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Ieri:Insieme a quei tre ragazzi sul sottopasso di Sant'Angelo c'eravamo tutti

Insieme a quei tre ragazzi sul sottopasso di Sant'Angelo c'eravamo tutti

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Quei quaranta secondi di immagini del Sottopasso di Viale Sant'Angelo sono una ferita aperta, un grido silenzioso che rimbomba tra i palazzi e le strade. Tre ragazzi su un ponte, un gesto folle, pericoloso, inqualificabile. Sassi che diventano macigni lanciati non tanto contro una macchina, quanto contro un destino che sembra essere ormai segnato: quello di un territorio che non sa prendersi cura dei suoi figli e delle nuove generazione.

La condanna per quel gesto è unanime. Scontata. Ma non basta. Non basta perché non placa assolutamente la rabbia che serpeggia, quel giustizialismo cieco dei social che – se avesse potuto - avrebbe linciato quei tre mascalzoni senza capire.

Anche se capire è un atto rivoluzionario. Soprattutto alle nostre latitudini. Capire che quelle pietre non sono solo il frutto di una bravata, ma il sintomo di un male oscuro come l'apatia che divora ogni giorno di più i nostri giovani. Un'apatia che qui, nel cuore spento del nord-est della Calabria, si fa piombo nell'anima.

I ragazzi, ormai, li vedi vagare come ombre, ostaggi di un presente senza orizzonti e senza meta, tra una piazzetta e un'altro. Chiusi in casa a consumare giorni vuoti oppure ologrammi che si spostano da un locale all'altro, senza una vera meta, con tante scintille nell'anima che li scalda ma senza la possibilità che quelle stesse scintille possano diventare un'unica grande fiamma per riscaldare la società.

Non è colpa loro. Non è assolutamente colpa loro.

Qui a Corigliano-Rossano, purtroppo, la giovinezza è sprecata per i giovani, perché agli adulti manca la consapevolezza delle nuove generazioni.

Dov'è lo spazio per crescere, per sognare, per diventare verbo e non rimanere un sostantivo per sempre?

Non ci sono presidi pubblici che tendano loro la mano, non ci sono focolari di aggregazione vera, pulsanti di vita e di idee. Un tempo c'erano le ludoteche, ora non più. Ci sono vuoti incolmabili per gli adolescenti. Non c'è un laboratorio dove far vibrare la musica, non un luogo aperto dove lo Stato, il pubblico, crea momenti di confronto e costruzione. Le palestre, le scuole di danza e di musica, le piscine, i laboratori d'arte, i centri diurno... ce ne sono a iosa, ma sono tutti presidi privati e restano un lusso per pochi in un territorio dove, tra l'altro, il benessere economico generato dal lavoro dignitoso per le madri e per i padri è sempre di meno.

Ci sono gli oratori, l'Azione cattolica, gli Scout, che con tenacia si fanno carico di colmare un vuoto istituzionale assordante, offrendo un rifugio e un minimo di prospettiva ai giovani.

E il tessuto sociale si sfilaccia mentre la solidarietà diventa un ricordo sbiadito. Qui si nasce con la valigia in mano – scrivevo qualche tempo fa - con un timer inesorabile che scandisce l'attesa di un altrove, di una terra promessa che forse non esiste. Perché l'Italia e l'Europa non sono l'Eldorado, ma offrono almeno una prospettiva, un barlume di futuro che oggi rimane negato a questa terra.

Su quel cavalcavia, in quell'attimo di follia, non c'erano solo tre ragazzi. C'eravamo tutti noi. Tutti quelli che ora alzano la voce sdegnati, che lapidano con le parole sui social.

Eravamo lì, complici silenti di un disagio che ignoriamo finché non esplode in un gesto disperato. Ci accorgiamo del problema quando il danno è fatto, quando la pietra è lanciata, quando il vaso è rotto. Ci riscopriamo comunità solo per recriminare, dimenticando che ogni battaglia si combatte in trincea, in prima linea, e senza delega!

Eravamo tutti lì, perché a questi ragazzi non stiamo offrendo alternative al vuoto che li divora. Non stiamo seminando futuro, ma raccogliendo rabbia e frustrazione. Dovremmo chinare la testa, uno ad uno, e vergognarci. Vergognarci della nostra ignavia, della nostra indifferenza, del deserto che abbiamo lasciato crescere intorno a loro. Quei sassi lanciati sono un monito, un grido d'aiuto disperato che squarcia il silenzio assordante di quella che di fondo è solo e soltanto una nostra colpa. Di tutti. Nessuno escluso

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.