note ed emozioni. 

I piatti di Melania seguono lo stesso principio: non sono l’arredo di una bella serata, ma entrano dentro come una musica, ti fanno riflettere come un quadro, ti sorreggono come un libro, poi arriva la grandezza. Il sapore portato all’estremo, la scoperta degli odori come squilli di tromba e tutto si riunisce in una mantecatura all’onda di ciò che resta: un piatto vuoto e una sensazione di scoperta. 

Andrea Costantino Levote
Autore: Andrea Costantino Levote

Andrea Costantino Levote nasce come giornalista sportivo. Frequenta il corso di Reporting alla Scuola Holden, ma si imbuca anche alle lezioni di Cinema e di digital marketing. Vince il Premio Phoebe di Scuola Holden con il teaser Democracia. Racconta i ritratti dei giornalisti sportivi che lo hanno ispirato nel podcast "I Cantastorie", all'interno del programma Eutropia su Spotify. Diventa CEO di Jugaad Produzioni e con il cortometraggio FAME vince diversi premi internazionali, oltre a una menzione speciale al festival Ermanno Olmi. Oggi è CEO e founder di DIEZ- CREATIVE AGENCY, agenzia di comunicazione con la quale racconta il talento, occupandosi del digital marketing di start-up e di imprese.