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Viaggio tra i Feudi della Sila Greca - L'Architettura della Torre stellata dell’Arso

6 minuti di lettura

Domenica scorsa è iniziato il nostro "Viaggio tra i Feudi della Sila Greca" con la prima parte dell'approfondimento dedicato a "Il Tenimento dell’Arso". Qui di seguito troviamo la seconda parte dedicata all'Architettura della Torre stellata dell’Arso.

L’incertezza sulla datazione della Torre e sulle sue caratteristiche architettoniche suggerisce approfonditi studi e indicazioni che in qualche parte riusciamo a colmare con l’aiuto di Antonio Gallo, che al riguardo, ne Il Serratore, n. 31, 1994, scrive che l’origine del manufatto sarebbe da collocare all’epoca della Rinascenza e che questa venne edificata per finalità molto diverse da quella di difesa costiera, pur presentando l’aspetto di un edificio fortificato, che non è azzardato considerare di chiara ispirazione Tosco-Rinascimentale. Il suddetto contributo, che richiama alla memoria le meravigliose fortificazioni michelangiolesche in Firenze, non ci deve meravigliare, a me personalmente suggerisce una semplice considerazione, ossia che non bisogna dimenticare che i Mandatoriccio, titolari del Feudo, erano una benestante e ricca famiglia di commercianti originari della Toscana, quindi non è escluso che nella richiesta di progettazione della Torre abbiano voluto far prevalere le suddette scelte come ricordo delle loro origini. Purtroppo oggi la Torre pur conservando un discreto stato nell’aspetto architettonico esterno alcune sue parti dimostrano visibili sgretolamenti a causa del tempo che necessiterebbero di appositi interventi di risanamento.

Grazie alla grandezza del duca Teodoro e al suo buon cuore che in quel tempo ospitò un nutrito gruppo di immigrati Albanesi, giunti nel costruendo Casale Mandatoriccio debilitati e in cerca di asilo e di cibo ai quali venne concesso di fissare la propria dimora nella montagna di Mandatoriccio a ridosso proprio della fiumara dell’Arso, ove questi esuli formarono così una loro colonia, le terre dell’Arso iniziarono a essere molto produttive e anche in grande quantità. Alle manovalanze albanesi ben presto si unirono altri profughi, questa volta provenienti da Scigliano, Carpanzano e altri luoghi vicini, rimasti senza nulla, a causa dei terremoti del 1636 e 1638 che colpirono duramente i Casali cosentini. Il nuovo Casale di Mandatoriccio fu quindi meta e riferimento di altri lavoratori che contribuirono decisamente a rilanciare l’economia del Feudo e del vasto territorio. 

Un territorio fecondo e unico, che ha visto nei secoli sin dai tempi della preistoria il continuo succedersi e l’accavallarsi di culture e popolazioni diverse ognuna delle quali ha lasciato tracce e l’influenza della propria presenza che, ancora oggi, si percepisce sensibilmente attraverso il lessico dialettale, il costume, la tradizione, l’arte, l’urbanizzazione del territorio. Tutti elementi di grande rilievo oggi comunemente definiti marcatori identitari, che nella diversità del paesaggio della Sila Greca confezionano un territorio singolare personalizzato positivamente da un ambiente naturale di prim’ordine dovuto alla sua costa, a tratti ancora selvaggia, adornata dalle numerose torri costiere costruite a difesa del territorio, da un mare che mostra con orgoglio la limpidezza delle sue acque e da una lussureggiante montagna che lo ammanta, lo protegge e le fa da corona.    

L’impianto della Torre a base quadrangolare e a forma stellata è singolare. Gli imponenti muri perimetrali si propongono rientranti dando origine a quattro facciate a forma di vela con gli angoli simili alla prua di una nave quasi ad indicare il volerne solcare le onde del vicino mare. L’edificio, architettonicamente si espande su quattro livelli e al suo interno si possono ammirare ampie stanze dai soffitti alti, ben soleggiate e sempre arieggiate anche in estate. Nella parte bassa del piano terra sono collocati i magazzini, cui si accede direttamente dall’esterno. Al primo piano si arriva salendo i gradini di una maestosa scala esterna in muratura che, secondo gli studi di A. De Stefano non sarebbe coeva. Il secondo piano è possibile raggiungerlo direttamente dall’interno tramite un’altra scala sistemata nella sala d’ingresso che si distende fino al livello superiore consentendo l’accesso anche a una soffitta o piano mansardato verosimilmente guadagnato nel corso di alcuni precedenti interventi di ristrutturazione. Il primo piano, oltre alla grande sala d’ingresso è dotato di ulteriori tre vani. Una prima camera utilizzata come soggiorno o salotto, una seconda stanza adibita a camera da pranzo e un terzo locale destinato ai servizi. Il piano superiore utilizzato come zona notte, invece, è provvisto di quattro vani, mentre altri tre vani, protetti da una copertura a due falde con tegole coniche (coppo) costituiscono la parte mansardata che ospita i servizi e la cucina. 

Per quanto riguarda la distribuzione dei magazzini questi sono collocati al piano terra, intorno ai quali si rileva la presenza di un frantoio risalente pressappoco all’inizio del XIX secolo azionato sicuramente ad energia animale prevalentemente muli. 

