Biglietto di andata e ritorno per una nuova “Città del Sole”
Riflessioni mediterranee intorno al lessico, ai valori e alla dialettica tra appartenenza e contaminazione
E’ l’alba. Un bus rosso arriva e, nell’aprirsi di porte, i finestrini appannati sgocciolano candide lacrime calde.
Rade parole riecheggiano nel lungo abitacolo. Il silenzio domina sovrano e attutisce lo stanco vocio. Un silenzio sordo e condiviso con gli altri animi assorti, mentre, miglio dopo miglio, si allontanano visi, voci e case familiari.
Andare, riandare, ritornare, ripartire.
“Tu quando scendi?” “E tu, quando sali?” “Torni per Natale?”
Scendere. Risalire.
Ricco è il lessico di questa letteratura di viaggio calabrese, e intriso di vecchie e nuove parole, vecchie e nuove fermate, mentre si percorrono nuove e vecchie strade.
Un viaggio che forse non avrà mai fine.
Un viaggio che inizia da lontano, in quella autostrada che è il Mediterraneo, crocevia di popoli e culture, da Samos a Crotone, passando per Velia e Mileto, onda su onda, soffio di vento dopo soffio di vento.
Risolvere oggi l’annoso problema della carenza di lavoro nel Meridione d’Italia è un compito arduo, che spetta responsabilmente a ognuno di noi, anche e forse soprattutto quando siamo chiamati a esprimere le nostre preferenze nelle urne elettorali.
E se provassimo, intanto, a trasformare un grande problema epocale qual è l’emigrazione, in un’opportunità costruttiva?
Non solo l’Italia, ma anche i Paesi esteri (oggi come nel passato) sono le mete della nuova “diaspora”: Germania, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti, ecc.
Nel corso delle ricerche antropologiche che sto effettuando negli ultimi anni, relativamente ai nuovi migranti che partono dall’Italia, ho potuto constatare che molti di loro sono ricercatori, esperti, scienziati e giovani laureati a pieni voti, disposti a mettere tutto il bagaglio di sapere e di esperienze, acquisito in tanti anni di studio e di lavoro, a disposizione di Università, istituti di ricerca e grandi aziende, in cambio della giusta e sacrosanta valorizzazione.
Sono loro che vengono sovente identificati come i cosiddetti “cervelli in fuga”.
E non di meno ci sono, fra i nuovi migranti, anche bravi chef, professionisti nel campo della ristorazione, dell’edilizia e di tanti altri settori economici.
Io preferirei andare oltre la solita frase “Eroe è chi resta!”, che spesso viene pronunciata per elogiare, con dissimulato intento retorico, coloro che fra tante difficoltà scelgono di rimanere in Calabria o in altre zone del Meridione d’Italia.
Ognuno sceglie il suo percorso di vita, e non c’è un oggettivo modus operandi e vivendi che valga indiscriminatamente per tutti. Si può “restare”, magari dando vita a un’attività produttiva nella speranza che tutto vada per il verso giusto, come si può scegliere di abitare nel Sud per due o tre anni prima di partire alla ricerca di nuove esperienze. E poi, chissà, di nuovo “ritornare” oppure ripartire per altre mete. Non c’è un modello unico di vita. E non si è “sconfitti” se si parte, come non si è “sconfitti” se si “ritorna”.
Non possiamo pensare di vivere in un “bel recinto” costituito dal “nostro” bel giardinetto, dal “nostro” bel mare, dal “nostro” bel cibo, dalle “nostre” belle tradizioni.
Di “nostro”, relativamente al patrimonio immateriale, non c’è niente, e tutto ciò che abbiamo la fortuna di vivere a livello esperienziale nella bella terra calabrese è il frutto di un millenario processo di interazione fra diverse culture, e di un’infinità di viaggi e di scambi commerciali, economici e sociali.
L’uomo è un animale sociale, sempre connesso con il mondo (oggi più che in passato, grazie alle comunicazioni telematiche) e in continua interazione con i suoi simili. E i contatti fra gli esseri umani creano un flusso incessante di idee e di pensieri.
E se pur ci compiacciamo talvolta nel cantare una bella canzone della tradizione calabrese che contiene, nella sua intensità strutturale, stilemi musicali provenienti dalla Grecia, dalle terre mediorientali o da quelle nordafricane, nel contempo impariamo l’inglese, la lingua più utilizzata al mondo.
Riuscire a cucire questa rete di conoscenze ed esperienze con ciò che ci circonda, e tentare di annodare ciò che viviamo quotidianamente qui in Calabria con le esistenze di chi sta parallelamente vivendo esperienze formative e lavorative in altre zone d’Italia e del mondo, è certamente una nuova e grande scommessa. Così come riuscire a interagire con la ricchezza culturale posseduta dai tanti migranti economici (provenienti dalle varie zone dell’Africa, dell’Est Europa e dell’Asia) che lavorano e abitano nelle tante città e paesi calabresi come Corigliano-Rossano, è un’opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire.
L’interazione, lo scambio e l’accoglienza possono costituire un motivo di ulteriore opportunità di crescita economica e culturale, che non deve assolutamente passare attraverso lo sfruttamento, la creazione di barriere, l’indifferenza e l’emarginazione. E’ una sfida notevole, certo difficile e di non facile attuazione, ma è questa la strada che dobbiamo percorrere: realizzare una nuova “città del sole”, dove i raggi possano illuminare indistintamente tutti i suoi abitanti.
E allora, immagino ancora quell’aprirsi di porte di bus, quello scendere di goccioline sui finestrini al mattino presto. E immagino, nel mio sogno ad occhi aperti, di accompagnare mia figlia che parte per il suo viaggio.
Bus navetta, direzione aeroporto Crotone o Sibari. E poi si vola, verso nuove mete.
E il mio sogno, la mia speranza, è che esse siano sempre mete desiderate, mai imposte.
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