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Francesco Amarelli (1456-1514), esempio di antico guerriero fu uno dei capitani nella battaglia di Otranto

9 minuti di lettura

Come si apprende dagli scritti di numerosi storici, Francesco Amarelli fu uno dei dieci capitani che, unitamente al Cavaniglia (1), prese parte alla difesa di Otranto contro i Turchi. Insieme a lui, annoverato tra i vincitori di quella battaglia, alcuni degli esponenti della nobiltà rossanese: Aloisi Risi, Antonio Campagna, Cesare Caponsacchi, Filippo Zurlo, Geronimo Britti, Giovanni Tagliaferri, Livio Foggia, Mario Toscano, Marco Protospatari, menzionati da Paolo Gualtieri(2) e successivamente da Tommaso Aceto nelle note al Barrio nel lib. V. cap. IV, pag. 371 dell’edizione di Roma del 1737.

«Non passò molto tempo, – scriverà poi il Martuscelli – ed in Calabria si formarono le dieci compagnie comandate da dieci Capitani delle famiglie più cospicue sotto la direzione di D. Diego Cavaniglia, nobile Napoletano. I nomi de’ suddetti Capitani ci vengono riferiti da Antonio de’ Ferrariis, detto il Galateo, quando parla de’ progressi dell’armata, che fu spedita contro i Turchi in Otranto, nella sua opera stampata in Napoli nel 1612 nella pagina 68» (3).

Tutti, come ci ricorda il Gradilone nella sua opera, a capo “di molti cittadini animosi, servi, famigli, volontari […] a rintuzzare le scorrerie che i barbareschi avevano tentato per prendere d’assalto la città. […] Di questi gentiluomini occorre ricordare il più meritevole, Francesco Amarelli, che volle così pagare un debito di gratitudine che la sua famiglia aveva verso la Casa Regnante e il Duca Alfonso per gli onori e i favori ottenuti. Fra i quali la concessione fatta (8 luglio 1464) ai fratelli di lui, Antonio e Bartolo, dello jus exiturae, cioè della franchigia di poter estrarre dai porti del regno tanto in nome proprio che sotto il loro nome, senza essere obbligati al pagamento dei diritti di dogana. […] Né a questi soltanto si limitarono i favori del Re, in quanto attribuiva loro l’ufficio di Maestri degli Atti, estensibile in perpetuum agli eredi e successori, e confermava i privilegi, che essi avevano avuto dal principe Marzano di non essere assoggettati a pene e di godere anticipata grazia ed immunità nel caso di danni e guasti cagionati dal loro bestiame in altrui fondi, previa soltanto una giusta e moderata rifusione di danni” (4).

In ogni caso, dopo aver in qualche modo accennato, in queste prime battute, alle ragioni che hanno indotto Francesco, appena ventiquattrenne, alla difesa di Otranto combattendo la battaglia contro i Turchi, nella quale si mise in luce in numerosi scontri, si cercherà nel prosieguo della presente ricostruzione biografica di comprendere meglio la sua figura, la sua fama e la sua provenienza.

Francesco Amarelli, apparteneva a due delle più antiche e famose famiglie del patriziato rossanese. Venne alla luce nel 1456 nella città Rossano, dall’unione matrimoniale di Pasquale Amarelli e Giovanna Protospatari.  

Gli Amarelli, secondo quanto scrive Franco Joele Pace, sono «di probabile origine normanna, la cui genesi è così sintetizzata in un’epigrafe apposta sul palazzo originario di famiglia: “[…] Iliacis Ansoises Amarellis ex trigenis Ducibus Italiae Septentrionem habitantibus sub Paucetio Rege Oenotris fratre Russanam urbem petit”. Sull’antica e illustre famiglia, un’annotazione seicentesca di carattere storico-genealogico ricorda che “se ne ritrova memoria sin dal MCIII (1103) quando Alessandro Amarelli figlio di Giovanni Leonardo militò con Balduino […] ritrovandosi applicato alla guardia de’ pozzi di Terra Santa. (Cfr. ms. apografo seicentesco in AFJP)» (5).

In quel tempo, nella Calabria Citra, a Rossano, non mancando in questa famiglia modelli a cui ispirarsi, uomini celebrati per doti di ardimento, armi, valore, e intelletto che portarono alto il nome del casato dandogli grande rinomanza, Francesco oltre al coraggio ne ereditò soprattutto il carattere luminoso dando saggio del suo valore già da adolescente. Assecondato e curato dai genitori fu educato, secondo le metodologie di allora, in modo da essere plasmato verso l’apprendimento e l’educazione delle più sensibili e signorili qualità. Fu maggiormente erudito nell’arte militare, favorendone la disposizione d’animo e la sua personalità.

Di conseguenza, l’educazione all’uso delle armi, l’esercitazione nell’equitazione e nella scherma fu sempre accompagnata dal rafforzamento dei suoi sentimenti riguardo ai temi dell’onore e della risolutezza, che durante la sua giovane età divennero esercizio quotidiano del suo corpo e del suo spirito, poi successivamente confermate apertamente come eroico capitano allorché combatté contro i turchi.

