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Cent'anni di Natale, ecco come è cambiata la festa più dolce dell'anno

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Nei giorni di festa durante i quali tutti diventano (o dovrebbero diventare) più buoni, ad ogni balcone o finestra e per le strade ci sono le lucine colorate, le vetrine sfavillanti che invitano a comprare; c’è un’euforia nell’aria che contagia tutti; ma è sempre stato così?

Bontà a parte, che spesso è solo di facciata, anche le feste natalizie sono cambiate nel tempo.

Negli anni ‘50/60 del secolo scorso il primo segnale che ci si stava avvicinando al periodo natalizio avveniva già al 1° giorno del mese di dicembre quando, per salutare il mese della nascita di Gesù, si friggevano “crustuli, chinulidde e scorateddi”.

Nelle case dove si vogliono mantenere le tradizioni tutto ciò avviene ancora oggi; quello che è cambiato è però l’approccio alla festa.

Durante le feste natalizie, in quegli anni, tornavano a casa diversi emigranti del nord Europa, ma non perché i tedeschi e belgi volevano festeggiare il Natale; il vero motivo era dovuto al freddo intenso delle regioni nordiche che non permetteva di lavorare all’aperto, per cui si consideravano gli operai in ferie forzate.

In tanti in quegli anni hanno conosciuto per la prima volta panettoni e spumanti; aprire lo spumante alla vigilia di Natale era già sinonimo di benessere. Il panettone ed il pandoro sostituivano i dolci classici della tradizione calabrese, ma per fortuna questi ultimi si stanno prendendo la rivincita tornando ad essere quelli più graditi, forse non dai giovani ma sicuramente dai diversamente giovani che tornano a sognare le belle giornate di festa di una volta.

Altra peculiarità del Natale di quegli anni era l’addobbo dell’albero; non c’erano ancora gli alberi finti ed anche quelli veri fino allora non si commercializzavano come adesso. Chi poteva si procurava un ramo di pino che poi si addobbava appendendovi arance e mandarini; solo sul finire degli anni ’60 unitamente agli agrumi si appendevano caramelle e torroncini.

Sono cambiate anche le letterine; prima si inviavano ai genitori promettendo di essere più buoni, ora si inviano a Babbo Natale con la richiesta di regali.

I classici botti di Natale e capodanno erano, anche questi, molto semplici: i “vattamuri” erano artigianali, come pure gli zolfanelli e le girelle. I “vattamuri” erano costituiti da polvere pirica avvolta in un foglio di carta e legata strettamente con uno spago; esplodevano quando si lanciavano con forza contro un muro.

Col passare degli anni la festa è diventata sempre più consumistica e contemporaneamente meno religiosa.

Un esempio lampante del Natale consumistico è proprio la figura di Babbo Natale che proviene da quella di San Nicola. Il Babbo Natale come lo conosciamo nel tempo presente, deriva da una pubblicità della Coca-Cola del 1931 quando veniva raffigurato come un uomo grassottello, sorridente, intento a dare regali ai bambini ed interamente vestito di rosso. Questo fu uno dei primi passi che portarono al distacco dal Natale religioso per approdare a quello consumistico odierno anche se, ovviamente le realtà dei nostri paesi non cambiarono facilmente.

Andando indietro, ad esempio, troviamo un’abissale differenza rispetto ad oggi: questa festa era sicuramente più sentita sia in ambito religioso che in ambito affettivo; ci si riuniva per mangiare insieme e i regali non erano il fulcro della festa che si basava difatti sulla condivisione di momenti gioiosi e di preghiera.

La Vigilia di Natale è considerata un giorno di magro: non si mangia carne, bensì pesce col baccalà a farla da padrone. Al contrario di ciò che si può pensare, la rinuncia alla carne nella cena del 24 dicembre non è legata alla religione, bensì si tratta di un'usanza popolare, anche se si faceva un’eccezione con rape e salsiccia che non mancavano mai.

Ai giorni nostri il tempo è diventato tiranno e sempre più si partecipa a cenoni organizzati nei ristoranti. Forse si mangia meglio (forse), forse si mangia comodi (forse), non si fa confusione e non si sporca in casa, ma quei profumi e quella gioia di stare insieme ai propri cari non c’è più.

Tutto scorre, anche la percezione della festa più importante dell’anno.

Gino Campana
Autore: Gino Campana

Ex sindacalista, giornalista, saggista e patrocinatore culturale. Nel 2006 viene eletto segretario generale regionale del Sindacato UIL che rappresenta i lavoratori Elettrici, della chimica, i gasisti, acquedottisti e tessili ed ha fatto parte dell’esecutivo nazionale. È stato presidente dell’ARCA territoriale, l’Associazione Culturale e sportiva dei lavoratori elettrici, vice presidente di quella regionale e membro dell’esecutivo nazionale. La sua carriera giornalistica inizia sin da ragazzo, dal giornalino parrocchiale: successivamente ha scritto per la Provincia Cosentina e per il periodico locale La Voce. Ha curato, inoltre, servizi di approfondimento e di carattere sociale per l’emittente locale Tele A 57 e ad oggi fa parte del Circolo della Stampa Pollino Sibaritide