Viaggio nel centro della zona rossa del Coronavirus. Pietro vive a lavora a Casalpusterlengo ma è di Mirto: «C’è tanta esagerazione. Vogliamo tornare alla normalità»
di Josef Platarota Pietro è di Mirto e lavora a Casalpusterlengo, comune di 15.000 abitanti nel lodigiano, in Lombardia, e fulcro della zona rossa del Coronavirus. Raggiunto via telefono ci confida quello che si sta vivendo nel centro nevralgico delle attenzioni del nostro paese, tra paura, allarmismo, esagerazione e voglia di tornare alla normalità. «Inizialmente negli occhi delle persone si vedeva la paura e il terrore – ci ha rivelato in esclusiva, - nessuno conosceva quello che davvero era il Covid-19. Basti pensare che il primo giorno di tutto questo, ovvero venerdì 21 febbraio, ho fatto giusto in tempo a fare la spesa perché era esploso il pandemonio, i supermercati sono stati presi di assalto e hanno dovuto chiudere alle 16.30. Sembrava davvero che il mondo stesse collassando». Casalpusterlego, Codogno, Castiglione d’Adda, Maleo, Fombio, sono alcuni dei paesi finiti in quarantena ed isolati a causa del virus. «Il paziente 1 è di Codogno ma lavora qui. La sua famiglia è molto conosciuta in città. Tutti questi centri sono attaccati gli uni con gli altri e, proprio per questo, si è arrivati subito al contagio». Pietro ci parla di come si vive in questo isolamento: «all’inizio è stata dura perché ci sentivamo come degli appestati, con esercito e forze dell’ordine in ogni via. Ora la situazione sta migliorando ed è tutto sotto controllo. Non posso nascondere che i primi giorni sono stati duri, non c’era informazione sul Coronavirus, gli abitanti pensavano che appena avessero contratto il morbo sarebbero morti». Infine, un appello: «A Casalpusterlengo abbiamo tutti la consapevolezza che la reazione di chi dovere è stata ineccepibile. Qui la sanità è tra le migliori in Europa e la prevenzione è impeccabile, quello che bisogna migliorare è la comunicazione. I primi giorni sono stati traumatici, adesso le persone iniziano ad uscire senza mascherine. Non bisogna dimenticare che si sta bloccando tutto: la stazione è chiusa, le strade sono deserte, i bar e i ristoranti hanno le saracinesche abbassate. È tempo di rialzarsi e non sottovalutare i danni che questa fobia, alle volte eccessiva, sta portando alla nostra economia». [gallery ids="100020,100021,100022,100024,100029,100030"]