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San Morello dal 1500 fino ai nostri giorni

9 minuti di lettura

Riguardo al toponimo San Maurello de Arso un dubbio mi coglie per la semplice ragione che, secondo la mia convinzione, il termine de Arso non deriva dal fatto che San Morello venne bruciata e quindi arsa come si lascia intendere, piuttosto potrebbe scaturire dalla contiguità di questa terra con il fiume Arso che ancora oggi scorre sottostante alla base delle sue pendici, da cui il nome San Maurello dell’Arso. Ma San Morello come ci ricorda Assunta Scorpiniti nell’idea dei più «prende il nome da San Mauro, vissuto nel VI secolo, discepolo di San Benedetto e protettore del paese. La leggenda popolare lo vuole santo dei serpenti, che si vendica in caso di voto non adempiuto dopo la richiesta di grazie, come fu per un pastore ingoiato con tutto il suo gregge dalla serpe inviata dal santo monaco; “Ti vò mangiari a serp’i Santu Mauru” è una bestemmia temuta dai Sanmorellesi» (1).   

Come si ricava dalla nota di G. Fiore da Cropani, la Baronia di Pietrapaola, comprendente anche il Feudo di San Morello, nel 1471 era nei possedimenti di Tomaso Guindazzo, il quale vistosi privato dei suoi possedimenti, nel 1473 cercò d’esserne reintegrato, mentre San Maurello veniva unito allo Stato di Umbriatico del Marchese Rovegno (2). Come abbiamo già registrato nel 1472 a subentrare come titolare della Baronia di Pietrapaola e del Feudo di San Morello fu don Diego Cavaniglia, sotto il cui vessillo, per la riconquista di Otranto, caduta nelle mani dei Turchi, nel 1480, militarono molti nobili rossanesi, mentre successivamente ne divenne signore Ferdinando D’Aragona fino al 1507 quando a seguito della restituzione del contado di Caiazzo a Roberto Ambrogio Sanseverino (18) (3), a Ferdinando d’Aragona fu assegnata, in permuta, la terra di Montalto, insieme alla baronia di Pietrapaola con alcuni feudi tra cui quello di San Morello facente parte del principato di Rossano in gran parte alienato e levato a Marino Marzano, per aver preso parte alla congiura dei baroni contro Ferrante I.

Come ancora ci ricorda il Gradilone, San Morello, nel 1525 fu poi concesso a Mariano Abenante. In relazione ecco quanto lo storico rossanese scriveva: «[…] il capitano delle armi di Crotone riceveva ordine dal Vicerè di reintegrare il rossanese Mariano Abenante nel possesso delle terre di Casabona e di San Morello, che si erano ribellate alla Regia Corte, per istigazione di Scipione e Diomede Antinorio» (4).

In relazione, conferma di quanto già riportato si ha anche dalle note presenti a p. 176 dell’opera Istorica Descrizione del Regno di Napoli diviso in quindici provincie, dell’incisore Giuseppe Maria Alfano, pubblicato in Napoli nel 1823 dai Torchi di Raffaele Miranda. Per il delitto di tradimento della fede giurata di Scipione e Diomede Antinori, verso il proprio signore, nel primo quarto del 1500 la baronia di S. Morello, insieme a Casabona, venne devoluta al fisco. Sin dal 1525 fu Feudo degli Abenante di Rossano con Mario, 2° barone di Calopezzati, al quale per disposizione di don Piero Consaga, al tempo viceré, gli venne conferito proprio il possesso della baronia di San Morello, per aver represso le ribellioni della popolazione contro il gravoso sistema fiscale applicato dagli spagnoli.

Già in precedenza, per i servigi prestati con fedeltà alla corona, Carlo V aveva confermato al barone di Calopezzati il titolo e i feudi posseduti, e in aggiunta, per contrastare le scorribande turche lo nominò responsabile della guardiania dei porti e delle spiagge della Calabria Citra e Ultra. San Morello continuò così ad essere degli Abenante anche in seguito con Francesco Barnaba, che secondo quanto riportato dal sito sulle famiglie nobili napoletane «[…] divenne il capo famiglia, fece educare tutti i suoi fratelli, diede un nuovo assetto finanziario alle attività, comprò il feudo di Monasterace (nel basso Jonio) nel 1785 ca. che, pur essendo molto lontano da Rossano procurò agli Abenante il titolo di barone, e che si aggiunse a quello di San Morello; dopo dieci anni si trasferì a Napoli per meglio gestire gli interessi di famiglia e lasciò Emanuele in Calabria; quest'ultimo, sposato con Maria Francesca Giannuzzi Savelli dei principi di Cerenzia» (5).

