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Il trionfo delle icone: dal movimento iconoclasta dell’ottavo secolo al comunismo, la lunga storia dei dipinti sacri

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VACCARIZZO ALBANESE - È stato pubblicato recentemente in Francia un libro su Martine Bèhague (1870-1939). La sua figura mi divenne familiare perché si dà il caso che la sua abitazione, una delle dimore aristocratiche più belle di Parigi, alla sua morte, fu acquistata dalla Romania che fece la sua ambasciata oltralpe. Citata da Proust nella sua opera, ebbe come bibliotecario Paul Valery. Stravagante, elegante e discreta, Martine de Béhague, contessa di Béarn, è una delle personalità più ricercate della Belle Époque. Collezionista appassionata, mecenate lungimirante, viaggiatrice instancabile, tanto dotata per le lettere quanto per la musica e il teatro, accolse nel palazzo ospiti prestigiosi mescolando l'alta società con artisti, uomini di lettere e poeti. Dopo il clamoroso furto e il ricupero della Monalisa in Francia si resero conto che mancava una cornice all’altezza del capolavoro. Chi di noi andando al Louvre non si è imbattuto nella bellezza disarmante di quel dipinto? Proprio la contessa Martine de Béhague entrò in scena e donò allo stato francese, (innesco per l’occasione anche un dibattito), la bella cornice della Gioconda, il quadro più famoso al mondo, oggi nelle foto di milioni di visitatori del museo parigino.

Spostiamoci ora nel sud della Polonia, sui dolci pendii di Jasna Gòra, la “montagna luminosa”, che circonda la città di Czestochowa dove si trova il famoso santuario. La forza della tradizione vuole l’Evangelista Luca autore di un’icona miracolosa della Madonna col Figlio. Tralasciamo la lunga storia del dipinto per raccontare un fatto abbastanza recente. Con l’invenzione della stampa fu più facile riprodurre l’immagine sacra, per cui spesso i pellegrini di varie città avevano a casa copie della venerata effigie. E tanti polacchi presero l’abitudine di riunirsi nelle parrocchie e altrove per venerare la santa icona o le sue copie. Con l’avvento dei comunisti tali atti di pietà furono vietati e le icone bandite. I fedeli che tanto amavano l’icona hanno però continuato a venerarla semplicemente immaginandola. Hanno escogitato un modo che li aiutasse a sfuggire i moderni iconoclasti. Portavano in processione solo la cornice e si inchinavano con pia devozione ad essa, “visualizzando” nella loro mente e nel loro cuore la santa immagine proibita. Dopo la caduta del regime l’icona, per la gioia di tutti, è tornata vittoriosa nella sua cornice.

Una gioia simile festeggia la chiesa bizantina nella prima domenica di Quaresima, dedicata appunto al trionfo delle icone, oggetto di un ampio dibattito storico. Nell’ottavo secolo, l’intero Oriente cristiano, e in particolare l’Impero di Costantinopoli, fu devastato da un movimento politico-religioso noto come Iconoclastia. Da una parte c’erano dei monaci iconoduli (favorevoli alle icone sacre), e d’altra l’imperatore bizantino e parte del clero superiore. Questo disordine è durato per più di un secolo e ha dato alla Chiesa molti confessori della fede e persino martiri. Numerosi nomi familiari al calendario bizantino sono stati coinvolti in questa controversia. Nel 787, a Nicea, si riunì il settimo Sinodo ecumenico. Il grande teologo del sinodo fu San Giovanni Damasceno, che attraverso il suo lavoro fondò teologicamente la legittimità del culto delle icone sante. Dopo alcuni cambiamenti politici, nell’843, sotto la reggenza di Teodora, si convocò un sinodo a Costantinopoli. Esso riconobbe la vera fede (l’ortodossia) nel culto delle icone e stabilì di festeggiarle nel rito bizantino e dunque anche nell’Eparchia di Lungro nella prima domenica di Quaresima.

Elia Hagi
Autore: Elia Hagi

Studia a Roma filosofia e teologia e comunicazioni sociali e oggi svolge a Vaccarizzo Albanese il suo ministero sacerdotale. Diventato sommelier, segue con passione la rinascita del vino calabrese con un particolare interesse rivolto ai vini identitari Arbëreshë.