2 ore fa:Cariati contro la violenza di genere ricordando Battistina Russo
15 ore fa:A Trebisacce presto sorgerà una nuova scuola
59 minuti fa:Inclusione sociale, all'Istituto Alberghiero di Cariati l'open day del Caffè Alzheimer
14 ore fa:«Sybaris è a Sibari». Demma "svela" le ricerche degli ultimi anni: «Tante scoperte e nuove visioni» | VIDEO
13 ore fa:L’Università Popolare Rossanese apre le attività con la presentazione del libro "Abbazia Calybita" di Maurizio Traversari
15 ore fa:Anche il Pd regionale scende in piazza contro il Governo Meloni
14 ore fa:All'evento "Tra possesso e Libertà" la denuncia dello Spi Cgil: «Troppo pochi i fondi per i Centri Antiviolenza»
1 ora fa:I giovani del Movimento del Territorio plaudono al lavoro di Straface per il Borgo di Schiavonea
29 minuti fa:In replica la X edizione della Notte del Liceo Classico
16 ore fa:Coldiretti Calabria: «Un olio venduto a prezzi stracciati non è italiano né di qualità»

Festa del lavoro?! Qui non abbiamo nulla da festeggiare

2 minuti di lettura

La Festa dei Lavoratori nella Sibaritide-Pollino è un concetto molto astratto, un eufemismo – se vogliamo. «Questa è una terra di grandi eccellenze, ma anche di profondi divari». Ce lo ha ricordato appena ieri il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in visita in un’azienda d’eccellenza di questo territorio. Una terra dove si produce tanto PIL Calabrese (quasi la metà), ma dove il reddito medio dei cittadini (appena 13mila euro annui) è il più basso della Regione e forse d’Italia. Siamo alla soglia della povertà eppure viviamo una vita apparentemente dignitosa.

Sì, apparentemente. Perché nella Calabria del nord-est si vive perlopiù di agricoltura e turismo stagionale, che – per carità – sono eccellenze peculiari di quest’area, che certamente hanno bisogno anche loro di un upgrade produttivo, sociale e culturale, ma non possono far fronte da sole all’esigenza di progresso e di benessere che qui manca. Innanzitutto perché - e questo riguarda l’agricoltura – qui la piaga del caporalato continua a rimanere dilagante; ma se pure venisse debellata, il lavoro della terra è quello che nella scala dei valori rende meno di tutti. Per non parlare del turismo, il più grande “spottone elettorale” di tutti i tempi, che da 40 anni passa sulla bocca di tutti – indistintamente – i politici come volano di quest’area della Calabria. Dov’è questo turismo se non ristretto in quei cinquanta giorni d’estate? I restanti giorni dell’anno che si fa? Si emigra. E vanno via soprattutto i giovani, che qui non vedono nessuna opportunità.

Allora viene da chiedersi: dov’è lo Stato che forma il ceto impiegatizio e la cosiddetta borghesia? Dove sono le industrie con i loro dignitosi stipendi? Dove sono le grandi opere pubbliche destinate a sbloccare un’economia congelata e innescare il processo di sviluppo? Non ci sono. Un dato: tra Corigliano-Rossano, Crosia e Cassano Jonio, una popolazione di circa 100mila abitanti, sono appena 6500 le persone inserite nel pubblico impiego (il 6,5%); nell’area urbana di Cosenza-Rende-Castiglione, stessa cifra demografica, il ceto impiegatizio pubblico è rappresentato da quasi 16mila unità, quasi tre volte più alto che nella Sibaritide. 

Sullo Jonio manca lo Stato. Ma manca pure l’industria che in termini numerici offre più possibilità occupazionali nell’area della Valle del Crati che non nella Piana.

Eppure oggi, soprattutto dopo l’avvenuta fusione di Corigliano e Rossano, qualcosa è sembrato muoversi, sul fronte delle opere e dei grandi investimenti. Che però portano in dote il difetto congenito del preconcetto, figlio della totale assenza di consapevolezza. Alle latitudini nord orientali della Calabria, di fatto, sembrerebbe impossibile fare, costruire, produrre qualsiasi cosa che non sia prettamente legata ad un retaggio culturale vecchio e stereotipato. Perché non c’è cultura della partecipazione, quella che fa alzare il dito, che fa sostenere o obiettare una causa. E tutto diventa complesso e complicato. E perché non c’è cultura della partecipazione? Perché manca la dignità di un lavoro stabile e ben retribuito. 

Quanti padri di famiglia tirano a campare con poche centinaia di euro al mese dalle nostre parti? Una infinità. E queste persone non le vedi impegnate a partecipare ai dibattiti pubblici, alla vita attiva della loro comunità per esprimere un parere. Delegano. Perché, di fatto, il loro primo e principale pensiero – giustamente – è quello di capire come arrivare a fine mese; di sapere come, finita la stagione estiva, dovranno campare per le restanti tre stagioni dell’anno! E allora è giusto chiedersi se questa condizione di vessazione silente, con tanto lavoro a basso costo e senza libertà, giovi davvero a qualcuno; magari a chi con il valore della delega si è costruito carriere imponenti che in altre parti della Calabria, d’Italia e del Mondo non avrebbe alcun valore né senso. È un tarlo, questo, che gira nella testa e riaffiora dolorosamente oggi, nel giorno dedicato ad un lavoro che qui, in questa landa desolata, ancora non c’è. Buona festa del niente!
 

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.