10 ore fa:Nuova sede per il museo di Vaccarizzo Albanese, un autentico scrigno di cultura Arbëreshe
Ieri:Corigliano-Rossano, arrestato un 36enne per spaccio di sostanze stupefacenti
3 ore fa:Da Bocchigliero alla conquista dei palchi di tutta Italia: la storia di Nevis e Asya
7 ore fa:Stop al numero chiuso a Medicina, al Senato via libera al testo base
12 ore fa:L’alberghiero “K. Wojtyla” di Castrovillari punta sui percorsi altamente formativi
11 ore fa:Ultimati i lavori del campo di padel di Cariati nei pressi del centro sociale
5 ore fa:Il vescovo emerito Monsignor Milito in visita alla Comunità Alloggio per anziani "Teniamoci Stretti"
8 ore fa:Il terremoto e lo tsunami del 1836 che colpì Rossano ma rase al suolo Crosia
6 ore fa:La liuteria ionica di Montegiordano trionfa a Pechino con Gran Duo Italiano e Sassone Tartufi
4 ore fa:Campionati regionali prove multiple: 3 titoli per la Corricastrovillari

Verso un’Italia più moderna da nord a sud

5 minuti di lettura

Fu celebre la frase di Henry Ford: “Esistono solo due tipi d’imprese, quelle che innovano e quelle che chiudono”, stigmatizzando la continua sfida dell’imprenditore con il tempo e con il cambiamento. Nessun Business Model può durare per sempre: ogni imprenditore sa che per dare continuità alla propria impresa non deve limitarsi all’analisi del contesto attuale, piuttosto deve rivolgere il suo sguardo al futuro, scorgerne le sfide, le incognite e le opportunità. Non a caso gli aggettivi lungimirante o visionario sono fra quelli più utilizzati per descrivere i grandi imprenditori.

Questa visione del futuro non è però un’arte arcana. Essa si basa su dati concreti e su schemi che si ripetono. La storia è uno degli strumenti essenziali per interpretare il futuro: come i fenomeni fisici si ripetono in ogni angolo dell’universo rispettando sempre le stesse leggi, così i fatti umani tendono a manifestarsi in maniera ciclica più o meno simile, nonostante il progresso tecnologico e i cambiamenti, nel tempo dei contesti politici, sociali e culturali. 

Alcuni eventi hanno impatti devastanti e sono in grado di mutare profondamente il tessuto sociale. Quasi come fosse un effetto rebound, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, la nostra società si è scoperta democratica, pacifista, inclusiva. La fine dei nazionalismi, soprattutto, ha condotto ad una crescita esponenziale degli scambi internazionali, che sono stati fondamentali per la crescita economica del nostro Paese negli anni 60. L’abbattimento progressivo dei dazi ha permesso una libera circolazione delle merci, garantendo l’importazione di materie prime non prodotte e l’affermazione del Made in Italy nel mondo.

Non v’è dubbio che anche la pandemia da Covid-19 sia un evento epocale, di quelli che trasformano in modo permanente la società. Gli effetti dell’impatto li percepiremo per molti anni e non saranno tutti negativi, ma sarà importante prevederli per governare e disinnescare le varie crisi che ne deriveranno. Perché, come in un forte terremoto, dobbiamo aspettarci scosse di assestamento. È cosi che, dopo una crisi nel 2020 costata nove punti di PIL ed un’energica immissione di liquidità, l’Italia ha segnato in quest’anno un rialzo di sei punti, certamente non sufficienti a riportarci ai numeri pre-pandemia, ma sicuramente capaci di generare alcuni effetti molto positivi. L’occupazione, per esempio, è rimasta stabile: un dato senz’altro positivo, soprattutto se si pensa che le previsioni del 2020 stimavano una perdita di addirittura un milione di posti di lavoro.

All’inizio del 2021, in tutto il mondo, la fiducia era alle stelle. Una ricerca della società di consulenza Deloitte, tra le famose Big Four, sostiene che a concorrere a questa forte crescita della domanda siano stati due fattori: da una parte, la crescita della domanda dei prodotti e servizi inaccessibili durante le restrizioni della pandemia; dall’altra, l’aumento dei risparmi delle famiglie dell’Eurozona, stimato in 480 miliardi di euro. In egual misura, ha contribuito la fiducia delle aziende che sono ritornate a fare scorte.

In sostanza, si è accumulata un’imponente domanda di prodotti finiti, di semilavorati e soprattutto di materie prime per gran parte importate dalla Cina, a cui il mondo non era pronto.

La carenza ha riguardato inizialmente i chip, e quindi la filiera dell’elettronica, per poi estendersi alle automobili. Successivamente, al principio del secondo semestre del 2021, sono cominciate a mancare, carta, plastica, acciaio. Tutto ciò non è scaturito solo da un problema di capacità produttiva e di merce non fabbricata durante i lock-down, ma anche dalla carenza di container che ha paralizzato i porti: le navi aspettavano settimane prima di essere caricate o scaricate, si è parlato di ingorgo logistico, ed i prezzi di trasporto dalla Cina all’Italia sono lievitati del 500%. È la crisi della supply chain, dalla quale ancora dobbiamo uscire.

