Questa è l’isola che non c’è… per davvero
Nel deserto di opportunità del nord-est, un viaggio di 90 minuti si trasforma in un passaggio obbligato, in uno stargate, verso un futuro che qui sembra sempre più distante. Siamo persi perché si è perso il Nòstos
Seconda stella a destra, questo è il cammino… per noi che viviamo la landa desolata del nord-est, questo cammino ha un numero, anzi, sarebbe meglio dire ha un tempo: 90 minuti. È la nostra golden hour dilatata per connetterci alla civiltà, per dire di essere con un passo nel mondo attuale. È il nostro stargate, la nostra macchina del tempo, il nostro Peter Pan che ci accompagna dal mondo vero a quello reale che viaggia a velocità che noi nemmeno più sappiamo immaginare.
Non le immaginiamo perché ci è venuto meno lo scarto generazionale del Ritorno. Il famoso Nòstos di cui parlava il compianto Giovanni Sapia, non c’è più. Ricordo molti della generazione precedente alla mia che, una volta finite le scuole superiori, partivano per andare all’università. Siena, Roma, Perugia, Milano, Napoli… le città dotte, dove si studiava e si imparava a vivere la vita. Una volta acquisito il titolo accademico si ritornava “a casa” con un carico di conoscenze da mettere in campo nelle professioni e un carico, ancora più grande e prezioso, di consapevolezza; quella di aver vissuto una città, una cultura, una mentalità diversa e differente da quella del guscio. Ed è stato proprio quell’importante carico di esperienza acquisito da quegli ormai ex giovani ad aver permesso ai nostri territorio, alle nostre città, di rimanere al passo con i tempi. Di aggiornarci e rimanere in upgrade rispetto al tempo che fugge.
Oggi, invece, quel prezioso passaggio di ritorno, per rigenerare la nostra landa di esperienza e nuove idee, non c’è più. Già la generazione dei quarantenni, per larga parte, a diciott’anni è partita per non fare più ritorno. Del resto, ritornare per fare cosa? Nel nulla che avanza e che, evidentemente, ci piace sia così. E questa assenza di nòstos la si percepisce nelle piccole-grandi cose.
Per noi, cittadini del nord-est, organizzare un mega concerto in piazza è una cosa figa. Certo. Lo è qui. Non più altrove. Perché? Perché negli anni ’90, quando i nostri cinquantenni erano fuori a studiare, i grandi eventi musicali all’aria aperta erano un prestigio, una chicca che non tutte le realtà potevano permettersi. Una cosa figa di cui vantarsi. Ma, appunto, negli anni ’90. Dal ’90 ad oggi, però, il mondo è andato avanti, ed il semplice concetto di concerto si è sviluppato, è diventato evento tematico, festival, mega reunion. Oggi attorno ai grandi eventi a gratis, non a caso, girano le televisioni, perché non interessa tanto la piazza reale quanto quella virtuale che decuplica le cose. Ecco, noi non ci siamo aggiornati, in questo perché ci è mancata l’esperienza di ritorno per farla.
Il nostro modo di vedere il mondo, socialmente, politicamente, istituzionalmente… è rimasto agli anni ’90. E basta vedere le figure, i volti, i protagonisti della nostra realtà per rendersi conto che siamo rimasti al digitale della società mentre attorno a noi tutto è andato avanti, proiettato nella sesta dimensione.
E quel tutto si trova proprio a 90 minuti da noi, in un raggio che va da sud-sud-ovest a nord-est. Chi vive in questo territorio e vuole sentirsi parte integrante del mondo deve obbligatoriamente mettersi in macchina (perché di altro per muoversi non ce n’è) e percorrere per 90 minuti la Statale 106 direzione Taranto, o la Salerno-Reggio, in ambo le direzioni, per trovarsi difronte al mondo vero, fatto di globalizzazione, innovazione e ritrovate identità.
Qui non c’è nulla. Non c’è nulla per gli adulti, ma soprattutto non c’è nulla per i nostri bambini; che, stimolati quotidianamente, dalla voglia di sapere e conoscenza (molto più di quanto non lo fossero tutte le generazioni precedenti) hanno bisogno di sentirsi normali, che sia nella lettura di un libro o nel vivere una piazza. Per fare queste cose (normali) le famiglie della Sibaritide-Pollino hanno bisogno di spostarsi a Cosenza, a Matera, a Taranto, Bari, Napoli… fino a quando potranno permetterselo. Poi finirà anche questo.
Intanto, mentre il resto del mondo evoluto programma, si ingegna, evolve... noi qui persistiamo in una sola arte di governo: la gestione delle emergenze, dell'acqua (che non c'è) e delle buche (che sono sempre più profonde... voragini)