Ritornò poi ancora nei possedimenti dei D’Aragona prima con Ferdinando fino alla sua morte nel 1543 poi con Antonio che morì qualche mese dello stesso anno, con Pietro che controllò il Feudo fino al 1552 ed infine con Antonio che morì nel 1583.

Ulteriori informazioni si ricavano dal Pellicano Castagna che così componeva: «[…] sul cadere del secolo XVI e per un breve periodo, Pietrapaola e San Morello appartennero alla famiglia Vollaro. Ed infatti, Paolo Vollaro – quale figlio ed erede del fu Lorenzo (deceduto il 24 marzo 1584), che le aveva acquistate col patto di retrovendita dal duca di Montalto, il 27 marzo 1585 ebbe significatoria di relevio per le terre di Pietrapaola e San Morello. (Spoglio Significatorie I, f. 545 che riporta dal Registro Significatorie 26, oggi perduto, f. 82). Il patto di ricompra fu però esercitato, onde la Duchessa di Montalto Maria D’Aragona il 6 settembre 1586 ebbe significatoria di relevio per lo Stato di Montalto, con Pietrapaola e San Morello come erede del Duca Antonio D’Aragona (Spoglio Significatorie I, f. 558t. che riporta dal Registro Significatorie 27, oggi perduto, f. 59). Una nuova significatoria le fu spedita contro il 22 settembre 1594 per le terre di Montalto, Pietrapaola, Cropalati, Crosia, Caloveto (Spoglio Significatorie I, f. 65It. che riporta dal Registro Significatorie 32, f. 124)» (6). Terre di San Morello e Pietrapaola che successivamente vennero vendute dalla Duchessa Maria D’Aragona a Fabio Alimena, barone di Poligroni e Marri, per il prezzo di 40.000 ducati con Regio Assenso del 1609 registrato nel Quinternione 42, f. 139 (Cedolario 75, f. 133t.). L’Alimena si liberò della Terra di San Morello, vendendola al dottore Giovanni Caligiuri con Regio Assenso registrato nel Quinternione 42, f. 224 (7).

A seguito delle ricerche del Pesavento (8) veniamo pure a conoscenza che nel 1620 feudatario di San Morello fu Francesco Maria Caligiuri, giusta nota [xli] Mazzoleni J., Fonti cit. p. 22 e che Scipione Migliarese comprò il feudo di San Morello e ne divenne barone. A questi seguì il figlio Diego che, nel 1680, risultò barone di San Maurello, come si deduce dalla nota [xlii] del Valente G., in La Sila dalla transazione alla riforma, Rossano 1990, p. 342.

Come già riportato San Maurello, secondo il Fiore (vedi nota 9), venne aggregato allo Stato di Umbriatico del Marchese Rovegno. Successivamente sempre secondo il Pesavento il Feudo passò «[…] dai Coscinelli al monastero di Santa Teresa d’Avila dei Carmelitani Scalzi di Cosenza: “Terra S. Maurelli manet sub dominio temporali Vblis Monasterii Sanctae Theresiae Civitatis Consentiae ex legato facto a q.m Cajetano Cusinelli”, giusta nota n [xliv], ASV, SCC. Rel. Lim. Cariaten. 1725» (9).

Dagli studi di Luca Covino, inoltre, è possibile avere informazioni sulle famiglie feudali in Calabria Citra come il caso di Caligiuri di cui si è già accennato, feudatario di San Morello nel 1669 riportato alla p. 109 e di Ferrigno Antonio, feudatario nel 1737, riferito a p. 112. Sempre dal Covino «Studi locali tramandano racconti di signorotti rapaci come i de Paola, i Cortese, i Guerra, i Barberio, i Toscano, i Marsico, gli Alitto che nel Sei e Settecento fecero stabile dimora nelle loro terre (181), come dimorarono a Rossano/Corigliano baroni quali gli Abenante, titolari di S. Morello, e i Castriota, baroni di San Demetrio fino al 1732 (182)» (10).

Alla fine del ’700, come riportato dal de Rosis, Emanuele Abenante era barone di Monasterace e di San Morello (11). Per la precisione il feudo di San Morello costituito da appena 182 anime venne acquistato nel 1760, periodo in cui il borgo faceva parte del cantone di Cirò (12).

Nel 1799, Emanuele Abenante aderì alla Repubblica di conseguenza, come reo di stato, subì la confisca dei suoi beni.

Con la riforma amministrativa avviata dai decreti 8 agosto e 8 dicembre 1803 San Morello rientrò nel Distretto di Rossano che intanto era stato ampliato per effetto della legge 4 marzo 1807, (p. 629 nota 2).   

Informazioni riguardanti il numero degli abitanti presenti a San Maurello, in Calabria Citeriore, tra il 1500 e il 1750 si ricavano dalla imposizione fiscale applicata con la tassa sui fuochi da cui è possibile determinare approssimativamente la popolazione residente. Un primo dato, relativo all’anno 1521 si ricava dalla consultazione dell’opera di T. Pedio dal quale risultano ben 27 fuochi (13), mentre per quanto riguarda gli anni successivi a darci informazioni più dettagliate è Lorenzo Giustiniani, nella sua opera dedicata a S.M. Ferdinando IV re delle Due Sicilie, il quale così riporta: «Nel 1533 ne ritrovo la tassa di fuochi 31, nel 1545 di 18, nel 1561 di 21, nel 1595 di 38, nel 1648 di 59, e del 1669 di 27. Nell’ultima situazione del 1737 per 24» (14).  

Dai dati sopra evidenziati se ne ottiene che in quegli anni la media del numero dei fuochi fu di circa 30. Pertanto, considerato che ogni fuoco veniva valutato come un nucleo familiare composto da 4 a 5 persone, potremmo supporre che il Borgo di San Maurello, nel periodo osservato, fosse costituito orientativamente da una popolazione di 150 residenti.

Poche ma importanti informazioni storiche su San Morello, risalenti al 1796, li scopriamo nell’opera di D. Francesco Sacco, dedicata a Francesco di Borbone principe ereditario delle Sicilie, nella quale l’Abate in riferimento così racconta: «San Morello Casale Regio nella Provincia di Cosenza, ed in Diocesi di Cariati, il quale giace sopra un monte tutto scosceso, d’aria buona, e nella distanza di tre miglia dalla città di Cariati. In questo Regio casale è da notarsi soltanto una Chiesa parrocchiale di mediocre struttura. Le produzioni del suo territorio sono grani, frutti, vini olj, ghiande, manna, ed erbaggi per pascolo di mille ed ottocento vacche, e capre. La sua popolazione ascende a trecento sotto la cura spirituale di un Arciprete, e di due Sacerdoti» (15).

Con il riordino amministrativo del governo francese, voluto da Napoleone, il 4 maggio 1811, San Morello venne accorpato a Scala Coeli come Casale.

Da queste brevi note storiche se ne desume che l’imponente centro storico di San Morello della Calabria Citra,  nel Basso Ionio Cosentino, nei secoli, si è ingrandito urbanisticamente disponendosi lungo il crinale del colle attorno alle rovine di una vetusta torre di avvistamento, identificata dalla gente del luogo come castello, posizionata nella parte più elevata del centro storico, su un cocuzzolo a circa 400 metri s.l.m. che spunta in alto verso il cielo come se fosse un piccolo vulcano spento, con una vista meravigliosa a 360° che ne permette di spaziare a nord sulla immensa distesa azzurra del mare Jonio, nella quale si specchia la catena montuosa del Pollino, a ovest sull’intera vallata sottostante a ridosso del fiume Arso, a sud sulle pendici montagnose presilane di Mandatoriccio e ad est sul territorio di Cariati e verso il Nicà.

Contornato da verdeggianti uliveti, agrumeti, orti e rigogliosi tratti di macchia mediterranea, circa il profilo burocratico - amministrativo oggi questo piccolo borgo è una frazione del Comune di Scala Coeli, in provincia di Cosenza, da cui dista circa 5 km, interessante e antico comune della Sila Greca, appartenente alla Regione Agraria n. 17 – Colline Litoranee di Cariati. Oggi, complessivamente le famiglie residenti sono 94 mentre il numero generale degli abitanti è di 165 unità. Consistente il numero degli edifici la maggior parte dei quali adoperati come edilizia residenziale e una esigua minoranza, invece, destinati a uso produttivo, commerciale o altro.

Tuttavia, San Morello non è immune e non lo è mai stato da ciò che continua ad accadere ai numerosi borghi della Calabria circa il disagio sociale vissuto dalle persone del luogo che quotidianamente aspirano a superare difficoltà inimmaginabili, con la speranza di far valere i propri diritti primari negati, per la carente presenza e in alcuni casi completa assenza dei servizi fondamentali. I dati sulla popolazione residente sopra evidenziati indicano, in qualche modo, come ci ricorda Assunta Scorpiniti in un suo pezzo di qualche anno fa per il Quotidiano del Sud, del 5 ottobre 2014, come tutto ciò si tramuta in un «assordante silenzio che denota lo stato di spopolamento e di abbandono», al quale il piccolo e vetusto borgo da sempre viene sottoposto. Un silenzio istituzionale, come scrive ancora la Scorpiniti sul quale tutti concordano, e dal quale affiorano inequivocabili responsabilità della politica che nei secoli non ha fatto fino in fondo il proprio dovere per assicurare il pieno sviluppo economico e sociale di questo meraviglioso Borgo.

Bibliografia

[1] A. SCORPINITI, Abbandono indicato dalle pietre sulla soglia, in San Morello, il Paese del silenzio. Viaggio in un piccolo luogo di Calabria, simbolo del Sud immobile (Da Il Quotidiano del Sud del 5 Ottobre 2014), pagg.45,46,47,48,49 )

2 P. G. FIORE da Cropani, Della Calabria Illustrata, Tomo I, per li Socij Dom. Ant. Parrino e Michele Luigi Mutij Napoli 1691 p. 236.

3 Cfr. A. GRADILONE, p. 424. [Nota (18)].

4 A. GRADILONE, Ivi, p. 359.

5 Famiglia Abenante, in http://www.nobili-napoletani.it/Abenante.htm.

6 M. PELLICANO CASTAGNA, Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, Volume IV P-R, Editrice CBC, Catanzaro Lido 2002, pp. 76-77.

7 Cfr. M. PELLICANO CASTAGNA, p. 77.

8 Cfr. Andrea PESAVENTO, San Maurello poi San Morello. Un piccolo paese, una lunga storia, in Archivio Storico di Crotone, www.archiviostoricodicrotone.it.

9 Ibidem.

10 Luca COVINO, Governare il Feudo Quadri territoriali, amministrazione, giustizia Calabria Citra (1650-1800), Franco Angeli, 2013, p. 124. [Nota (182) Sugli Abenante tra le più importanti famiglie del patriziato provinciale i cui interessi erano concentrati nel territorio tra Corigliano e Rossano T. Gravina Canadè. Notizie sulla Famiglia Abenante e su alcuni feudi minori della Calabria nel suo Studi Calabresi, Soveria mannelli, Rubbettino, 1994, pp. 83-181 che si sofferma anche sui Castriota Scanderbeg e i Sollazzo ebbero un rilevante giro d’affari legato al commercio di derrate, olio, liquirizia L. Piccioni, Una famiglia di «monopolisti» del Regno di Napoli: sulle attività economiche degli Abenante di Rossano nel Settecento dall’Archivio Martucci di Rossano Calabro, in «Dedalus», 2006, pp. 103-135. Per San Morello, acquistato nel 1760, Rossano – Archivio Abenante, b. 1, Apprezzo del Feudo di San Morello, cc. 1-56].

11 L. De ROSIS, Cenno storico della Città di Rossano, Atesa Editrice, Bologna 1982, p. 312.

12 Cfr. A. GRADILONE, p. 605. [Nota (40)].

13 T. PEDIO, Un foculario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1447 al 1595, in ‘Studi Storici Meridionali’ n. 3/1991, p. 263.

14 Lorenzo GIUSTINIANI, Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli, Tomo VIII, Napoli 1804, p. 324.

[1]5 Abbate D. Francesco SACCO, Dizionario Geografico-Istorico-Fisico del Regno di Napoli, Tomo III, Presso Vincenzo Flauto, Napoli MDCCXCVI, pp. 300-301.

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica