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Il curioso caso del Chiarello di Cirella: un moscato passito tutto calabrese

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VACCARIZZO ALBANESE - Per descrivere un vino interessante, raro e difficile da trovare è diventato popolare tra i sommelier all’alba dei social media il termine Unicorno. Nel caso del Chiarello di Cirella, la mia ultima scoperta, è proprio il termine giusto.

Ho partecipato giorni fa a Cirella, frazione del Comune di Diamante ad un momento di approfondimento ed assaggio di questo vino praticamente scomparso che da pochi anni è stato risuscitato grazie alla tenacia dell'Associazione Culturale Cerillae.

Alcuni vini dolci calabresi come il Greco Bianco di Bianco oppure il Passito di Saracena sono giustamente rinomati e considerati fiore all'occhiello della vitivinicoltura italiana e non temono il confronto con gli altri vini dolci internazionali. Sorprendentemente, dai libri di storia è balzato fuori il ritratto visivo ed odorifero di un altro vino, famoso nel 1500,  il Chiarello di Cirella. Come ha ricordato nella sua presentazione Franco Errico il presidente dell'Associazione Cerillae questo vino passito era apprezzato dalle corti italiane del Rinascimento e fu amato particolarmente da Papa Paolo III Farnese nel 1500; il suo storico bottigliere Sante Lancerio lo inserisce tra i 53 vini migliori d'Italia nel suo libro I Vini d'Italia. Una ristampa del libro è stata messa a disposizione dei presenti durante la serata. Lancerio cosi scrive: «Viene da una terra denominata Chiarella (Cirella) nella provincia di Calabria distante dal mare tre miglia. Questo vino è molto buono et era stimato da Sua Santità e da tutti li prelati della corte. Ne vengono assai, i quali si vendono per Chiarello, ma volendo conoscere se siano di Chiarella e la loro perfetta bontà, bisogna che sia di colore acceso più che l'oro et odorifero assai, ché non odorando sarebbe di Grisolia od Orsomarso…».

Maurizio Rodighiero il presidente dell'Accademia del Magliocco ha ricordato Giulia Orsini sposa di Pietro Antonio Sanseverino come promotrice di questo nettare introducendolo al desco del Papa Giulio II della Rovere. Dopo la sua morte il Sanseverino sposò la pronipote dell’eroe nazionale albanese Skanderbeg, Irina Castriota e a quanto pare anch’essa risultó una gloriosa ambasciatrice del Chiarello di Cirella, promuovendolo ovunque in Europa. 

Dopo la fiorente ascesa e giusta fama internazionale di quei tempi, il Chiarello scomparve lentamente e dal '800 in poi non si hanno più notizie sulla sua produzione fino a qualche anno fa quando un gruppo di studiosi entusiasti decidono di farlo tornare in vita. Solitamente per vendere un prodotto si cerca di costruire intorno una storia che lo nobiliti, in questo caso la storia è davvero singolare e notevole ma mancava il prodotto, cioè il vino. 

Per questo è stato impiantato un vigneto di circa un ettaro con il vitigno autoctono tradizionale Adduraca (odoroso) da cui la cantina Verbicaro Viti e Vino Srl produce circa cinquemila bottiglie da 0,5 litri di squisito Chiarello di Cirella. Mi sono venute in mente le parole del vangelo: “vino nuovo in otri nuovi” (Mt, 9,17). Il branding è importante: le confezioni sono eleganti, la grafica depositata come marchio diventato marcatore identitario, non esattamente mainstream, di quel territorio.  

Si inserisce nel legittimo desiderio di preservare le espressioni antiche della nostra regione ma anche mostra il desiderio di aprire un nuovo capitolo della storia di questo vino anche se per adesso, è troppo presto per parlare degli aspetti economici a beneficio di quell’area. Mentre le preferenze del vino globale continuano a spostarsi verso i vini secchi, la produzione dei vini passiti rimane confinata ingiustamente nella nicchia d’intenditori che lo sanno apprezzare.

Il Chiarello proprio in virtù della sua dolcezza si guadagnò la prima fama internazionale. Non solo l'alto contenuto di zucchero impediva il deterioramento durante il trasporto fuori regione, ma lo zucchero stesso godeva dello status di lusso all'epoca: il tipo di intensa dolcezza trovata in una bottiglia di passito era inseparabile dalla sua aura di splendore aristocratico.

Risparmio il tornado ricco di terminologia professionale della degustazione; raccontare il vino può essere una forma d'arte ma può anche intimidire. Vi consiglio di assaggiarlo liberamente,  abbinandolo coi vari prodotti di pasticceria: la pitta 'mpigliata calabrese oppure con la riganella, il dolce arbëresh del Laboratorio Artigianale di Pasticceria, Antichi Sapori di Vaccarizzo Albanese.

Elia Hagi
Autore: Elia Hagi

Studia a Roma filosofia e teologia e comunicazioni sociali e oggi svolge a Vaccarizzo Albanese il suo ministero sacerdotale. Diventato sommelier, segue con passione la rinascita del vino calabrese con un particolare interesse rivolto ai vini identitari Arbëreshë.