La Sibaritide terra florida e centro del Mediterraneo. Come immaginare un futuro sostenibile?
Della visione e delle idee necessarie allo sviluppo dell'intera piana ne abbiamo parlato con l'ingegnere Nilo Domanico, ospite all'Eco in Diretta. La nostra storia, un punto cruciale da cui ripartire
CORIGLIANO-ROSSANO - Come pensare e immaginare il futuro di una terra potenzialmente ricca e florida ma di fatto ancora lontana da sé stessa? I modelli territoriali contemporanei “di successo” tendono ad offrire una visione ultra urbanizzata dei centri, piena di strutture attrattive e avveniristiche, che offrono la possibilità di dare sfogo a qualsiasi desiderio ma che finiscono per produrre stili di vita inumani. Come immaginare quindi uno sviluppo dei territori sostenibile?
Per parlare di questi temi abbiamo invitato nei nostri studi Nilo Domanico, Ingegnere e membro del Laboratorio di idee Neopolis, ospite all’Eco in Diretta, il talk della nostra testata condotto dal Direttore Marco Lefosse.
Per la sibaritide è necessario che le amministrazioni si impegnino a produrre una visione del territorio che metta insieme tutte le sue vocazioni e le sfrutti al meglio.
«Non solo chi amministra – afferma Domanico - ma anche chi abita il territorio deve avere una visione, e deve farlo tenendo conto, soprattutto, del contesto storico da cui provene. Lo ripeto continuamente nei convegni a cui sto partecipando di recente: dobbiamo studiare la storia. Valorizzarla, certo, ma anche attualizzarla. Noi viviamo in un territorio che 2700 anni fa fu colonizzato dai greci proprio per la sua floridezza. Era l’hub del Mediterraneo, per dirlo con un linguaggio contemporaneo, perché era ricca, era fertile, aveva acqua potabile, aveva due fiumi. Insomma ne era stato intercettato il potenziale già più di due millenni fa».
«La visione che stiamo portando avanti come gruppo Neopolis con il motto “altrove qui”, è quella secondo cui le nostre radici possono essere il nostro futuro. Con la crisi energetica dell’ultimo anno abbiamo capito che il Mediterraneo è diventato nuovamente il centro del mondo e noi, come Calabria, siamo geograficamente al centro del Mediterraneo stesso. La sibaritide può e deve sfruttare la sua posizione e vocazione».
Dopo i progetti in Medioriente Domanico è pronto a nuove sfide, questa volta nella terra d’origine. Insieme al Parco Archeologico e al Museo Nazionale di Sibari sta lavorando ad un progetto che mira a salvare e portare alla luce la storia e i resti di una civiltà ormai sommersa.
«Sì, è vero. Io mi ritengo fortunato perché in questa fase della vita e in questo momento della mia carriera posso decidere quali sfide e progetti accettare. Quando si è presentata l’opportunità di lavorare per la mia terra e per un progetto così importante, cioè far riemergere dalla terra e dalle acque l’antica Sibari, ho accettato con entusiasmo. Questo mi ha spinto a studiare la storia (perché bisogna necessariamente partire da quella) e ad esaminare il contesto geologico antico. Sibari, ad esempio, è sorta tra Crati e Coscile ma ancora bisogna ricostruirne l’esatta posizione poiché i corsi d’acqua non coincidono con quelli attuali. In più la linea costiera era molto più arretrata, il corso dei fiumi ha portato sedimenti che hanno fatto avanzare la costa di quasi 3 km».
Un lavoro di ricostruzione geologica e geografica dei luoghi. «Tutto questo – prosegue l’Ingegnere - è servito e ha contribuito anche all’elaborazione del Masterplan territoriale perché il problema di Sibari è il seguente: esistono tre stratificazioni in quell’area che corrispondono alla città di Copia a quota 0 e di Sibari (la più profonda) al 3° strato interno a -3,5 metri sotto il livello del mare, a -7 metri dall’attuale piano di campagna. Per questo motivo abbiamo voluto mettere su, in una prima fase, un progetto sulla base dei metodi antichi di bonifica, per procedere poi all’attualizzazione nelle altre fasi successive».
Nello dettaglio: «La fase 1 del progetto del Masterplan, che è già stata finanziata, si basa sul principio dei canali drenanti. Avendo sulla destra il Crati e sulla sinistra lo Stombi saremo in grado di costruire dei canali che faranno confluire le acque superficiali proprio in quest’ultimo e che fungeranno in seguito da canali di eliminazione della piena (senza più rischiare le esondazioni del Crati). Ovviamente questo non basterà perché il problema lo risolveremo solo nel momento in cui potremo realizzare dei diaframmi impermeabili intorno all’area del Parco. Questo perché la prima fase consentirà all’acqua di raggiungere il livello 0 così da non avere Copia completamente sommersa. Ovviamente poi bisognerà proseguire».
