Scuola o orologio a cucù?
Di dad, armate eroiche e vili prove muscolari
Sullo sfondo camerette colorate, il top di una cucina, un salotto un po’ sfumato o il tromp l’oeil di una spiaggia hawuaiana, ideale per arginare ferite alla privacy e dare un tocco di esotica illusione.
Nella griglia di layout eccoli lì, in una dimensione mista e sospesa tra il non essere fuori, ma non essere neanche più soltanto in casa. Non da soli, almeno. Sorrisi, timori, attese, silenzi incapsulati in tante piccole geometrie che danno vita, pur in forma di surrogato, alla bellezza dell’essere classe.
Questa la prima insolita condizione alla quale ci si è dovuti abituare nelle iniziali settimane di didattica a distanza nella scorsa primavera. A quelle prime prove, i ragazzi, in una sorta di ebbrezza per quella curiosa e inedita novità, quasi ossimorica, dell’ “andare a scuola stando a casa”, ritenevano legittimo (“fico”?) farsi inquadrare in mise adatte a Morfeo, tazza di latte e brioche, occhi gonfi, manica di felpa appena inforcata, un “presente” detto a mezza gola e un letto spesso ancora da rifare.
Poi, tutto nella vita, se dura, è destinato ad essere inquadrato in una cornice di norme.
E qui l’autore si prese una pausa…
Sarà per questo sottrarsi al dominio delle regole che le esperienze brevi, riescono, in qualunque campo, a conservare quel sapore dolcissimo di irripetibilità e avventura? Correte, pure, con la fantasia; i più fortunati, con la memoria! Lì, ancora, nessuno ci riesce a spiare. Almeno spero.
Tornando al tema, nella nuova stagione di DAD, dalle sbornie di quei primi anarchici collegamenti, si è passati a deliberare regolamenti sulla netiquette del corretto cittadino digitale. Censurati pigiamini e atteggiamenti troppo casalinghi, si è ripristinata, in formato virtuale e logisticamente disseminato, un’atmosfera da aula scolastica, ospitata negli edifici di Meet, Zoom, Skipe, Teams, o confratelli, in contrada etere 4.0.
Analizzare l’esperienza dad, scherzi a parte, è cosa complessa; tanti i punti che andrebbero esaminati e frequente il rischio di interpretazioni bustrofediche, a seconda del punto di osservazione adottato.
Qui mi soffermerò solo su un’innegabile sostanza, sui meriti di un’armata eroica e sulla pochezza di cavillosi orologiai.
Definire la scuola luogo e tempo dell’apprendimento è ben poca cosa rispetto all’alchimia che si realizza nel viverla in pienezza. Vita che fluisce, comunità che cresce includendo, individui che sperimentano se stessi in un ambiente protetto e di facilitazione, cooperazione dinamica: sono i primi, assolutamente parziali, aspetti che rimbalzano sulla tastiera mentre provo a catturare l’essenza dell’ ‘ESSERE SCUOLA’, quella che viene, senza dubbio, sacrificata nella dad, in una misura maggiore o minore -consentitemelo!- in ragione di sensibilità e inventiva del singolo docente. E non smetterò di nutrire gratitudine e meraviglia per alcune commoventi proposte di coinvolgimento a cui ho assistito da parte di non pochi insegnanti. Specie con i più piccoli.
Ma vale per tutti -senza alcuna diminutio ammissibile!- la concretezza e la forza del ‘FARE SCUOLA’.
Anche a distanza, sia chiaro, si fa scuola!
Senza soffermarsi qui sull’enorme diffusione, da tempi non sospetti, di un e-learning di qualità a livello universitario e su non poche note positive che la dad -pur fra vari limiti- potrà scrivere sulle pagine dei manuali di didattica, occorre intanto riconoscere che sono bastati pochi giorni all’intero mondo dell’istruzione -di tutti i livelli e gradi!- per ritarare la propria azione su questa nuova modalità.
Un’impresa colossale, della quale la società tutta deve rendere merito alla scuola; a quella scuola che ha continuato a dire agli studenti e alle famiglie: “Noi ci siamo! Nonostante tutto, tra mille disagi e prove acrobatiche di riorganizzazione, ci siamo, per garantire i principali diritti costituzionali, compensando disparità, appianando differenze”.
L’armata intera dell’istruzione italiana ha dato e continua a dare grande prova di sé, per esserci, in qualunque forma e modalità l’emergenza richieda e le istituzioni deputate prescrivano. E, finché nessuno interrompe gli equilibri faticosamente cercati, gli alunni -ragazzi o bambini- rispondono ogni giorno all’appello!
Quello che la scuola non merita (tra le varie cose) è di essere deprezzata a divenire banco di prova muscolare tra i pochissimi e i tutti, tra istituzioni deputate e altre che, dai seggi sicuri di uno smart working mai messo in dubbio, troneggiano con inedita tempestività, trasformandola, la scuola, in un orologio a cucù sempre più stanco di reggere il gioco.
È inaccettabile in società eticamente solide!
Se ci sono aule che non dovrebbero chiudere sono quelle in cui qualcuno possa ricordare che il diritto non è solo perizia cavillosa e che non si può definire tale se non insegue rispetto, giustizia, e quel bene comune che, seppure mai facile da individuare, certamente, in democrazia, non può contare sei!