Il parlare è arte leggera… il fare, poi, è tutt’altra cosa. In questi giorni ci siamo immersi con un tuffo nei ricordi rossoblù. In quella epopea che fu la Rossanese. Lo abbiamo fatto perché questa squadra appartiene al cuore di un po’ tutti i cittadini. Ognuno di noi ha in qualche modo sentito parlare di questa squadra, che non sono solo undici maglie in campo ma rappresenta quella che è la storia nobilissima e lontanissima di questo territorio. Ci siamo tuffati nel passato, senza voler far torto a nessuno e soprattutto dando onore e merito a chi, dai tifosi ai presidenti che si sono succeduti, agli imprenditori e dirigenti che nel corso di questo secolo di vita dell’amata Rossanese hanno contribuito a renderla comunque una grande passione. Una vera e propria fede. Tanti, ma non tutti. Lo ribadiamo, tanti ma non tutti. Perché con la lucidità critica che ci contraddistingue da sempre, di fianco ai meriti non ci siamo tirati indietro mai - e non lo facciamo nemmeno in questo caso – ad evidenziare i lati oscuri. Le cose che si potevano fare e che non sono state fatte. A ragionare sui peccati (non sul peccatore, che non ci interessa) commessi da chi spesso parla a vanvera senza darsi una guardata alle spalle. In questi giorni, parlando della nostra Rossanese, patrimonio di tutti e di ognuno, indistintamente, qualcuno ha provato a tirarci per la giacca, ricordandoci – quasi a mo’ di rimprovero in quella discussione ampia sulla necessità di riunire le forze imprenditoriali per rilanciare le sorti rossoblù – ha rammentato che oltre agli imprenditori, e quindi ai soldi, servono anche le competenze. Un rimbrotto assolutamente inutile. Perché capacità manageriale preclude necessariamente competenza. Del resto non si è imprenditori per caso! E questo è nella vita come anche nel calcio. Quindi, una società calcistica, imprenditorialmente forte, a sostegno di un progetto altrettanto forte, preclude obbligatoriamente dall’avere uno staff dirigenziale e tecnico che mastichi il pallone. Atteso che nel calcio nulla è scientifico e matematico, e anche la migliore società potrebbe non centrare gli obiettivi. Ma fatta questa inutile ma opportuna precisazione, c’è da dire che spesso a fare la differenza è l’onesta dei “tecnici”. C’è stata una Rossanese forte nelle stanze dirigenziali e nella rosa, ma non in campo. Perché? Perché qualcuno di quelli che aveva competenze in materia e bravura nelle tattiche purtroppo ha avuto anche il patentino del disonesto. La pagina nera dell’illecito sportivo che ha colpito la Rossanese se la ricordano tutti. E non ci sembra che, all’epoca, i mali partirono dalla società (anzi) ma da un gruppo di tecnici né “competenti” in campo tanto meno nella vita. Per non parlare, poi, di quella famosa terza colonna: un nutrito gruppo di criticoni, uno spaccato di storia del “non” tifo della Rossanese che ogni domenica andava al campo (e forse ci va ancora) a gufare le sorti dei rossoblù e a parlarne subito male se le cose non andavano bene. Senza far torto a nessuno, senza recriminare nulla e senza “toccare le corna” ad alcuno. Questi sono fatti, questa è storia. Dalla quale – se si vuole bene alla Rossanese – bisogna trarne le giuste conseguenze, programmare e ripartire.