Non chiamatelo astensionismo: chi non vota più ha un partito e si chiama “Delusione”
Dentro ci stanno tantissimi emigrati (expat e non), ci stanno i “non rappresentati”, ci sta tutta quella gente seduta sulla rive del fiume ad attendere il cambiamento. In Calabria il partito del non voto rappresenta la metà dei calabresi
CORIGLIANO-ROSSANO – Ieri sera nella maratona elettorale di Quarta Repubblica, su Rete 4, Tommaso Cerno, senatore, giornalista ed editorialista, credo abbia fotografato perfettamente la realtà del panorama elettorale italiano, introducendo un nuovo termine nel ricco lessico della liturgia politica: defluenza. Una sola parola che descrive plasticamente la realtà dell’astensionismo in salsa italiana. Un cancro della democrazia, apparentemente senza cura. «L’astensione – ha detto Cerno – non è soltanto stanchezza, disinteresse, ripetitività. È una scelta». E in quanto scelta, potrebbe essere tranquillamente un partito.
Altro che astensione!
In Italia il popolo della defluenza – secondo i dati usciti dalle ultime urne - rappresenta il 37% della popolazione. In Calabria, invece, questo partito rappresenta la metà dei calabresi, nei numeri è il 49,8%. Una enormità. Il che significa che a oggi in Italia, men che meno in Calabria e ancora di meno nella Calabria del nord-est (dove la “defluenza” è pari a circa il 60%), non esiste un partito che rappresenti le istanze di una parte considerevolissima della popolazione. Non la rappresentano gli schieramenti classici divisi tra conservatori e progressisti; non la rappresentano nemmeno i populisti-movimentisti e, paradossalmente, non incanalano “sentiment” nemmeno tutti quei nuovi partiti nati negli ultimi mesi in reazione e contrapposizione alle cosiddette oligarchie politico-istituzionali (da Italexit a Italia Sovrana e popolare).
Chi ci sta dentro alla “defluenza”? In Calabria un po’ tutti. Ci stanno soprattutto tutte quelle persone abbandonate da uno Stato che non ha saputo ancora risolvere la Questione Meridionale a distanza di quasi due secoli. Ci stanno gli eterni precari, ci stanno i disoccupati, i poveri, gli emarginati, ci stanno tantissimi lavoratori fuorisede che per guadagnarsi un pezzo di pane hanno lasciato figli e famiglia lontani da loro, ci stanno gli expat che ormai vivono fuori da un’Italia che non ha saputo assolvere il loro bisogno di occupazione e dignità.
Nessuno dei partiti schierati in campo è stato capace di saper ascoltare le istanze, le richieste, il malcontento di quest’altra metà del popolo italiano che non vota per scelta e non per vezzo e che fa parte a tutti gli effetti del partito della “Delusione”.
Delusione nei confronti di uno Stato più vicino all’Europa che non ai suoi territori; di uno Stato impiantato in maniera asfittica sui temi economici; di uno Stato che sembra aver perso il valore delle mille identità del popolo italiano. Uno Stato che chiede sacrifici, impone tasse (alcune anche assurde) e in cambio, quasi sempre, offre poca assistenza e pochissimi servizi.
Se la “defluenza”, quindi, è un partito non rappresentato, non riconosciuto (figuriamoci!), inascoltato (perché in democrazia vince solo chi partecipa), la “Delusione” deve pur avere una risposta. La speranza è che il nuovo governo, che nasce su una matrice più sovranista rispetto a tutti gli altri che hanno “regnato” sull’Italia dal ‘46 a oggi, e quindi potenzialmente più attenta alla sovranità del popolo e non dei sistemi (che pure ci sono e vanno tenuti in considerazione), possa finalmente drizzare le orecchie verso quella parte di popolo – ribadiamo, maggioritario – che ormai sistematicamente diserta le urne.
Perché avere un altro governo, dopo un decennio costellato di esecutivi tecnici che hanno massacrato le aspettative del popolo italiano, che badi più al calcolo ragionieristico dello Stato e poco alle vere esigenze della gente, sarebbe l’ennesima delusione che non farebbe altro che ampliare la già immensa platea della “defluenza”.