di MARTINA FORCINITI e SAMANTHA TARANTINO Era il 1986 quando alle ore 1,23 l’orologio mondiale si fermò ad assistere inerme al più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare. Quel
disastro di Černobyl' di cui tutti hanno memoria e di cui si pagano ancora oggi i salatissimi prezzi. Proprio lì, a tre chilometri di distanza, in una città di nome
Pryp'jat' che fu completamente inghiottita dalla nube radioattiva prima di essere evacuata per sempre, tutto è rimasto così com’era. Immobile, spettrale, arrugginito, preda dello scorrere indifferente degli anni. E di quella stessa sensazione di scostante desolazione che si potrebbe provare nel percorrere le strade svuotate di una città fantasma si diventa preda quando ci si inoltra nel grumo di calcinacci e vetri frantumati dell’
impianto sportivo di contrada Insiti. Un’atmosfera lugubre, che zigzagando fra scarpe rotte, forchette e posate ossidate, materassi logori su cui i migranti giacciono occasionalmente e fra resti di pasti chissà quando consumati, si respira in ogni ambiente. Fino a quella piscina d’acqua putrida e piena di carcasse animali. E inseguendo l’onda emotiva suscitata dal dibattito sulla
fusione dei comuni di Corigliano e Rossano, appare ancora più evidente come il mancato funzionamento del complesso rappresenti il fallimento di un progetto culturale. Già, perché l’unica struttura pubblica che si trova proprio a metà fra le due città è oggi il vessillo della difficoltà ad unirsi di Rossano e Corigliano anche su un’opera che avrebbe dovuto abbattere i confini e le frontiere culturali e che avrebbe potuto incoraggiare una fusione dal basso, attraverso lo sport. Un’idea fallita probabilmente vent’anni fa. E che ha trascinato con sé il fallimento della stessa infrastruttura. Come fu il
Checkpoint Charlie, posto di blocco nel Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda che una baracca di guardia è rimasta lì a ricordare, così il palazzetto di Insiti è l’emblema di una divisione mai azzerata, forse ancora più simbolica dello stesso
lenzuolo del Patire. Un altro fallimento, ma in questo caso di natura evidentemente economica, sta alla base di quei diecimila metri quadri su cui sorge, alle porte di Rossano, l’
elaiopolio una struttura sotto l’egida dell’
Arssa (l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e i Servizi in Agricoltura), quindi di proprietà regionale, realizzata con i fondi messi a disposizione dal Ministero dell’Agricoltura ed individuati attraverso le leggi speciali per il Mezzogiorno. Legata alla sana illusione di produrre economia attraverso il nostro oro verde, convogliando in un solo luogo tutte le produzioni del territorio, avrebbe dovuto rappresentare un centro unico nel suo genere, dove produrre, trasformare, commercializzare il prodotto sotto un unico brand. Il relativo guadagno sarebbe stato incalcolabile non solo perché legato al reddito esterno derivato dalla trasformazione di produzioni fuori regione (e che oggi rappresenta uno dei maggiori insuccessi calabresi con 200 mila ettari ulivetati), ma anche al reddito indiretto derivante dalla riconoscibilità del nostro extravergine. Un naufragio manageriale e del modello cooperativo, difficilmente attuabile in Calabria, inevitabile data la sua impostazione totalmente pubblica ed ad un suo utilizzo, andato avanti per molto tempo, alla stregua di un carrozzone di posti pubblici gestito direttamente dalla politica. Costata diversi miliardi di vecchie lire, era stata realizzata fin nei minimi dettagli perché fosse un progetto grandioso che avrebbe dovuto mettere al centro le cultivar calabresi. Nessun politico del nostro territorio, purtroppo, è mai riuscito a riprendere in mano il progetto. Sarebbe potuto diventare, e potrebbe ancora diventarlo, un centro di stoccaggio e una piattaforma logistica per tutta la produzione agroalimentare del territorio. Mentre oggi – come ha dichiarato
Mario Oliverio sul numero 63 de
L’Eco dello Jonio – assistiamo a quella vera anomalia per cui, pur essendo una delle tre regioni italiane per maggiore produzione olivicola, soltanto il 7-8% dell’olio prodotto in Calabria viene imbottigliato. Quali migliori esempi, palazzetto di Insiti ed elaiopolio, del fallimento della classe dirigente tutta. Di chi ha progettato queste due occasioni perse e di chi le ha ereditate passivamente. Senza muovere un dito. Almeno fino ad oggi. E se anche queste due opere non compaiano nell’elenco di tutte quelle strutture abbandonate per cui la Calabria è risultata essere la prima Regione per numero di incompiute, quale differenza c'è, dal punto di vista dello spreco del denaro pubblico e del beneficio o danno alla comunità, tra un'opera letteralmente incompiuta ed una invece compiuta, realizzata ma mai usata o usata solo per un breve periodo ed oggi lasciata marcire nell'abbandono?