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La partecipatio - Urge una nuova attenzione ai valori e in primis a quello della partecipazione

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Anche la recente tornata elettorale ha confermato, non solo in Calabria, la disaffezione ad esercitare il proprio diritto al voto, conquistato, lungo il secolo scorso, a tappe forzate e attraverso memorabili lotte politiche, legate ora alla rivendicazione della rappresentanza femminile, ora a quella  del suffragio universale, ora alla determinazione dell’età in cui fosse lecito recarsi alle urne per compiere quello che è anche un dovere.

Da più tempo il fenomeno dell’assenteismo è analizzato, con crescente preoccupazione, dagli osservatori politici, i quali si chiedono quale destino potrà avere il futuro della nostra democrazia rappresentativa se a votare, tranne che nelle elezioni politiche, dove il quoziente sale, si reca più o meno la metà degli aventi diritto.

Ma anche la politicizzazione del voto, se pure fosse sempre dettata da ragioni ideali o ideologiche (e spesso non lo è a causa del clientelismo imperante),  è di per sé un limite, in quanto il divario dei votanti tra elezioni politiche e amministrative sottolinea, esso stesso, il disinteresse per la cosa pubblica più prossima, che è la propria città e la propria regione.

Lasciando ai politologi la prosecuzione virtuosa di questo discorso, a me preme (in qualche modo gentilmente sollecitato) guardare la questione anche da un altro punto di vista; che è quello della decadenza culturale del nostro tempo inquieto, gravemente segnato dall’economicismo, dall’individualismo, dal narcisismo. Fenomeni che rischiano di seppellire il concetto di bene comune e la necessità di quella che in latino ha un nome chiaro e distinto: la partecipatio.

L’uomo è un animale sociale -ammoniva Aristotele- vive insieme agli altri e per gli altri, non solo per sé. Questo dato culturale, di natura antropologica, trasmigrò dall’antica Grecia a Roma e Cicerone se ne fece interprete con le stesse parole. Per i Greci il dibattito filosofico-politico-sociale avveniva nell’agorà; per i Romani era il forum il luogo elettivo della discussione. È vero che il discorso veniva egemonizzato dai ceti dominanti, ma chi ne aveva gli strumenti partecipava, lasciando al popolo ludi et circenses o gli svaghi scomposti delle suburre.

A distanza di millenni, noi stiamo dimenticando, pur essendo ampiamente scolarizzati e titolari di professioni più o meno prestigiose, certi insegnamenti maturati anche in ambito letterario, quali ad esempio il leopardiano “retto e onesto conversar cittadino”, che è ancora e sempre un risentito invito alla partecipatio  che viene dalla letteratura, cioè dall’alveo in cui tutta la vita si raccoglie.

Certe scene da Montecitorio e da Palazzo Madama sono degne di un’osteria più che di un Parlamento rappresentativo degli interessi della Nazione, per non parlare delle sedute assembleari di consessi numericamente più ridotti, dove pure si trova sempre la ragione del litigio e dell’adozione di un linguaggio sopra le righe.

Le nostre piazze sono vuote. Passeggiavamo in Piazza Steri, una volta, discutendo di scuola, di politica, di lavoro, degli accadimenti importanti della città. Ora il salotto buono di Rossano è il luogo della solitudine e dell’abbandono. Raro un incontro tra gente amante del bene comune, uno scambio di idee sulle quali impostare una visione di crescita, di sviluppo, di umanità.

In questa “società liquida”, secondo la definizione di Bauman, che liquida sarà ancora per molto tempo, e forse più liquida ancora, i partiti politici -ricordava Umberto Eco- “sono ormai taxi sui quali salgono un capopopolo o un capobastone che controllano dei voti, scegliendoli con disinvoltura a seconda delle opportunità che consentono. E questo rende persino comprensibili e non più scandalosi i voltagabbana; non solo i singoli, ma la società stessa vive in un continuo processo di precarizzazione”.

Dalla quale periclitanza -pensiamo noi- si può tentare di uscire attraverso la partecipazione attiva e propositiva alle questioni che ci riguardano più da vicino, ma anche a quelle relative al quadro più generale dell’Ente Regione e dello Stato. Si può risalire, cioè, solo attraverso una forte ripresa della cultura e dei valori che essa propugna, incominciando dalla scuola e ritornando in piazza a parlare dei nostri problemi, prima che, a modo loro, li risolvano gli altri secondo interessi che non sono i nostri.  A me questa sembra la dolorosa prospettiva. Che ne pensate?


Il Corsivo è curato dalla reggenza dell'Eco dello Jonio con la preziosa collaborazione della prof.ssa Alessandra Mazzei che ogni settimana offre agli utenti la lettura in forma esclusiva di contributi autentici, attuali e originali firmati da personalità del mondo della cultura, della politica e della società civile di fama nazionale e internazionale

Gennaro Mercogliano
Autore: Gennaro Mercogliano

Gennaro Mercogliano, dirigente scolastico in quiescenza, critico letterario, saggista, direttore dell’Università Popolare di Rossano, scrive di letteratura su riviste e quotidiani, con particolare attenzione alla poesia e narrativa italiana del Novecento. Insignito di molti riconoscimenti, ha pubblicato decine di saggi, studi e monografie che riguardano figure e tempi della letteratura italiana, da Leopardi a Gozzano, da Alvaro a Spagnoletti. Negli ultimi anni gli orizzonti della sua ricerca si sono allargati verso un rigoroso studio della Calabria bizantina.