Microcredito, una burla? La storia del coriglianese Antonio Cosenza
In giorni in cui il Governo urla ai megafoni di tagli alle tasse, disoccupazione in calo e di scenari allarmistici pressoché rientrati, in Calabria le chiacchiere stanno a zero. Perché insieme a infrastrutture terzomondiste, a rendere la nostra regione sempre più simile ad una tavola inchiodata è quella burocrazia che continua a tarpare le ali di chi ancora si permette di sognare. La storia di Antonio Cosenza, trentaseienne coriglianese, è figlia di questo sfortunato territorio di migrazioni e privazioni. Perché se è vero che il cordone che lega la gente di Calabria alla propria terra è di quelli che non si spezzano mai, Antonio nato e cresciuto in Germania è tornato in quella sua Corigliano che prometteva affetto e desideri da realizzare. Dove mettere le mani in pasta nella “sua” panetteria avrebbe avuto tutto un altro sapore. I tempi sembravano quelli migliori, tra agevolazioni e fondi che la Regione erogava in quantità a soggetti svantaggiati pronti a investire sul proprio territorio facendo microimprenditorialità. Così Antonio inizia il suo viaggio tra carte, faldoni e speranze per aprire una panetteria/biscottificio. In valigia c’è anche un attestato di qualifica professionale che profuma di sacrifici. E dopo 6 mesi dalla presentazione della richiesta di finanziamento, all’accoglimento della pratica di Antonio da parte della Regione segue la sua elaborazione nella Banca Carime di Corigliano scalo. È proprio qui che arriva il primo stop, perché tra gli accertamenti che si rendono necessari per l’accesso ai fondi del microcredito c’è anche la storia creditizia gestita dal Crif che offre a banche, società finanziarie, confidi, assicurazioni, utilities e imprese un supporto qualificato per la gestione del rischio e per il marketing. Così il ritardato pagamento di un precedente finanziamento - per un insignificante totale di 500 euro – significa la chiusura a doppio nodo dei cordoni delle borse bancarie. Quattro rate pagate in ritardo, un debito che Antonio ha già estinto. Ma il sogno si arena nelle secche di una burocrazia che è la solita giungla di pretesti e cavilli. Un boia che fa piombare impietosamente la sua scure sulle famiglie. Povere perché rese povere a colpi di regolamenti ottusi e, troppe volte, ingiusti. «La mia attività era già pronta per essere avviata. Avevo già scelto il locale e dato il via alla richiesta di partita Iva. Spese e sacrifici sostenuti anticipatamente e che nessuno ripagherà. Non mi è stato concesso neppure un colloquio, neanche una volta ottenuta la certificazione di estinzione del mio debito. E nonostante la mia storia sia stata resa nota più volte grazie all’interessamento della stampa, dall’amministrazione comunale della mia città non è mai giunta alcuna espressione di solidarietà nei miei confronti. Sono stato trattato quasi alla stregua di un cittadino disonesto. Il tutto per pochi euro subito risarciti. Torno a chiedere allora, per l’ennesima volta, che si riprenda in mano la mia pratica e la si rivaluti obiettivamente. Sono una persona onesta, merito di essere trattato con giustizia». Se da un lato, allora, ci si spende in programmi di sviluppo e di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, dall’altro ci si impegna in controlli fin troppo eccessivi e in richieste di garanzie proprio a danno delle classi sociali più svantaggiate. Poca flessibilità ed ecco che si rischia il controsenso. Proprio quando dall’Europa arriva il cartellino giallo per la Calabria nella gestione dei fondi. Gravi carenze pongono la nostra Regione nell’occhio del ciclone per il Fondo di Garanzia sulle operazioni di Microcredito e il Fondo di Garanzia per l’Occupazione. Così Bruxelles sospende ben 46 milioni di euro. Mica spiccioli, che nelle casse calabresi potrebbero non arrivare mai.