Cosa succede in un’economia quando la domanda supera l’offerta? Aumentano i prezzi. Così è stato anche nel 2021. Gli Stati Uniti hanno dichiarato un’inflazione al 6%, ed Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, ha confermato un tasso di inflazione al 4,9%, ma la Banca Centrale Europea è cauta considerando la crisi dei prezzi, verosimilmente temporanea.

Quest’ultima, infatti, potrebbe ancora rientrare, soprattutto considerando che non è di matrice strutturale (mancanza di capacità produttiva o aumento dei costi di produzione) ma congiunturale, cioè legata al timing, il principio in base al quale la domanda cresce più rapidamente dell’offerta. È da ritenere dunque prudente la strategia della BCE che altrimenti sarebbe obbligata ad alzare i tassi di sconto con ripercussioni dirette sui tassi d’interesse bancari che innesterebbero un rallentamento della crescita economica nell’Eurozona.

Sul finire del 2021 ancora un’altra crisi. L’aumento della produzione aveva fatto registrare un rincaro dei combustibili, ma la vera stangata è arrivata a Dicembre, quando la Gazprom ha chiuso la fornitura di metano verso l’Europa, generando un accrescimento del prezzo del 700%.

Non sapremo mai se la decisione della Gazprom è stata dettata da scelte politiche, soprattutto se dirette a forzare la mano in Ucraina, certo sarebbe un altro duro colpo alla globalizzazione, ed al libero scambio.

Nessuno sembra più pensare in ottica globale, si tende a tornare a sistemi autarchici. L’Europa dovrà rendersi indipendente per materie prime e combustibili. L’Italia importa il 94% del suo fabbisogno energetico e, se non troveremo presto soluzioni alternative, potrebbe essere a rischio la nostra indipendenza politica.

Quindi cosa ci aspetta nei prossimi anni? E soprattutto, cosa ci aspetta in Calabria?

L’Italia è l’ottavo Paese più industrializzato al mondo: c’è bellezza, cultura e tantissima competenza. La nostra manifattura a forte valore aggiunto è richiesta ovunque. Questo ci consente di pagare giusti salari e godere di un welfare che è ancora fra i primi al mondo anche con tutte le criticità della P.A. Italiana. I prossimi anni saranno difficili e pieni di incognite, ma il nostro Paese ha la forza per affrontare tutto. Il PNRR e le politiche fiscali espansive potranno condurci in epoca d’oro. Compatibilmente con le scelte che si andranno a compiere, potremmo vedere l’Italia ammodernarsi da Nord a Sud e l’occupazione crescere fino a livelli mai raggiunti, ma potrebbe non durare. Se saremo lungimiranti i benefici di queste risorse non saranno effimeri. Affinché ciò avvenga, bisognerà trattenere le competenze, stimolare l’arrivo di nuova forza lavoro, ridurre le differenze sociali, investire in innovazione e sulle nostre identità, territorio, cultura, tradizione. Sarà importante rinnovare la formazione professionale, aumentare la certezza del diritto, costruire un’indipendenza energetica ecosostenibile. Sicuramente abbiamo bisogno di investire sul tangibile, ma saranno gli investimenti nell’intangibile a dare a questo Paese un benessere diffuso e duraturo.

In Calabria finalmente le cose possono cambiare davvero, ma anche da noi nulla è scontato. Non mancheranno gli investimenti ed avremo nuova occupazione nella P.A., ma occorrerà uno scatto di reni, serviranno idee, nuovi giovani imprenditori e incentivi per far crescere le aziende ancora troppo piccole e per gran parte legate a mercati locali.

Più di ogni altra cosa, però, servirà arginare la diaspora dei tanti giovani di talento. In Italia ci sono quattro milioni di persone che lavorano in smart-working, nel 2019 erano solo novecento. Ciò dimostra indiscutibilmente che in futuro questo fenomeno potrà solo incrementarsi, non rendendo più strettamente necessario vivere dove si lavora: anche i piccoli centri potranno tornare ad arricchirsi di cittadini ad alto reddito.

Ma anche questa nuova opportunità non basterà da sola a fermare il fenomeno, sarà necessario parlare al cuore di questi ragazzi, dobbiamo farli innamorare di questa terra, dei borghi in cui sono nati, trasmettergli il senso della comunità, e la responsabilità del suo futuro.



Il Corsivo è curato dalla reggenza dell'Eco dello Jonio con la preziosa collaborazione della prof.ssa Alessandra Mazzei che ogni settimana offre agli utenti la lettura in forma esclusiva di contributi autentici, attuali e originali firmati da personalità del mondo della cultura, della politica e della società civile di fama nazionale e internazionale

Fortunato Amarelli
Autore: Fortunato Amarelli

Classe 1972, Amministratore delegato di Amarelli Fabbrica di liquirizia, rappresenta la dodicesima generazione di una famiglia di imprenditori che opera sin dal 1731. Innamorato della sua terra e della sua città, dopo la laurea in giurisprudenza ed una specializzazione all’università Bocconi di Milano ha deciso di ritornare in Calabria. Attualmente presidente di Confindustria Cosenza e del digital Innovation hub Calabria, è componente del Consiglio di amministrazione del museo archeologico di Sibari e del Consiglio della Banca d’Italia a Catanzaro