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NUGAE - Tra l’io e il noi, per dissipare le nuvole di grigie solitudini

3 minuti di lettura

Credete anche voi che ci sentiamo tutti un po’ più soli ai nostri giorni?

Prima pensavo fosse una condizione di alcuni, in condizioni e periodi specifici della vita. Invece, pur da ottimista, sempre più ritengo che, come sottofondo, come sensazione presente o temuta, riguardi quasi ogni individuo, anche in diverse età: i bambini, anche se non lo sanno portare a livello di consapevolezza, sono tormentati dalla paura dell’essere o del rimanere soli. Nello scorrere del tempo, il timore si incentra prima sui genitori, in modo così angosciante da animare quegli incubi che, fisiologicamente, popolano le notti dei piccoli in una determinata fascia di età; poi, via via, dai primi anni scolastici in avanti, le persone della cui vicinanza e condivisione si sente maggiormente il bisogno diventano quelle della propria fascia d’età, i coetanei. Credo che da adulti non capiremo mai abbastanza (salvo cercarlo nella nostra stessa memoria) il bisogno estremo che si prova della complicità tra pari, dell’accettazione di sé in un gruppo, del riconoscimento sereno della propria individualità in una compagine che ha i propri specifici segni di riconoscimento e complicità:  linguaggio, abbigliamento, luoghi che si frequentano, motti di spirito, etc… Gli indirizzi pedagogici più illuminati e le stesse istituzioni di formazione strutturate in modo consapevolmente mirato alla formazione sana e completa dell’individuo, valorizzano e bilanciano questo bisogno di sviluppo personale all’interno della cooperazione e confronto stimolante tra pari, stimolando la capacità di collaborazione, per raggiungere quell’abilità -affatto scontata- del fare squadra lavorando su obiettivi comuni, aspetto che oggi anche l’Europa indica tra le competenze chiave di cittadinanza.

Ossia, a partire da una corretta dimensione del sé, dobbiamo tutti imparare meglio e di più ad essere e fare NOITA’, in una società che, attraverso varie dinamiche e per infinite concause, è troppo incentrata sulla EGOITA’.

Alla base di tutto, forse, il sopravvento che ha assunto il modello socio-antropologico dell’homo oeconomicus, o, per meglio dire, quel corrotto e malato circuito di logica economica, finalizzato all’automantenimento di se stesso (o del sistema, o di pochi)  piuttosto che a soddisfare i reali bisogni delle persone e al raggiungimento dell’unico fine da perseguire: la felicità individuale all’interno della più ampia e inclusiva logica del bene comune.

Ma come si può essere felici da soli o in pochi? Quale vero benessere può appartenere ad una ristretta cerchia di persone? Cos’è la felicità stessa, quella vera, profonda, appagante, se non quella pace interiore che ci fa sentire bene con noi stessi e col mondo intorno? O almeno, con quel pezzettino di mondo che tocchiamo ogni giorno?

E tuttavia, la vista è, spesso, troppo focalizzata sulla finta, presunta, felicità da selfie, tanto più esibita e costruita in “storie” quanto più vuota e triste nella sostanza. La meta si perde, il comune errare ci trattiene (anche quando sembra ci intrattenga piacevolmente) su false piste, su desktop intasati, in palazzi troppo competitivi, in case esse stesse a volte troppo fredde -anche quando surriscaldate-. E noi siamo lì, a quelle scrivanie, in quei corridoi, tra finte icone e vetrine illuminatissime che urlano gioia; camminiamo, corriamo anzi, ci affatichiamo in tanti, nella folla, ma spesso avvolti in nuvole di grigie solitudini che si squarciano solo a tratti, quando qualcuno o qualcosa, un sorriso o una nota, un racconto disteso o un ragazzo che sa ancora giocare riescono ad entrare dentro e a dissipare le nebbie.

Non so se davvero qualcosa possa invertire la marcia, non so se parlarne serva, e sono ben consapevole del rischio di scivolare in una banale retorica buonista; ma forse non è inutile del tutto professare la fiducia nella possibilità di costruire ancora spazi e momenti per salvarci insieme da una dilagante solitudine che non risparmia nessuno.

So che ingombrato è diverso da pieno; so che col troppo o col vacuo si esorcizza il vuoto, ma che se quel vuoto si riempie di visioni, emozioni e ideali condivisi questi riusciranno anche a mettere ordine nei nostri caotici cumuli quotidiani e ad affrancarci da una troppo diffusa insoddisfazione.

Siamo spesso impegnati, nella vita personale, familiare, professionale, nelle organizzazioni sociali, a fare progetti e spesso, per renderli convincenti, credibili, ci affanniamo a costruire numeri, a far tornare i conti, a costruire business plan che sappiano tradurre la visione in una pianificazione strategica sostenibile ed efficace. Allora, anche sulla scorta dell’invito che dal 2011 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha rivolto a tutti i governi, stimolandoli a “dare maggiore importanza alla felicità e al benessere come misure dello sviluppo economico”, impariamo anche noi, nel piccolo, a dare un coefficiente vero alla felicità, alla qualità del vivere, anche nei suoi aspetti più immateriali e perciò meno facili da ponderare; ricordiamoci in ogni situazione e contesto di quanto possa essere importante impegnarci per realizzare quel necessario, imprescindibile, equilibrio tra realizzazione individuale e una (ovviamente sana, non da regime) dimensione di NOITÀ. Chissà, magari, così, anche solo provandoci, ci sentiremo meno insoddisfatti, meno soli e, con-dividere il comune senso di fragilità, lo renderà, perciò stesso, più lieve.  

(in foto La ricerca della felicità. Manuela Cotti)

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.