E proseguire in questo senso significherà riuscire a liberare Sibari da una serie di problemi che la tengono bloccata ormai da troppo tempo, con il rischio che l’incuria e i disagi logorino e rovinino quel che resta degli scavi.
«Un’altra cosa importante da tenere in considerazione – sottolinea Domanico - è che questo sistema è sostenibile e circolare: non sfrutterà energia elettrica ma solo la gravità e le leggi della fisica, alla maniera degli antichi. In più il materiale e l’acqua estratti verranno riutilizzati. Il primo per costruire dighe interne e la seconda verrà sfruttata dal consorzio di bonifica per le coltivazioni e le reti irrigue in area Lattughelle (dato che avrebbero dovuto estrarla dal Crati secondo un progetto messo in campo dall’ente). Con un progetto si interviene su tre questioni importanti».
Un altro aspetto importante del progetto riguarda la ricostruzione del paesaggio antico. «Sì stiamo provando a ricostruire le posizioni dei corsi d’acqua dei fiumi. La nostra zona è attraversata da una faglia il cui movimento ha provocato il fenomeno della subsidenza (cioè l’abbassamento verticale della superficie terrestre) facendo sprofondare l’area e modificando i corsi dei fiumi. Gli esisti dello studio saranno presentati a breve».
Sul Masterplan di rilancio del territorio della sibaritide, invece, la partenza da Calopezzati è dovuta ad un motivo particolare legato ad una sperimentazione di controllo.
«Il Masterplan non è, come qualcuno può pensare, un nuovo strumento urbanistico o di suddivisione dell’area. Il Masterplan vuole organizzare un’idea di territorio che parta dai dati storico-culturali e che vada poi ad intrecciarsi a tutti i progetti proposti, in un quadro unitario, coerente, sostenibile e circolare. Ovviamente riunire tutti i comuni dell’Alto Jonio è un’impesa faraonica. Per questo abbiamo deciso di partire da un comune piccolo che racchiude tutte le caratteristiche principali del resto dei paesi: mare collina montagna e borgo. Lo scopo è mettere a punto un metodo applicabile al resto dei centri del litorale ottenendo così un vero Masterplan territoriale. Uno strumento di visione, sviluppo, progresso da qui ai prossimi 30 anni. Da noi e nel resto d’Italia si assiste ad un fenomeno di decrescita demografica e di spopolamento dei piccoli centri perciò non è più necessario costruire ma rivalorizzare secondo principi sostenibili che privilegino la salvaguardia ambientale, le risorse idriche, sistemi di rifiuti integrati che li eliminino dalle strade e li riutilizzino come risorsa».
Sull’hub energetico (il parco eolico offshore) che dovrebbe sorgere nel porto di Corigliano, Domanico invita ad un approccio analitico che soppesi pro e contro.
«Io credo che quando ci sono in ballo progetti di questo tipo, legati alle energie rinnovabili, il cambiamento territoriale, paesaggistico e l’impatto geologico vadano presi in considerazione utilizzando un approccio laico. Soppesando cioè vantaggi e svantaggi in maniera analitica, calcolando benefici e criticità. In questo quadro tutto ciò che è progresso porta con sé anche degli svantaggi di vario tipo. Il parco eolico produce energia rinnovabile tra le più pulite. Partiamo dagli svantaggi, costruire il parco in un’area più elevata della topografia marina rischia di penalizzare la pesca che sfrutta le zone in prossimità della costa ma al contempo aumenterebbe la biodiversità marina perché diventerebbe una zona off-limits. Per l’impatto estetico direi che è minimo a quella distanza, i tralicci della tensione sono molto peggio. Ecco, va tutto valutato ed è necessario che si condividano pro e contro con la comunità. In più sorgerà in prossimità dell’anello di distribuzione dell’Enel. Se ad Enel è stato approvato un parco fotovoltaico all’interno dell’area di sua proprietà, se è già presente con il gas ed entra anche nel circuito dell’eolico e non riusciamo a schiodarla tanto vale sfruttarla al meglio, facciamolo diventare un hub di energia pulita. In un momento storico in cui è necessario sganciarsi dalla dipendenza energetica dei paesi instabili ragionare in termini di hub energetico potrebbe fare la differenza».
Insomma, puntare su un'idea di territorio sostenibile è possibile. Basta solo cooperare e mettere in campo le idee migliori e le preziose risorse umane e naturali di cui disponiamo.