Il piano terra è indipendente. Da una porta posta sull’esterno si entra in un grande locale al cui interno ancora sono presenti tinozze in muratura per il vino insieme ai vari strumenti utilizzati per la vendemmia. Dalla visita fatta in altri locali decisamente più piccoli appare evidente il loro utilizzo per ulteriori attività legate all’agricoltura. La struttura dell’edificio e la parte sottostante non comunicano tra loro anche se è presente immediatamente all’ingresso del primo piano, una caditoia chiusa da intelaiatura in legno, che consente di accedere nella parte sottostante verosimilmente utilizzata come possibilità di fuga o difesa in caso di attacchi nel periodo soprattutto delle incursioni saracene, ma che certamente era adoperata tramite una scala che si poteva raccogliere anche come scantinato per le conserve.

L’ossatura di sostegno del corpo del particolare edificio è concepita da una muratura di consistente grossezza. La soffittatura è voltata, con il sistema a botte negli ambienti posti al piano terra e nella grande sala presente al primo piano e con il sistema a crociera negli altri vani. Alcuni abbassamenti presenti nella struttura, a forma di piccole celle, hanno permesso di ricavare nella struttura alcuni angoli decisamente nascosti e non riconoscibili, utilizzati in caso di bisogno di difesa durante gli attacchi. 

Il corpo della complessa struttura è arricchito, inoltre, da un ulteriore edificio abbastanza lungo e non comunicante con la stessa, realizzato con pietre di fiume e laterizi, realizzato verosimilmente in un secondo momento poiché diverso dalla struttura originale. Su alcune pareti sono ancora presenti anelli dove venivano legati cavalli e muli il che fa presupporre l’utilizzo come ricovero degli stessi. In altri magazzini e granai, individuati attraverso la presenza di incisioni utilizzate dal personale addetto per marcare la quantità di grano o altri cereali, veniva immagazzinato l’ampia produzione cerealicola del Tenimento.

Il complesso masserizio fortificato della Torre stellata dell’Arso, anticamente era anche dotato di una piccola cappella privata coperta da una volta a crociera, dove ancora oggi su una parete si riscontra la presenza di un affresco ritraente San Giuseppe e il Bambino posto sopra un piccolo altare. La collocazione di un blasone in pietra sul portale d’ingresso conferma, inoltre, nella Torre la presenza dei Sambiase, in seguito a quella dei Mandatoriccio poiché tra loro imparentati. 

Il Feudo dell’Arso fu rigorosamente legato al Casale di Mandatoriccio da cui dipendeva. Dopo la scomparsa di Teodoro suo fondatore attraversò le diverse successioni feudali fino ai Toscano Mandatoriccio attuali signori. Infine, è il caso di ricordare che la Torre dell’Arso, anche se fortificata, va considerata come un complesso feudale di tipo masserizio, la cui funzione nel tempo, come si accennava nella prima parte, fu più che altro ispirata alla produttività e al supporto del Casale di Mandatoriccio, mentre per la sua architettura può essere ascritta tra gli esempi rurali più pregiati che caratterizzarono la costa ionica, inserita in una vasta area ricca di vegetazione mediterranea molto naturale, colorata e selvaggia per la presenza degli oleandri e delle tamerici che, nei pressi della foce dell’Arso, fa da contraltare alla natura lussureggiante della montagna. 

Alla morte di Teodoro Mandatoriccio, 25 aprile 1651, il Feudo dell’Arso transitò nei possedimenti del figlio Francesco, 2° duca di Crosia. Francesco, non avendo avuto figli, prima della sua morte avvenuta il 19 gennaio 1676, al fine di tramandare il suo cognome e lignaggio, riconobbe come erede universale di tutti i suoi averi feudali e burgensatici Mario Toscano, figlio di suo zio Giuseppe e Laura Perrone, con il presupposto che lo stesso avrebbe dovuto lasciare il proprio cognome per assumere quello di Casa Mandatoriccio.

Questa esplicita volontà, però, scatenò una difficile e interminabile disputa, che nel corso di lunghi anni coinvolse contemporaneamente le famiglie dei Toscano destinatari dei possedimenti del duca, i Mandatoriccio e i Sambiase, quest’ultima casata per l’unione coniugale che Vittoria Mandatoriccio, sorella di Francesco, aveva con Giuseppe Ruggero Sambiase.

Deceduto Francesco i possedimenti feudali, dopo lunghe discussioni e contrasti nei quali dovette intervenire il Sacro Real Consiglio per risolvere la difficile contesa, passarono alla sorella Vittoria Mandatoriccio, maritata Sambiase, che divenne 3a duchessa di Crosia. 
Successivamente alla morte di Vittoria tutti i possedimenti feudali dei Mandatoriccio transitarono in quelli della famiglia Sambiase e specificatamente nelle mani di Bartolo Sambiase suo figlio e così di seguito secondo l’asse ereditario sino a Ferdinando Sambiase che detenne la gestione feudale di tutti gli Stati senza però prenderne l’intestazione fino all’entrata in vigore delle leggi eversive sulla feudalità. 

Per saperne di più si invitano i lettori a consultare il volume: La Sila Greca Tra Storia e Feudalità, arricchito dalle note di A. Gallo, A. De Stefano e F. Verrina. 
 

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica