Quando tutto tace: abitare il vuoto per riscoprire uno spazio fecondo
Contro l‘ansia del pieno per riaffermare il valore di fermarsi, ascoltare, perdere

Oggi avrei dovuto scrivere un corsivo dal tema politico-sociale – meglio ancora se caldo – per offrire una riflessione, un punto di vista personale sull’attualità. Ero confusa. Mi sembrava di dover parlare a tutti i costi di una stortura, di un disagio e di doverlo fare presumendo di avere qualcosa di importante da dire.
Avevamo già più volte parlato di diritti, di sanità, di politica, di lavoro, di povertà, di disagi… e allora che fare? Da dove iniziare? Brancolavo nel buio. E più mi muovevo in queste acque tumultuose, più non riuscivo a venirne a capo. Ecco allora - mi sono detta - qual è il disagio di oggi: il nostro insano rapporto col vuoto.
Nel mio caso, è vero, era una semplice mancanza di ispirazione, ma ciò che mi si presentava davanti era proprio la difficoltà di riuscire a fare i conti con questa mancanza. Perché mi è apparso subito chiaro che la situazione che stavo sperimentando era solo la punta di un iceberg. Un iceberg contro il quale, consapevolmente o inconsapevolmente, ci saremo schiantati tutti prima o poi… o quasi.
La nostra vita, ormai tarata a ritmi frenetici e ad un flusso costante di stimoli, ha spinto questa esigenza di pienezza oltre il limite. Non c’è è più spazio per il vuoto, per la riflessione lunga, capace di sedimentarsi nel profondo. Fare, avere, guardare, fruire, comprare, leggere, imparare, scrivere, lavorare, viaggiare… tutto sempre al massimo, della quantità e della performatività. Performanti nella vita ma anche nei più elementari meccanismi della mente. E nel frattempo niente resta, nessuna idea permane, nessun ricordo rivive e si imprime.
Ci hanno abituati ad avere paura del vuoto perché accoglierlo è come servirsi di una terra incolta e arida. Sterile. Ma è da quella terra che nascerà il nuovo. Far pace col vuoto significa essere capaci di stare fermi tra un pensiero e l’altro, senza che l’inquietudine l’abbia vinta. In questo tempo sospeso si nasconde il segreto della rinascita. Si nasconde la possibilità della novità, di fare emergere idee nuove.
Aristotele nei suoi studi di fisica chiamava questa tendenza della natura a rifuggire il vuoto horror vacui, mentre la scuola pitagorica vedeva nel vuoto la condizione ontologica necessaria per l’esistenza degli enti. Da qualunque punto lo si guardi il vuoto è dunque opportunità: di presenza e pienezza da un lato di possibilità di esistenza dall’altro.
Anche sulle pagine di un giornale il vuoto può assumere un significato simbolico, di sospensione. Non sempre è opportuno parlare, esporsi, dire, commentare. Prendersi un attimo per riflettere e mettere in ordine i pensieri può essere utile per avere uno sguardo più lucido e puntuale sulle cose che accadono intorno a noi. Se ci facciamo trascinare dall’onda del commento a caldo dei fatti, se inseguiamo ossessivamente l’originalità interpretativa dei fenomeni rischiamo di commettere degli errori, anche marchiani.
Il cambiamento – che è la grande promessa del nostro tempo – arriva solo se sappiamo prepararlo, e per farlo dobbiamo essere in grado di pensarlo. Pensare, però, richiede tempo e il tempo del pensiero è caratterizzato da intervalli di vuoto che dobbiamo imparare ad abitare.
Come diceva Pietro Citati nel libro “Sogni antichi e moderni” «la metamorfosi si compie in tutte le direzioni, dalle cose agli esseri umani e dagli esseri umani alle cose» e non dobbiamo temerla, dobbiamo avere solo il coraggio di stare lì ad aspettare e – se possibile – di non farci cogliere impreparati.