Tornano le trivelle nello Jonio. La costa della Sibaritide di nuovo nel mirino delle ricerche petrolifere
Annullato il PiTESAI, il Ministero riapre gli iter sospesi per la ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto e sulla costa calabrese. Preoccupazione tra i comuni della Sibaritide: il rischio è di un ritorno al passato. Ecco i punti interessati
CORIGLIANO-ROSSANO - Dieci anni dopo la grande mobilitazione che unì Basilicata, Calabria e Puglia nel dire “no” alle trivellazioni nel Golfo di Taranto, la storia sembra ripetersi.
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, a seguito dell’annullamento del PiTESAI – il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee – ha disposto la riapertura di tre vecchi procedimenti di ricerca petrolifera che interessano direttamente il mare e la costa jonica calabrese.
Secondo gli atti pubblicati dal Bollettino Ufficiale Idrocarburi e Georisorse (BUIG), si tratta delle istanze "d 79 F.R-EN" presentata da Aleanna Italia S.p.A., che riguarda un’area marina di oltre 640 chilometri quadrati nel Golfo di Taranto, e dei permessi di ricerca Torre del Ferro e Zolfara proposti dalla Apennine Energy S.p.A., che coinvolgono l’intera fascia costiera della Sibaritide, da Cassano all’Ionio fino a Cariati, passando per Corigliano-Rossano, Crosia, Pietrapaola, Mandatoriccio, Caloveto e Scala Coeli.
Di fatto, con la caduta del PiTESAI, che nel 2021 aveva individuato le aree “non idonee” alle perforazioni, tornano efficaci le vecchie istanze di ricerca di idrocarburi, sospese negli anni per motivi ambientali e paesaggistici. E così, quelle stesse aree che negli anni scorsi erano diventate simbolo della difesa del mare e del paesaggio mediterraneo, oggi si ritrovano di nuovo “aperte” alle attività esplorative.
«È una notizia che riapre ferite mai rimarginate», commentano dal movimento Med No Triv – No Scorie, che da anni si batte contro ogni forma di trivellazione nello Jonio. «Il nostro mare – ricordano – è un ecosistema fragile e prezioso, con fondali ricchi di biodiversità e con un patrimonio culturale e archeologico unico al mondo. Le trivelle non portano sviluppo, ma distruzione e rischio ambientale».
Le preoccupazioni non riguardano soltanto l’ambiente. Per molti amministratori locali e operatori turistici, la riapertura degli iter è anche una minaccia per l’economia del mare e per la vocazione naturale di un territorio che negli ultimi anni ha puntato sulla sostenibilità, sulla pesca di qualità e sull’identità culturale della Magna Grecia.
Dal canto suo, il Ministero difende la legittimità del provvedimento, spiegando che la riapertura degli iter è una conseguenza automatica dell’annullamento del PiTESAI da parte del TAR Lazio, e che ogni progetto dovrà comunque superare la valutazione d’impatto ambientale (VIA) prima di ricevere qualsiasi autorizzazione operativa.
Ma la preoccupazione resta. E mentre le sigle ambientaliste annunciano nuove mobilitazioni, nei comuni della costa sibarita cresce la sensazione che – ancora una volta – le decisioni che riguardano il futuro del territorio vengano prese altrove.
Nel Golfo di Sybaris, dove storia, mare e agricoltura convivono da millenni, lo "spettro" delle trivelle rischia di diventare il simbolo di una sfida mai chiusa: capire qual è la vocazione di questo territorio e battersi concretamente affinché questa si realizzi