La medicina territoriale è sparita, il pronto soccorso scoppia e la gente muore
Fino a quando il sistema ha retto c’erano i presidi sanitari territoriali che tamponavano le esigenze dell’utenza. Oggi guardie mediche e medici di base sono al lumicino e la gente è costretta ad andare in ospedale anche per una febbre. Perché?
Ci sono due grandi emergenze che attanagliano la sanità nella Calabria del nord-est: la carenza di medici e personale infermieristico, condivisa con il resto della regione e del Paese, e l’organizzazione cervellotica con la quale continuano a rimanere strutturati i due ospedali spoke di Corigliano-Rossano, gli unici a presidio della salute dei cittadini di un territorio che si estende da Rocca Imperiale a Cariati. Quest’ultima questione rimane la cosa più imbarazzante che possa continuare a ripetersi alle latitudini della Sibaritide. Nell’indifferenza di tutti.
Non sappiamo quali siano le cause che ieri hanno portato alla morte di un giovane di 30 anni mentre era in attesa di un’ambulanza che lo trasferisse dal pronto soccorso di Rossano a quello di Cosenza, sarà la magistratura a chiarire circostanze e dinamiche dell’accaduto. C’è, però, un dato oggettivo, chiaro, che forse prescinde anche dal dramma personale di quel ragazzo e della sua famiglia, ma che è tragicamente coincidente con quella morte. Ieri sera il punto di primo intervento del “Giannettasio” era stracolmo di gente e di utenti che attendevano cure anche per patologie che si sarebbero potute curare in una guardia medica.
Codici bianchi, blu e verdi ingolfano le strutture sanitarie joniche mettendo sotto stress l’esiguo personale che lavora al suo interno e tutto questo perché la medicina territoriale, concretamente, non esiste più. Nei centri dell’entroterra e anche nelle aree periferiche, dicevamo, l’Azienda sanitaria è stata costretta a chiudere o a ridurre le guardie mediche perché non ci sono più medici con l’atroce risvolto che le persone, per curarsi anche un semplice raffreddore, una congiuntivite o per farsi misurare la pressione, piombano in pronto soccorso.
a questa condizione già di per sé drammatica e condivisa con il resto dei calabresi (le guardie mediche sono state razionalizzate un po’ ovunque nel territorio regionale), dicevamo, si aggiunge quella dell’organizzazione, senza capo né coda, del “Giannettasio” e del “Compagna” nei quali, pur operando ormai dal 2012 come unico ospedale, continuano a convivere reparti fotocopia con una capacità di personale che riuscirebbe a malapena a soddisfare le esigenze di un unico reparto. Il caso più emblematico è quello del Pronto soccorso dove un solo dirigente medico deve sovrintendere alle esigenze dell’unità di Rossano e della sede distaccata di Corigliano, dove gli infermieri e i sanitari, devono stare sotto a turni spesso massacranti e tutto questo perché “è necessario” mantenere aperti i due presidi. Questo a solo discapito dell’utenza.
Sì, ma “è necessario” a chi? Alla politica, è chiaro. Che pur di non scontentare nessuno e tenere quieto l’elettorato si presta ai silenzi di situazioni imbarazzanti. Ecco perché, insieme all’esultanza da stadio dei rappresentanti istituzionali per le tante e buone cose che si fanno (dalla Tac di Cariati per finire all’emodinamica di Rossano, etc.), che pur sempre rimangono nell’orbita dei diritti sanciti dalla Costituzione – quindi nulla di straordinario –, ci aspetteremmo un maggiore pressing della politica, di maggioranza e opposizione, locale e regionale, sulle cose che andrebbero fatte, in modo prioritario, e sulle quali cade puntualmente l’oblio. Ad esempio, ci aspetteremmo che si incalzasse il management ospedaliero e aziendale affinché compiano la riorganizzazione degli ospedali spoke di Corigliano-Rossano, senza facsimili di sorta. Perché non lo si fa? Forse per tutelare consensi e campanile?
Esultare per le cose fatte è una pratica semplicissima, quasi da dilettanti, ma è l’osare le scelte giuste e difficili (anche se impopolari) che rende un rappresentante istituzionale vero tutore dei diritti.