Covid e scuola, Candiano: «Finalmente stop al caos istituzionale, decide lo Stato»
Editoriale dell’avvocato Nicola Candiano. «Genitori riflettano di più sull’esatto bene da tutelare»
CORIGLIANO-ROSSANO – In quest’anno di pandemia il tema delle scuole è stato sicuramente tra i più spinosi, divisivo persino tra gli stessi genitori, posti di fronte al dilemma tra la tutela della salute e quella all’istruzione piena dei propri figli: posizioni meritevoli di eguale rispetto e medesima considerazione, per il travaglio che esse presuppongono. Meno indulgenza, invece, va usata quando si tratta di apprezzare le modalità con cui dette opinioni vengono espresse, dovendosi sempre condannare l’uso di un linguaggio inutilmente offensivo.
È quanto si legge nell’editoriale dell’avvocato Nicola Candiano.
Alle figure istituzionali è lecito richiedere su tali delicati temi comportamenti più consoni e meno improvvisati. Infine, vale per tutti la regola fondamentale di conoscere un problema prima di parlarne. E non sto dicendo di una conoscenza erudita, quanto di acquisire almeno quelle informazioni elementari ma essenziali per poter elaborare un’opinione. Una richiesta valida soprattutto verso chi interviene come classe dirigente in senso lato.
Tanto varrebbe ad evitare conflitti e discussioni inutili, surreali ed intrise di provincialismo che trasfigurano la realtà, non consentendo di elevare il dibattito per come meriterebbe.
Va innanzi tutto corretta la prospettazione del tema: chi ha deciso la riapertura delle scuole in presenza anche in zona rossa e perchè? La decisione è stata assunta dallo Stato sulla base di una scelta netta e chiara, ma anche molto ponderata.
Siamo entrati nell’era Draghi, con l’allontanamento progressivo da politiche rivolte solo a rispondere alle esigenze securitarie della popolazione, con la proliferazione dei divieti, attorno a cui creare consenso. Si studia, si approfondisce e poi si decide nelle sedi proprie della Politica.
Il nuovo Governo, con atteggiamento pragmatico, ha riflettuto sul fatto che a fronte delle 123 giornate di chiusura delle scuole in Italia rispetto alle 43 in Francia, non erano conseguiti risultati più efficaci nella lotta al Covid.
La risposta è stata ricercata in vari studi, tra cui uno realizzato da un gruppo di scienziati coordinato dalla professoressa Sara Gandini, epidemiologa biostatistica, citata da Draghi che ha comunicato le linee al Senato il 23 marzo scorso.
Sono stati comparati i dati raccolti in Italia ed in Europa, giungendo alla valutazione del rischio epidemiologico indotto dallo svolgimento delle attività scolastiche in presenza, secondo appropriati parametri.
Tale rischio è stato ponderato altresì con i gravissimi danni prodotti agli studenti dalla mancanza di vita di relazione in ambito scolastico, segnalati da psicologi e psicoterapeuti dell’età evolutiva, pedagogisti, singoli o raccolti in associazioni ed organizzazioni di chiara fama: aumento degli istinti suicidi, perdita di autostima, disturbi del comportamento, deficit nell’apprendimento.
Insomma è emerso che i minori si ammalano meno di Covid ma più di sindromi depressive, aggravate dalla privazione della scuola in presenza.
Sul punto si può rinviare al Report pubblicato sul Corsera del 9 aprile a firma di F. Fubini e S. Ravizza.
In base a questi dati e con l’ulteriore conforto del Comitato Tecnico Scientifico nonché dei consulenti scientifici dei Ministeri dell’Istruzione e della Salute, il Governo ha operato la scelta, prioritaria su ogni altra, della riapertura delle scuole, secondo il motto draghiano “whatewer it take” e con una studiata gradualità.
Su questo devono riflettere i genitori, magari riconsiderando i propri atteggiamenti protettivi verso i figli, sia per intensità che per priorità rispetto al bene da tutelare.
L’altro cambio di passo determinante si rinviene sul come e con quali modalità il Governo ha tradotto la scelta, anche qui con discontinuità rispetto al passato: cioè attraverso un atto avente forza di legge che coinvolge il Parlamento e non con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che è un mero provvedimento amministrativo.
La scelta della Legge esprime l’inequivoca ed univoca volontà dello Stato centrale, di far valere le proprie prerogative nella scelta operata nel quadro costituzionale delle competenze, evitando il caos istituzionale e conflittuale determinatosi nella prima fase pandemica e garantendo uniformità di disciplina.
Ne è derivata la norma contenuta nel D.L. N.44/2021 così scritta: Dal 7 aprile al 30 aprile 2021, è assicurato in presenza sull'intero territorio nazionale lo svolgimento dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, N. 65, e dell'attività scolastica e didattica della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado. La disposizione di cui al primo periodo non può essere derogata da provvedimenti dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e dei Sindaci.
Non c’è bisogno di essere fini giuristi, ma è sufficiente una normale comprensione della lingua italiana per capire che, secondo lo Stato, quelle attività scolastiche devono comunque essere avviate e nessuna altra Istituzione può frapporvi ostacoli. Perciò hanno meravigliato talune incredibili posizioni assunte anche da chi pratica in qualche modo il Diritto.
Insomma finalmente la materia, per lo stato, non è contendibile. Ed i suoi uffici periferici devono eseguire.
Un Presidente di Regione o un Sindaco hanno oggi meno spazi di manovra. E non è da escludere che, nel nuovo contesto delineato, la palese violazione del fin troppo chiaro precetto di legge, possa avere per loro una rilevanza penale.
A chi non è d’accordo con queste considerazioni non resta che provare il contrario, se ci riesce. Il resto sono parole al vento che generano solo confusione.
Uno piccolo spazio residuo di intervento è previsto, ma solo a scuole aperte, per sopravvenuta eccezionale e straordinaria necessità, ravvisabile nel “riscontro di focolai o rischio estremamente elevato di diffusione del virus SARS-CoV-2 o di sue varianti nella popolazione scolastica”, con provvedimenti adeguati e proporzionali, come la chiusura di singoli plessi. Anche tale disposizione non richiede particolari commenti.
Nei Paesi civili fondati sulle regole da rispettare, la soluzione dei contrasti all’interno della Comunità viene portata innanzi alla Giurisdizione competente.
Il Tar è un presidio di Giustizia assolutamente essenziale perché chiamato a ripristinare la legalità nei confronti dell’amministrazione pubblica a tutela del cittadino: è una conquista delle moderne democrazie contro l’idea ottocentesca dell’infallibilità dello Stato che aveva di fronte solo sudditi. Per questo occorrerebbe riflettere prima di formulare sgangherate critiche. Il Tar non è il problema ma la cura contro le patologie del sistema.
Essere buoni cittadini significa sia accettare le leggi dello Stato (anche se non si condividono) e poi i correttivi operati dalla magistratura alla loro applicazione (anche se non piacciono): il resto è populismo ed irresponsabilità.
Di sicuro sono inaccettabili i tentativi di ribaltare le posizioni in campo, assolvendo chi la legge ha violato e colpevolizzando chi si è battuto per farla rispettare.
Insomma un inappropriato comportamento e la sconoscenza di elementi basilari, hanno creato una sterile discussione ed un inutile conflitto.
Per concludere credo che necessiti un cambio di passo anche da parte della società civile e, come ha scritto De Rita, più che chiedere rassicurazioni, tutti noi dovremmo segnalare che l’accucciamento nella paura non porta da nessuna parte e fa comodo solo ai governanti incapaci.