Il ricordo terribile di una mattina di quasi inverno. L'università, le cuffie nelle orecchie e quella notizia che ti gela il cuore
Quel 9 dicembre di venti anni fa era un giorno come gli altri che non è mai finito: il dolore e la speranza, per te Maria Rosaria… che avevi solo 27 anni!
Quella mattina 9 dicembre 2002 il ponte inferiore dell’Unical era più buio del solito. C’era il sole ma nonostante tutto, d’inverno, gli spazi vuoti tra i grandi cubi di cemento armato dell’università della Calabria creano un cono d’ombra profondo. Le luci guida e anche quelle del corridoio esterno erano spente. Erano all’incirca le 8 del mattino. Io camminavo dalla Facoltà di Ingegneria, direzione Polifunzionale. All’epoca frequentavo il collettivo di Azione universitaria e di li a poco avremmo avuto una riunione. Ad aspettare me e altri che al tempo eravamo delle matricole, c’erano Marco Cribari, Gioacchino Campolo, Alfonso Labonia e quel genio estroso di Ciccio Barone. Per noi più piccoli erano punti di riferimento. A quella riunione, però, non ci sarei mai andato.
Camminavo, con le cuffiette del walkman inserite nelle orecchie e le playlist de Il Volo del Mattino su Radio Deejay scandivano il passo. Le news del mattino. “…Stamattina, a Paola in provincia di Cosenza, è stato trovato riverso in un’auto il corpo della giornalista Maria Rosaria Sessa…” Non sentii più nulla, il cervello era ovattato. Il mio passo rallentò. Mi fermai. Ero incredulo. Incredulo per la notizia; incredulo del clamore per quella donna che non mi sarei mai immaginato, sicuramente non in quel modo; incredulo perché Maria Rosaria faceva parte di me, della mia comunità, del mio paese d’origine e - nel giro più largo - anche della mia famiglia (la mamma era una cugina in seconda di mio papà); il fratello, Nazzareno, era uno dei punti di riferimento di quel mondo pallonaro rossanese che per me era di casa. Possibile tutto questo? Perché? Il ricordo di quei momenti è ancora oggi straziante, triste, carico di lacrime.
Sono trascorsi 20 anni esatti da quel giorno. E io ancora ricordo Maria Rosaria, nel fiore della sua giovinezza, carica di spirito e motivazioni per quel lavoro da giornalista che faceva con passione e tanta bravura. La ricordo quando annunciava il Tg di Metrosat nella squadra della “maestra” Geneviève Makaping, insieme a talenti come Emily Casciaro e Serafino Caruso. O quando ancora, girava per le vie di Rossano a raccogliere e raccontare spunti per le sue notizie. C’è a proposito, da qualche parte, proprio negli archivi di Metrosat e sarebbe bello toglierlo fuori, un servizio che Maria Rosaria fece sui riti del Venerdì Santo a Rossano. Un documentario che per la prima volta raccontava “a colori” in una forma quasi leggera (ma mai superficiale) quello che per la pietas popolare fino ad allora aveva rappresentato solo un cerimoniale avvolto da mistero. Era un talento Maria Rosaria, bravissima e bellissima, quasi inavvicinabile e irraggiungibile.
Eppure quella forza d’animo è stata sferzata dalla violenza di un uomo che le ha strappato per sempre il sorriso dal volto e i sogni di una vita intera, in una notte di quasi inverno. Un efferato delitto che è stato lavato e giudicato dalla giustizia divina. Non poteva essere altrimenti. Un evento cruente e tormentato che è stato un presagio di quella grande piaga del femminicidio che in Calabria, purtroppo, continua a miete vittime e che proprio nella Sibaritide, nella casa natia di Maria Rosaria, dalla sua scomparsa in poi avrebbe generato altri tristissimi eventi.
Ci consola solo che Maria Rosaria, forse troppo dimenticata nella sua terra, non è morta invano. Lei rimane un’icona calabrese della donna coraggio e, quasi sicuramente, la sua storia bellissima con un epilogo improvviso ed atroce ha spalancato le porte del coraggio e della consapevolezza per altre donne che non si sono fermate davanti al mostro. Oggi c’è ancora tanta violenza contro il genere femminile ma sono aumentate a dismisura, rispetto al passato, anche le richieste di aiuto, le denunce, i campanelli d’allarme. E questo fa si che da quella porta che nella vita di Maria Rosaria è stata chiusa, sbarrata, oggi inizia a permeare un filo di luce che è sempre più forte. E si chiama speranza. Maria Rosaria, non è morta invano. Anzi, Maria Rosaria non è morta. Perché è il ricordo che si ha delle persone che le proietta nella prospettiva dell’eternità.
Certo, vorremmo, cara Maria Rosaria, che la tua, la nostra comunità, quella di Rossano, di Corigliano-Rossano non dimenticasse troppo spesso i suoi figli. Anche perché chi non ha memoria, non ha nemmeno futuro.
Quel 9 dicembre di venti anni fa era un giorno come gli altri che non è mai finito: il dolore e la speranza, per te Maria Rosaria… che avevi solo 27 anni!