Il mistero dei megaliti nel bosco di Castroregio
A due passi da Castrovillari, un viaggio affascinante nelle antiche foreste del Pollino e nella storia delle radici della Calabria

In un piccolo comune cosentino di circa quaranta chilometri quadrati, che conta solo 338 abitanti, proprio vicino a Castrovillari, è conservato un enorme patrimonio culturale. Ci troviamo nel piccolo borgo di Castroregio, il cui nome deriva dal castello che sorgeva al suo interno prima che, nel 1348, l’area urbana si spopolasse facendo cadere in rovina l’antica fortificazione; fu invece l’emigrazione albanese del 1500 localizzata nella località di “Casaletto” ad animare e dare una nuova vita a questi luoghi. Peculiare tassello colorato nel caleidoscopio culturale e linguistico che compone il mondo arbëreshë calabrese, Castroregio è arroccato su un monte e circondato da una cornice di boschi rigogliosi e arbusti secolari, ebbene, è proprio qui che risiedono delle antichissime tracce delle popolazioni che hanno anticamente abitato questi luoghi.
La foresta di Castroregio è un sito antico e davvero ricco di testimonianze, infatti tutta l’area nei pressi della Madonna della Neve (Shën Mëria e Borës) è costellata da una serie di megaliti, che risalgono all’epoca preistorica in un periodo che va dal Neolitico (5000 A.c) alla fine dell’età del Ferro (primo millennio A.c). Nel bosco sono presenti le coppelle, delle strutture in pietra, ritenute tra le prime forme di arte preistorica; esse sono i resti dell’ancestrale cultura materiale di chi ci ha preceduto, oltre che la plastica rappresentazione dell’esigenza delle popolazioni primitive di ricercare un senso di spiritualità profondo. Non è certa tuttavia la funzione dei megaliti e delle coppelle, sono state avanzate diverse ipotesi che li osservano come dei monumenti religiosi, atre che si soffermano sul significato astronomico dei resti legati alle stelle e al Sole, altre ancora leggono i megaliti come monumenti funebri.
Osservare questi segni con la complessa cultura materiale contemporanea non permetterebbe di coglierne davvero l’importanza storica e culturale, infatti, in essi si intravede la primitiva semplicità dell’uomo che ha popolato questi luoghi, provando a rapportarsi con gli elementi della natura che lo circondavano.
Ancora più suggestiva è l’osservazione di un masso con una canaletta, alcune coppelle e il segno di una croce scavata al suo interno. Antonio Magni, tra i primi ad occuparsi di queste ataviche manifestazioni di arte preistorica, ha scritto: “La maggior parte degli studiosi delle pietre cupelliformi convengono nel concetto che fossero l’espressione di un culto religioso, cioè di una idea soprannaturale che poteva esplicarsi in svariate manifestazioni di rito, delle quali nessuna è pervenuta a noi, non solo con certezza, ma neanche con molta probabilità. Solo questo appare, che in quei paesi dove non le hanno dimenticate del tutto, sono circondate da singolari leggende ed anche oggetto di superstizioni e di una certa venerazione. In Italia le hanno scordate”.
fonte meravigliedicalabria.it