La cultura non ha tempi né padroni
Oltre il "binario": un nuovo risveglio culturale e di consapevolezza nel nord-est della Calabria
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Sono trascorsi più di vent’anni dai tempi deli liceo. Per decenni, il mondo della cultura che ha orbitato attorno ai giovani della mia generazione della Calabria del nord-est è stato dipinto con tinte cromatiche forti che col tempo si sono sbiaditi come su di una tela antica. Ne è venuta un’immagine statica e ridondante che alla fine terminava sempre al limite della Magna Grecia, dei Bizantini o dei Normanni.
Insomma, un mondo della cultura che davvero da tanti anni, ormai, si avviluppa attorno ad un codice binario di tanti 0 e tanti 1, dove la complessità della memoria e dell’identità di questo angolo di Calabria si riduce quasi sempre a una sequenza preordinata, sicuramente "corretta" ma soffocante. Un po’ come se Socrate si trovasse di fronte a questa rappresentazione monocorde e nell’esclamare quel “So di non sapere…” si fermasse, perché non c’è altra via d’uscita. Non c’è più altra narrazione.
Narrazione, che nel tempo e sicuramente senza farlo apposta ha strozzato sul nascere le voci nuove, quelle fuori dal coro; ne ha ingabbiato la creatività imponendo un'egemonia culturale che, come una diga, ha bloccato il flusso vitale del pensiero critico. Paradossalmente l’unico a sapersi scagliare contro l’élite preordinata – finché fu in vita – è stato il preside Giovanni Sapia, il decano e “il più sapiente tra i sapienti”. Che alla cerchia stretta dell’intellighenzia locale ha sempre preferito la piazza, ai simposi da circolo declinava preferendo di più catechizzare ed educare i giovani che si soffermavano a giocare a pallone sotto casa sua. E quell’immagine ancora vivida nei miei occhi, di un nonno amorevole che ti chiamava – fijjicè - a via Santo Stefano per poi cambiare registro e improvvisamente diventare un cattedratico da strada a parlare di Dante, che resta indelebile a memento e come guida.
Giovanni Sapia, vero custode di una saggezza intramontabile, ha reagito con scetticismo, se non ostilità, verso un modus operandi poco inclusivo e molto conformato.
Oggi manca. E manca soprattutto nello stile. Ogni movimento, ogni associazione culturale, ogni voce che osi discostarsi dal canone stabilito dall’élite, viene subito etichettata come inattendibile, dileggiata, sottoposta allo stigma di una presunta superficialità.
Ma le cose stanno cambiando. Un nuovo fermento culturale sta scuotendo le fondamenta di questa vecchia struttura. Nascono movimenti, associazioni e gruppi culturali che, con audace sfrontatezza, rivendicano il diritto a una narrazione più completa, più sfaccettata, che abbracci la complessità della nostra storia ma soprattutto del nostro avvenire. È un'esplorazione multiforme, un dialogo aperto tra antitesi e tesi, sicuramente non escludente ma inclusivo, un "Simposio" moderno dove le diverse voci si intrecciano, si confrontano, si arricchiscono a vicenda.
Ma c'è un ostacolo insidioso: la cultura stessa, alle nostre latitudini, è diventata un lusso. In un territorio impoverito dalla mancanza di lavoro e di dignità economica, la libertà, condizione necessaria per la fioritura della cultura, è un bene raro. Come avrebbe detto Platone, “Una città senza giustizia è una prigione”. E una cultura elitaria, accessibile solo a pochi, finisce per essere un'ulteriore forma di disuguaglianza, un'altra barriera che allontana le persone dall'accesso alla conoscenza e al confronto.
Il cambiamento è in atto, ma il percorso è ancora lungo. Per costruire una cultura più inclusiva, più vibrante, è necessario sfidare le narrazioni consolidate, ritrovare consapevolezza e, soprattutto, garantire a tutti la possibilità di partecipare a questo risveglio intellettuale. Solo così, il Nord-Est della Calabria potrà finalmente esprimere tutto il suo potenziale culturale, dipingendo la sua storia con una tavolozza di colori infinitamente più ricca.