Consumismo e Desiderio: come la modernità non ci ha resi liberi ma schiavi
Siamo davvero così appagati e felici? Più frustrati e disillusi forse, isolati e spesso vessati da meccanismi grotteschi propri del vivere moderno. Eppure, stiamo al gioco e ci uniamo alla corsa…
Viviamo immersi nella “società dei consumi” (Bauman). Valore imprescindibile e supremo della contemporaneità è il diritto/dovere al godimento, un godimento immediato e perpetuo che non deriva tanto dal meccanismo di soddisfacimento del desiderio quanto dalla sua intensità e reiterazione nel tempo.
Ma siamo davvero così appagati e felici? Più frustrati e disillusi forse, isolati e spesso vessati da meccanismi che ci costringono a prendere parte ad una competizione, a tratti grottesca, per il raggiungimento di uno status, in una società retta dal consumo che mercifica e capitalizza tutto. Eppure, stiamo al gioco e ci uniamo alla corsa, senza avvertirne l’inganno e la pericolosità.
Uno dei pensatori che ha tenuto traccia di questa trasformazione in atto è stato il filosofo Theodor Adorno. La sua critica alla società parte da una constatazione: il monopolio della produzione e del consenso di massa, ottenuto grazie ai nuovi mezzi di comunicazione (a cui oggi aggiungeremmo anche internet e i social network), influenza pesantemente la mentalità della collettività. Un tale monopolio, lo sviluppo accelerato della tecnica e il dominio di una parte del mondo sulle risorse globali ha consentito alle classi dominanti di elevare il tenore di vita dei lavoratori. Ma al miglioramento del tenore di vita e del potere di acquisto dei beni di consumo dei lavoratori corrisponde «un abbassamento della potenza e rilevanza sociale degli stessi». Perché, se da un lato la «società opulenta» (Marcuse) sfrutta i lavoratori e crea bisogni (indotti), dall’altro li gratifica attraverso l’acquisto di beni di consumo. E qui risiede il dramma: l’appagamento del desiderio si esaurisce nell’uso e consumo, vorace e istantaneo, delle cose. Ma non solo, anche di esperienze ed emozioni. Questo sistema frena ed impedisce il formarsi di una coscienza critica. In questo processo di livellamento (democratizzazione del benessere) le differenze appaiono meno visibili creando l’illusione del traguardo che intrappola il soggetto in una nuova forma di schiavitù. L’oggetto diventa, pertanto, un mezzo raggiungibile atto a soddisfare un desiderio di possesso che accresce il culto della – propria - personalità. «Il consumo fornisce, quindi, agli individui valori e senso». (Gazzetta Filosofica)
Infatti, ogni oggetto, oltre al valore economico e al valore legato all’uso (Marx), assume un significato che è altro da sé: uno status, una relazione, un mito. Diventa un simbolo. Jean Baudrillard, sociologo e ed esponente del post-modernismo francese che ha offerto una lettura pessimistica del tardo-capitalismo, spiega come il nuovo motore della società non sia più la produzione ma il consumo, diventato ormai lo «strumento principale di manifestazione di vitalità e di sovranità del soggetto». Per l’autore – scrive Adolini - non è più il processo economico-razionale di soddisfazione di bisogni a muovere l’economia contemporanea, quanto piuttosto un processo sociale di «distruzione del valore economico in vista di un altro tipo di valore. Il consumatore non si riferisce più all’oggetto nella sua utilità specifica ma ad un insieme di oggetti nella loro significazione totale».
La società dei consumi è, quindi, anche società dell’abbondanza e dello spreco proprio perché è nel consumo dell’eccedenza che si realizza il vivere moderno. Nella società presa in esame la produzione e il consumo sono diventati “insostenibili”, sia nel tempo che nello spazio. Si incoraggia il rinnovamento sempre più veloce di prodotti al punto che la loro produzione ora è in funzione della loro morte (obsolescenza programmata dell’oggetto) e non, al contrario, della loro durata. La società dei consumi, per essere, ha bisogno dei suoi oggetti e ancora di più di consumarli, di distruggerli, generando rifiuti e alterando i meccanismi del desiderio. In questo nuovo scenario si inverte il rapporto tra soggetto e oggetto, in cui è quest’ultimo a dominare sul primo. Da questa prospettiva l’oggetto conserva un vantaggio: «Nel nostro pensiero del desiderio, il soggetto detiene un privilegio assoluto, poiché è lui che desidera. Ma tutto si rovescia […] non è più il soggetto che desidera, è l’oggetto che seduce. Tutto parte dall’oggetto e vi ritorna, come tutto parte dalla seduzione e non dal desiderio. […] perché il soggetto è fragile, non potendo che desiderare, mentre l’oggetto si fa forte proprio dell’assenza [in sé stesso] di desiderio. Il soggetto non può che desiderare, solo l’oggetto può sedurre». (Baudrillard)
Lo sfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento e il lavoro sottopagato sono alcuni dei motivi che possono indurci a spezzare i meccanismi parossistici del consumo indiscriminato attraverso un consumismo consapevole che parta dall’agire individuale. Ignorare i richiami del marketing ossessivo che opera attraverso modelli di business e consumo non più sostenibili può spingere i singoli a compiere acquisti etici e ragionati (Mariani).
Questa deriva sociale potrà apparire irreversibile ma ragionare nell’ottica del superamento di questi modelli di produzione e consumo è più che mai necessario per raggiungere una nuova soglia di benessere, che sia autentico e sostenibile.