Rossano e la figura carismatica di Nilo: primo grande precursore della comunione tra cristiani d'Oriente e d'Occidente
La seconda e ultima parte del saggio storico del Prof. Gioacchino Strano in attesa di Patìr 2023 che quest'anno proporrà un approfondimento su "I luoghi della civiltà e del monachesimo italo-greco nel Mediterraneo"
Vi proponiamo la seconda parte del breve saggio storico del Prof. Gioacchino Strano, associato di civiltà bizantina presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università della Calabria e oggi tra i maggiori bizantinisti viventi, sulle radici bizantine di Rossano e sulla particolare convivenza tra la Chiesa Latina e la Chiesa Greca che questa città, questo territorio, accolse in straordinaria comunione. Nella seconda e ultima parte, che vi proponiamo a seguire, l'attenzione si focalizza sulla figura di San Nilo, vero precursore di questa comunione tra i due riti cristiani. - Leggi qui la prima parte: Rossano "capitale" del Mezzogiorno bizantino
di Gioacchino Strano
Nilo fu un santo uomo che seppe fondere cultura e tradizione greca e cultura latina: fu copista di codici greci, innografo e conobbe probabilmente anche il latino. Celebre è la sua visita presso il monastero di Montecassino, cuore della spiritualità benedettina. Addirittura vi celebrò una funzione in greco, in piena comunione con i Padri benedettini. Rossano, patria di Nilo, si rivela quindi luogo di incontro e di confronto fra esperienze e culture diverse. Ne è prova anche il rapporto di Nilo con il medico ebreo Šabbeṯay Donnolo, originario di Oria in Puglia, ma vissuto anche a Rossano. Evidentemente anche i ricchi Cristiani calabresi non disdegnavano le cure dei medici ebrei, celebri per la loro scienza.
I contatti di Rossano con l'Oriente erano continui giacché la Calabria - abbiamo ricordato - era parte importante dell'Impero di Bisanzio, a maggior ragione dopo che la Sicilia era sfuggita al controllo di Costantinopoli. Mi preme in questa sede sgombrare il campo da un pregiudizio diffuso in tanta storiografia locale, ossia che la Calabria e l'Italia meridionale avrebbero ospitato frotte di monaci sostenitori delle immagini sacre, sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste di VIII secolo. Ricordo ai Lettori che l'iconoclasmo fu una polemica religiosa che vide contrapposti i sostenitori delle immagini sacre (gli iconoduli) a coloro che invece ne vietavano il culto (gli iconoclasti, letteralmente 'distruttori delle immagini'). Ad un certo punto fu il potere imperiale a sostenere, per varie ragioni, la causa degli iconoclasti, tanto che molti monaci (tradizionalmente legati al culto delle icone sacre) furono perseguitati e persino costretti al matrimonio. Tuttavia non vi è evidenza del fatto che i monaci iconoduli abbiano preso in massa la via dell'Italia bizantina, anche solo in considerazione del fatto che l'Italia meridionale era parte integrante del territorio imperiale e certamente vigevano in essa le stesse normative e gli stessi divieti degli altri territori sottoposti all'autorità di Costantinopoli. È più consona alla realtà l'ipotesi che, se è vero che molti monaci lasciarono l'Oriente alla volta della Calabria, ciò avvenne probabilmente per sfuggire agli attacchi persiani e poi arabi di VII secolo. Fu forse al seguito di questi monaci che giunse a Rossano il codex purpureus, anche se non vanno escluse altre possibilità, ossia che il codex - di committenza elevata, forse imperiale - abbia accompagnato un ricco prelato o addirittura la principessa bizantina Teofano quando nel X secolo arrivò in Italia e soggiornò a Rossano assieme al marito, Ottone II, imperatore del Sacro Romano Impero.
