Di vento, di storie e malinconia
È la vita che scorre continua: sorregge, rapisce, restituisce, alla ricerca di equilibri instabili
Oggi (sabato) tira vento.
È un vento che scompiglia i capelli e si diverte ad alzare le gonne; che fa volare in aria quei coriandoli dorati gettati per sposi da poco consacrati e li trasforma in pioggia benedicente; che irrompe in folate robuste e improvvise e versa l’acqua dai bicchieri più esili; bagna le ginocchia. Fischia nei microfoni delle piazze, zittisce musici e parlanti. È un attimo, ma basta. Anche lui dice “Io ci sono”. Noi accomodati, organizzati, acconciati (io un po’ meno, in verità; non che sia una novità!), lì compiaciuti, beati, ad attendere l’atteso, a gioire di noi, di riflessioni, amicizie, canzoni senza tempo, rime che conosci e riconosci, non scalfite dai secoli. E lui che si presenta senza invito, a dire la vita che scorre continua, su un binario parallelo a quello della nostra corsa consapevole.
A volte ci sorregge, quando l’aria è ormai stantìa, quando non sai più chi sei, o chi ti è accanto non ti vede e forse in fondo non ti ha mai guardato; per questo non sai se amato. Via di qui, esci, scappa: il vento parla; è il ponente che ti spinge fuori, sbatte porte, apre finestre, scosta le tende a paesaggi dimenticati, trascurati, tralasciati. Ossigeno vitale che entra in corpo tutto insieme a darti respiro; a darti forza. Aria. Fresca, libera, tua. Di nuovo. Pulita. Carica di domani.
A volte ci sconvolge, travolge, abbatte, azzera. Prende le tue cose più care, carte, progetti, oggetti, affetti… e li porta lontano da te, inafferrabili, intrattenibili, non più tuoi. E tu resti inebetito, intontito, attònito senza capire. Almeno per un po’. Tanto in realtà. Finché la smetti di fare contrasto ai venti della vita e ti senti parte tu stesso di quell’etereo impalpabile fluire di correnti, incroci, energie diverse che si misurano tra loro. Alta pressione. Bassa pressione. Ciclone. Anticiclone. E tu in mezzo, particella corporea a cui non bastano le forze per fare attrito. Resistere. Saggio quando impari ad entrare in quell’equilibrio di forze, fisiche. Non solo fisiche.
A volte ci vela gli occhi di nuvole e sabbia, di ricordi; di lunghi bagni a raccontarsi in questo stesso mare quando non sapevi e mai immaginavi; di assenze che i giorni non bastano a colmare. Di tanto altro. Storie vissute o che è solo un caso se non hai vissuto.
Sa portare vicino ciò che è lontano il vento; se vuole. Tuo. Non tuo. O forse non più. O forse sempre. Un’onda mediterranea qui davanti (sei Africa, Grecia, Siria…?) alza la cresta sulle altre, si gonfia, si abbassa, ora rimonta più forte, piena di sé e di anime silenti; ora è schiuma bianca, bianchissima sui miei piedi incerti, in questa ciottolosa spiaggia di fine agosto oggi più pungente che mai di malinconia e respiri corti che si annodano in gola. I ragazzi giocano lontano; la mia bambina più piccola, appena più in là, è anche lei bianca di schiuma; soffice la sua, carica di gioia immensa di vita e di scoperta. Benedizione! La mia, di schiuma, ribolle, mi sembra quasi che pizzichi sulla pelle di sale mentre si disfa e si scioglie, paga di sé, della sua missione, che forse includeva anche me. O continua con me. Come con te. Perché la Vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Grazie, Vitangelo, creatura a me sempre cara della sicula penna pirandelliana.