Negli anni a venire non mancarono, inoltre, nuove motivazioni ad accrescere in Francesco la gratitudine nei confronti dei propri sovrani per cui non perse l’occasione per dimostrare la sua fedeltà e la sua riconoscenza prendendo parte, per l’appunto, alla guerra di Otranto.

In tal caso a ricordarci i tanti privilegi concessi alla sua famiglia è ancora una volta Domenico Martuscelli che nella sua opera così riporta: «Nell’Ottobre del 1469, a’ 6 di Ottobre, dopo di essere state riconosciute, e confermate dal Re le armi gentilizie de’ Signori Amarelli, fu concesso ad Antonio Amarelli dal Sovrano medesimo il privilegio d’inquartarle colle sue Aragonesi ne’ palazzi e nelle cappelle, da valere per se e pe’ suoi discendenti in perpetuum; e ciò in considerazione della sincera devozione, fedeltà, ed utili e grati servigi prestati al Trono; in virtù, de’ quali Antonio venne chiamato dal Re Spectabilis Vir, Miles, Majestatisque suae familiaris fidelis.

Nel 1471 ai 12 di Marzo dallo stesso Re fu concesso a Bartolo Amarelli per se e pe’ suoi discendenti la nobile carica di Regius Bajulus et Dominus Curiae Bajulatus Civitatis Rossani sedens prò Tribunali; ed oltre a ciò gli furono accordate molte franchigie, ed eccezioni dalle procedure comuni.

Tutti questi benefìcj del Sovrano Aragonese eccitarono nel cuor di Francesco un ardente desiderio di consagrare tutte le opere sue, e ‘1 sangue, quando il bisogno il richiedesse in servizio del suo Re. […] Difatti avendo Ferdinando I, Re di Napoli mossa guerra a’ Fiorentini, e tolti loro a forza di armi molti vassallaggi, i Fiorentini fecero lega co’ Veneziani, per cui il Re di Napoli dovette con poderosa annata guardare i confini delle sue conquiste. Dall’altra parte Mahamet Bega, Signore de’ Turchi, nutrendo sentimenti di vendetta contro del Re Ferdinando, perché questi aveva dato soccorso alla Città di Rodi; contro la quale l’esercito Turco essendo partito, vi perdette il tempo di tre mesi.

Or vedendo Mahamet, che il fuoco della guerra, acceso in Italia, teneva divertite dal Regno di Napoli le forze militari, concepì il disegno di conquistarne qualche paese; e nell’anno 1480 pose in mare una flotta di 130 legni sotto il comando di Agmet Pascià, soprannominato Giedich. Questa flotta bordeggiò per qualche tempo innanzi alle coste di Calabria e di Puglia, e finalmente si fermò vicino ad Otranto. Posero allora piedi a terra diciotto mila Maomettani, ed assediarono la Città di Otranto; la quale non essendo soccorsa, dovette finalmente cedere alla forza Ottomana.

Fecero immensa strage i Turchi in quella Città, perché gli abitanti di essa con eroica costanza non vollero abbracciare la Religione di Maometto. Mosso da sdegno e da pietà Alfonso, Duca di Calabria, con pubblico editto dispose, che si levassero dieci compagnie di combattenti nell’Abruzzo, ed altrettante nella Calabria» (6).

Uno dei vincitori della battaglia di Otranto, come viene ricordato nel libro (7)  di Ennio De Simone e Vittoria Ferrandino è Francesco che fu esempio di antico guerriero e che in quella occasione «ilare come invitato a lieta mensa, – come ci ricorda ancora il Martuscelli, narrando una intensa pagina di storia che si riporta integralmente – indossò le armi, e profondendo anche del suo ben molte somme cospirò a fornire la sua truppa di tutto ciò, che avesse potuto mantenerla lieta, a se divota ed in forza. Quanto si può adoperare per guadagnare l’affezione de’ soldati e per dominare il loro spirito fu tutto nella più propria maniera operato dal giovine prode.

Marciarono i suoi guerrieri festanti e pieni di entusiasmo nell’esempio del loro Capitano, il quale pareva che li menasse al trionfo piuttosto, che ai travagli ed a’ pericoli della guerra. Difatti per dovunque passò la sua schiera fece echeggiare i luoghi d’intorno di grida festive, ed acclamazioni al suo condottiero; di modo che tutti coloro, che li ascoltavano ne presagivano una sicura vittoria. Con queste predisposizioni la vittoria è sempre certa sotto un buon Duce. Ed in verità, giunto Francesco, nelle vicinanze di Otranto precedendo gli altri con la sua compagnia s’imbatté sulle prime con alcune torme di Turchi, che andavano scorrendo per le vicinanze della Città; ed alla vista del nemico, stringendo in drappello i suoi soldati, ed aprendo loro la strada a traverso de’ nemici colla spada alla mano, ne trucidò molti, lasciando agli altri appena scampo per rifuggirsi dentro la Città.