Rossano ospitò quindi l'imperatore tedesco Ottone II, sua moglie e la loro corte. Il figlio della coppia imperiale fu Ottone III, educato nelle due culture, la greca e latina, giacché ebbe come maestro il rossanese Giovanni Filagato, l'antipapa Giovanni XVI di cui ci parla anche la Vita di s. Nilo. Giovanni XVI aveva accettato di farsi nominare papa, ma questo creò una frattura con il sovrano e con il papa legittimo, ossia Brunone di Carinzia (Gregorio V), cugino di Ottone III. Alla fine Filagato subì una sorte tristissima: fu deposto e mutilato, gli furono cavati gli occhi e gli furono tagliati il naso e la lingua. Nilo, che di Filagato era concittadino, provò ad intercedere per lui presso il sovrano tedesco e a chiedere che gli venisse consegnato il disgraziato prigioniero, ma la sua richiesta non venne esaudita per la ferma opposizione di papa Gregorio V. Filagato, per ulteriore umiliazione, venne posto in groppa a un asino con il capo rivolto all'indietro, rivestito di un ridicolo copricapo (come grottesca parodia della mitra indossata dai papi) e portato per le vie di Roma in una processione infamante, forse ispirata all'antico rituale romano della Cornomania.
La fase bizantina di Rossano fu quindi densa di eventi e attesta la centralità della città calabrese in un'ottica mediterranea. Il dominio bizantino finì nell'XI secolo, quando la Calabria e l'Italia meridionale passarono sotto i Normanni. I nuovi dominatori avevano riconsegnato le sedi vescovili del loro Regno alla giurisdizione papale, ma questo non significò che tutte le diocesi passarono al rito latino: Rossano rimase tenacemente bizantina ancora per molto tempo. Bisognerà aspettare il XIV secolo perché venisse eletto un vescovo latino e ancora circa un secolo perché anche il clero della cattedrale fosse completamente latino. In questo torno di tempo continuò a fiorire il monachesimo greco, come ci attesta la nascita di nuovi monasteri. A Rossano fu fondato il Patir, a cui è dedicata l'iniziativa che si terrà il prossimo 26-28 maggio, dal titolo Patir2023, con la sessione del convegno "I luoghi della civiltà e del monachesimo italo-greco nel Mediterraneo". Il Patir prende il nome dal santo fondatore Bartolomeo da Simeri che creò il monastero sulle vestigia di più antiche fondazioni e lo pose sotto la protezione dei signori normanni e del papa dell'epoca, Pasquale II. E tuttavia, secondo lo spirito dell'epoca, Bartolomeo intrattenne rapporti con i sovrani di Bisanzio (Alessio I Comneno) e con i ricchi aristocratici della corte bizantina, fra cui un tale Basilio Calimeris che affidò al santo monaco calabrese addirittura la gestione di un monastero sul Monte Athos, la 'Santa Montagna' degli Ortodossi.
Non a caso chi scrive questo contributo parteciperà al suddetto Convegno con una relazione dedicata ai rapporti fra i monaci italogreci e il Monte Athos, giusto a sottolineare la persistenza di relazioni - spirituali e culturali - fra queste due diverse aree del mondo mediterraneo. In realtà, anche prima di Bartolomeo, erano stati sull'Athos altri monaci calabresi, fra cui un santo asceta di nome Niceforo, detto l'Ignudo perché per penitenza viveva nei boschi della Calabria in quasi totale nudità. Sull'Athos vi erano il monastero 'del Calabrese' (chiamato così per Bartolomeo da Simeri, ma forse già preesistente), il monastero 'del Siciliano' e quello 'degli Amalfitani', così come esistevano monasteri di altri popoli ed etnie, ad esempio 'dei Georgiani' (di Iviron, ossia degli 'Iberi' caucasici = Georgiani). Non mi soffermerò oltre sul tema, ma mi piace qui ribadire che Rossano, in modo particolare, ha svolto un ruolo importante nella storia della Calabria bizantina e non solo, come trait d'union fra culture ed esperienze differenti che hanno saputo dialogare in modo fecondo.
Immagine in copertina: particolare del dipinto del Domenichino nella Cappella Farnese (Roma) - San Nilo incontra Ottone III