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La Sibaritide deve decidere cosa vuole essere… da grande

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Di recente si è consumata una polemica cruente sulle sorti del sito dell’ex centrale elettrica di contrada Sant’Irene-Cutura. Un’altra polemica, probabilmente ancora più sanguinaria, è pronta ad aprirsi per il destino del porto di Corigliano-Rossano. Tante altre polemiche, invece, si sono consumate in passato su diverse e svariate questioni che interessano il territorio. Il problema, però, è che le vertenze rimangono sempre lì. Più vive che mai. Come se fosse impossibile portarle a soluzione.

Alla nostra generazione di quarantenni ci raccontano che fino a 50/60 anni fa i nostri paesi, le nostre città erano un pullulare di attività e servizi di cui oggi non c’è più traccia. Sintomatico di una lenta e inesorabile regressione che non è stata dovuta soltanto all’insipienza della nostra politica, che si è fatta scippare tutto, ma probabilmente anche da una sciatteria di fondo che accomuna tutta la comunità territoriale. Su, da quello culturale per finire a quello imprenditoriale. Dove, fatte sempre salve le dovute eccezioni – che in quanto tali confermano la regola –, c’è stato un ristagno di ingegno, assopimento, oziosità intellettuale e perdurante menefreghismo.

Abbiamo perso spazi democratici, abbiamo perso produttività, vocazioni, centralità… sempre a causa di non meglio definite rivendicazioni di principio che non hanno portato a nulla.

Pure a costo di diventare antipopolare, continuo a credere che la più grande sciagura per Corigliano e Rossano, oggi Corigliano-Rossano e per la Sibaritide, è stato aver permesso a Enel, a inizio degli anni 2000, di spicchettare le tende e andar via indisturbata lasciandoci il nulla e innescando un pauroso effetto domino di solitudine sociale, commerciale e di servizi. Di farci piombare nella povertà di futuro. Siamo rimasti a fare la guerra contro la riconversione a carbone della centrale – giustissima e legittima – quando già tutto il mondo sapeva che il carbone aveva la sorte segnata e il tempo contato. Eppure, ci siamo buttati a capofitto, come i muli, nella narrazione di essere un territorio colonizzato mentre altri acchiappavano i soldi di questa presunta “colonizzazione” stra-cambiando le loro prospettive.

Siamo stati orgogliosi di aver combattuto e vinto la guerra contro il carbone ma non ci accorgevamo che nel frattempo stavamo perdendo la battaglia più grande per la sopravvivenza delle generazioni future e la centralità della Sibaritide. Chiusa definitivamente Enel (tutto il resto, dal 2008 ad oggi, attorno al polo industriale, è stato solo un teatrino!), è stato accelerato il processo per la soppressione del tribunale e di tanti altri uffici e presidi pubblici, e a ruota una serie di ricadute nefaste sull’intero tessuto economico e sociale. Tutte coincidenze e casualità ben inanellate l’una con l’altra?! Può essere. Ma la realtà è che oggi siamo più poveri di ieri. Questo è sicuro. Non solo per la crisi globale ma anche per la crisi lenta e lacerante tutta interna alla Calabria del nord-est.

Oggi rischiamo di fare lo stesso errore con il porto di Corigliano (o Corigliano-Rossano, poco importa). Una darsena così grande ed estesa che potrebbe essere declinata a più vocazioni, eppure, ingessata da polemiche e veti incrociati dei movimenti popolari che puntualmente si risvegliano per dire NO. E solo no.

Quel porto è così grande da poter continuare ad ospitare il settore pesca, per sviluppare il diportismo e anche per aprire orizzonti all’industria tecnologica. Perché tutte e tre le cose insieme non si possono fare? Perché non possono convivere? Eppure non stiamo scoprendo o inventando nulla! Semplicemente continuiamo a rimanere ripiegati su noi stessi a piangerci addosso. Perché il lamento piace più d’ogn’altra cosa ed è più facile della lotta e della proposta.

L’area portuale di Civitavecchia agli inizi degli anni 90 aveva dimensioni più piccole dell’area portuale di Corigliano. Molto più piccole, dell’ordine di 1 a 3. Eppure nello scalo laziane hanno sviluppato il commercio marittimo (guarda caso proprio grazie ad una centrale a carbone!), hanno mantenuto la flotta peschereccia e sono diventati l’hub crocieristico più importante del Mediterraneo con l’attracco ogni anno di centinaia di navi cruise di proporzioni mastodontiche. È vero, Civitavecchia è la porta di Roma ma anche Ostia lo è, anche Anzio e Nettuno lo sono.

Noi, invece, siamo la porta per noi stessi: una terra– non finiremo mai di dircelo addosso – dalle infinite possibilità ma che ancora non sa dove vuole andare e cosa vuole essere… da grande!

Nel frattempo, continuiamo a gaurdare il nostro futuro con il bionocolo.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.