Si avvilirono in qualche maniera i Turchi, ma pensarono poi che colla maggioranza del numero potessero sopraffare il prode Capitano, e forse vi sarebbero riusciti se a tempo non giungevano al campo militare le altre compagnie; perché non sempre il valore trionfa di un numero straordinario di nemici. Non pertanto i Musulmani non tentarono diverse sortite, ma in queste si ritirarono sempre con perdita inseguiti fin sotto le mura dalle schiere cristiane, e particolarmente dal prode, di cui parliamo. Ne’ diversi combattimenti dunque egli diede replicati saggi di valore, di senno, e di fedeltà non solo al Duca di Calabria, ma ancora al Re Ferdinando che in tutt’i ricontri li colmò di onori, e ‘1 rimunerò de’ segnalati servigi, ch’egli aveva prestati; sicché dal pubblico ancora veniva chiamato col titolo di prode, di valoroso, d’intrepido» (8).

Scorrendo le pagine del Gradilone si apprende che un poeta del tempo per onorare F. Amarelli, degnamente gli dedicò i seguenti versi che meritano di essere riportati: «Francesco è pure del bel sangue altero / Degli Amarelli, la di cui Fortuna / Solo mancò, che non gli diè 1’impero: / Ma non scema suoi pregi in parte alcuna. / Ei da ferro coverto, audace, e forte / In campo appare, e in volto a lui si mira / Beltà, senno, valor, virtute, e sorte, / E val per mille la sua destra all’ira» (9).

 Personaggio di grande interesse per la ricerca, la sua figura è stata da molti autori approfondita e raccontata. Parlarono di lui e delle diverse vicende belliche, che in quel tempo capitarono nel Regno di Napoli. Solo per citarne qualcuna, oltre a quelle già menzionate nel presente testo, note storiche, che richiamano Francesco Amarelli, sono presenti in alcune pubblicazioni (10).

L’intrepido capitano, trascorsi gli anni più belli della sua giovinezza tributando e offrendo favori ai propri sovrani, si ritirò a Rossano nella casa paterna, lontano dal frastuono delle armi, per trascorrere nella distensione i rimanenti anni della sua vita.

Non passò molto tempo e si trasferì in Napoli dove era molto stimato e apprezzato non solo per le sue prodezze eroiche, ma perfino per come conduceva la sua vita.

Sposò donna Beatrice Brancacci, una benestante e nobile patrizia Napoletana appartenente al seggio di Nido di Napoli. Dal loro matrimonio nacque un figlio, al quale fu imposto il nome di Marco, il quale a sua volta si sposò con Ippolita dei Caponsacchi, appartenente a una famiglia di origini fiorentine, trasferitasi in Rossano.

Francesco ricolmo ininterrottamente di gloria e dignità fu onorato e magnificato dalla sua città fino alla fine dei suoi giorni che ebbero termine nel 1514, all’età di 58 anni.

Bibliografia

1Cfr. F. E. CARLINO, Trame di continuità, Volume I: La Calabria e lo Ionio Cosentino sino alla nascita del Casale di Mandatoriccio, Ferrari Editore, Rossano, 2013, pp. 158, 160.  [Fu un condottiero che, nel 1477, da re Ferdinando I D’Aragona ottenne il titolo di conte di Montella. In Calabria lo troviamo presente sin dal 1480 quando entra in possesso della Baronia di Pietrapaola congiuntamente ai territori di Crosia, Caloveto e Cropalati. Come capitano, insieme a tanti rossanesi, partecipa alla spedizione di Otranto dove trova la morte. A seguito della sua scomparsa, i suddetti territori transitarono nei possedimenti di Roberto Sanseverino di Bisignano].

2P. GUALTIERI, Glorioso trionfo over leggendario di SS. Martiri di Calabria, libro primo, dove anco si tratta di alcuni huomini illustri, ... per D. Paolo Gualtieri, ...M. Nucci, Napoli, 1630, p. 262.

3D. MARTUSCELLI, Biografia… cit. p. 17

4A. GRADILONE, Storia di Rossano, Editrice MIT, Cosenza, 1967, p. 314.

5 F. JOELE PACE, L’Accademia degli Spensierati di Rossano – Tra mito e cronaca, Ferrari Editore, Rossano, 2016, p. 185.

6D. MARTUSCELLI, Biografia…, cit. p. 17.

7 AA. VV, E. DE SIMONE; V. FERRANDINO (a cura di), L’impresa familiare nel Mezzogiorno continentale fra passato e presente. Un approccio interdisciplinare - Atti del Convegno di Studi. Benevento, 30 Novembre-1 Dicembre 2007, Franco Angeli, 2009, p. 185.

8D. MARTUSCELLI, Biografia…, cit. p. 17.

9 A. GRADILONE, Storia…, p. 315, cit. p. 22.

[1]0 F. MAZZA (a cura di), Rossano - Storia Cultura Economia, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1996. pp. 91 e 128 n.(6); N. MORELLI, Vite de’ re di Napoli con lo stato delle scienze, delle arti, della navigazione, del commercio e degli spettacoli sotto ciascuno sovrano per Niccolo Morelli, Stabilimento tipografico di G. Nobile, con la collaborazione della casa Borbone di Napoli, Biblioteca Provinciale, Regio Istituto Orientale e la Biblioteca Matteo Ripa, Napoli, 1849, pp. 284, 285.

 

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica