Anfiteatro De Rosis, monumento all’incapacità: pensato male, vissuto peggio
Inaugurato 15 anni fa, il gioiello da 4mila posti sullo Jonio è stato ridotto a simbolo dell’improvvisazione e del fallimento culturale di un’intera classe dirigente. Serve subito l’esternalizzazione per salvarlo

CORIGLIANO-ROSSANO - Nel 2010, in pompa magna, fu inaugurato come “Anfiteatro degli Enotri”. Poi, un’altra volta nel 2015, con un upgrade di posti a sede e nuovo nome, “Anfiteatro De Rosis”. Da allora ad oggi: polemiche, sprechi, silenzi, cemento e proclami. Oggi, quindici anni dopo quella prima inaugurazione, l’Anfiteatro più panoramico della Calabria (almeno fino a quando Stasi non ha deciso di piazzarci un palazzetto polifunzionale dello sport che ne ha occluso parzialmente la visuale) è diventato l’Anfiteatro del nulla.
Costato 1,5 milioni di euro, che all’epoca erano tanti soldini, e costruito sul promontorio più bello del centro storico di Rossano – quello che si affaccia maestosamente sul Golfo di Sibari – avrebbe dovuto essere il cuore pulsante della cultura e dello spettacolo della città del Codex. Ma nessuno, né allora né oggi, ha avuto e ha una visione, un piano, una strategia per farlo fruttare costantemente. In realtà quell’emiciclo sembra più un motore in eterno rodaggio, capace di accelerate mostruose e bruschi stop.
In un decennio e mezzo, questa struttura è stata utilizzata a malapena una cinquantina di volte. Sempre in maniera estemporanea, al massimo per una serie di concerti agostani o per accontentare la velleità politiche di turno. Insomma, tutto regolare, nel pieno stile del nostro Fort Apache.
Eppure, i numeri sono spietati. Capienza: oltre 4mila posti. Posizione: unica e irripetibile. Struttura: potenzialmente fruibile da aprile a novembre (con un intervento di restyling anche tutto l’anno!). E invece niente. Solo l’eco del vuoto di idee.
Ma il punto è un altro. L’Anfiteatro De Rosis è il paradigma perfetto dell’inadeguatezza gestionale della cosa pubblica a cui le genti di questo territorio sono abituate da sempre: costruire, inaugurare e poi abbandonare. Perché alla politica, soprattutto alla politica che gravita alle nostre latitudini, servono consensi immediati. Non c’è tempo per la programmazione. Ed è così che anche una grande e importante opera come l’Anfiteatro De Rosis, va in malora: perché l’abbiamo costuita però, poi, la vera sfida era gestirla. E non ne siamo stati e non ne siamo capaci.
Non mancano le risorse, mancano le idee. E, soprattutto, manca la volontà di affidare a chi è competente la gestione di un bene pubblico di valore incalcolabile.
Lo dimostra la recente delibera del Consiglio Comunale dello scorso 5 giugno, che ha dato il via all’esternalizzazione dei teatri storici “Paolella”, “Valente” e “Cittadella dei Ragazzi”. Con un regolamento moderno, chiaro e funzionale, si è finalmente stabilito che la cultura può essere anche amministrata con raziocinio, trasparenza e professionalità.
Perché allora, ci chiediamo, non applicare lo stesso criterio anche all’Anfiteatro De Rosis?
Che si proceda con un bando pubblico, con una concessione pluriennale ad un’impresa o un consorzio (possibilmente non del posto) che con massima competenza sappia rilanciare questa struttura con una programmazione culturale vera, storicizzata, capace di attrarre artisti, pubblico e risorse. Che sappia fare del De Rosis un motore di economia locale e non un luogo che quando lo vedi, la prima cosa che ti viene in mente è dire - che peccato!. Che investa nel restyling per renderlo fruibile tutto l’anno, magari coprendolo parzialmente e dotandolo di servizi adeguati.
Il tempo delle scuse, degli studi, delle attese per capire cosa fare, è finito. Il Comune non ha né le competenze né le risorse per gestire una struttura del genere. E la comunità non può più tollerare che un patrimonio pubblico resti a languire per colpa dell’immobilismo della politica.
Ogni primavere, estate e autunno che passano senza una stagione culturale degna di questo nome, ogni concerto spot, ogni evento last minute, è un colpo inferto a quello che avrebbe potuto (e dovuto) essere un punto di riferimento per tutto il Sud Italia.
Abbiamo perso uno stadio storico per costruire un teatro elitario che oggi non parla né alla città né alla sua storia. E se questo è il lascito, allora non è solo uno spreco. È un insulto.