Viaggio sulla luna: atto secondo. Dalla fantasia di Jules Verne all’esplorazione. Saremo tutti turisti sul satellite della terra?
Un viaggio di quasi due secoli, una storia affascinante che racconta di come l'uomo sia riuscito a concretizzare un sogno: "uscire fuori" dalla terra
Era l’1dicembre 1865, intorno alle ore 22:00 quando Impey Barbicane si apprestava a sparare un “proiettile” sulla luna a mezzo di un cannone appositamente costruito.
Secondo i suoi “indiscutibili” calcoli «qualsiasi proiettile dotato di velocità iniziale di 12.000 yard al secondo e diretto verso la luna giungerà necessariamente ad essa».
È quasi l’ora “X” a Tampa Town, in Florida, e tutto il mondo segue, in trepidante attesa, l’ambiziosa quanto audace impresa di tre esploratori: lo stesso Barbicane, il capitano Nicholl e Michel Ardan. I tre, spinti dall’atavica curiosità umana si domandavano se «la luna fosse un mondo compiuto, se rassomigliava essa alla Terra nel tempo in cui l'emisfero non esisteva ancora? Quale spettacolo offriva quella faccia invisibile allo sferoide terrestre? Sebbene ancor non si fosse trattato che di mandare una palla all'astro delle notti, tutti vedevano là il punto di partenza di una serie di esperienze».
No, non è un racconto segreto elaborato da una setta di complottisti, ma semplicemente la fantasia di quel tal Jules Verne, che sul finire del XIX secolo immaginava, pressappoco, quel che sarebbe realmente accaduto nel giro di poco più di un secolo nel suo libro “Dalla terra alla luna”.
Non fu il primo, certo, che ipotizzò l’idea di un viaggio sulla luna. Molti, prima di lui, avevano elaborato fantasie, più o meno credibili e realistiche di fantomatiche esplorazioni spaziali, ma lui lo fece con una dovizia di particolari che poco si discostavano da quelli che sarebbero stati protagonisti degli avvenimenti futuri.
Sebbene la velocità di fuga di un corpo fosse stata teorizzata già da Newton, circa due secoli prima, Jules Verne la concretizzò nella teoria per il lancio della sua “navicella”, che doveva essere dotata di una velocità iniziale pari a 12.000 yard al secondo (circa 39.502 Km/h). Quello che meraviglia è che 39.000 Km/h è proprio l’accelerazione che raggiunse il terzo stadio del Saturn V per uscire dall’orbita terrestre e portare sulla Luna l’equipaggio dell’Apollo XI.
Come questo, anche altri particolari si sono poi rivelati verosimilmente combacianti con quelli della missione lunare: il luogo di partenza (la Florida), la durata del viaggio (circa tre giorni) e tanti altri.
Fra i due eventi un secolo di storia, di evoluzioni tecnologiche, di tentativi, di successi, di sconfitte, di sogni e di gesta leggendarie, che portarono a quella che fu, probabilmente, la più grande conquista dell’uomo e dell’umanità intera. Da sempre l’uomo sogna di esplorare l’incognito, di conquistare nuovi mondi, vagare per gli spazi siderali ma, pian piano, dalla fantasia si è passati ai fatti…
Il sogno spazionale di un autodidatta: Konstantin Tsiolkovsky
Chi iniziò a concretizzare il sogno spaziale fu Konstantin Tsiolkovsky, autodidatta, inventore, matematico e scrittore di fantascienza, che si guadagnò il “titolo” di padre dell’astronautica.
I suoi studi lo portarono a pubblicare la teoria dei razzi multistadio, la formula che porta il suo nome è tutt’ora alla base dell’ingegneria aerospaziale. L'idea della possibilità di esplorare le distese infinite del cosmo lo accompagnò per tutta la vita. Egli affermava: «L’umanità non rimarrà per sempre sulla Terra, ma nella corsa alla luce e allo spazio, penetrerà, dapprima, con una certa timidezza, oltre i confini dell’atmosfera, dopo di che, conquisterà per sé tutto lo spazio attorno al Sole».
Nel 1926 l’ingegnere Robert Goddard progettò e realizzò concretamente il primo razzo a propellente liquido della storia, che lanciò con successo il 16 marzo dello stesso anno.
Le conoscenze raggiunte da Goddard furono la base di partenza per Wernher Von Braun, padre della missilistica prima tedesca e poi statunitense, che studiò e migliorò i razzi di Goddard per giungere a lanciare il primo proiettile che raggiunse lo spazio.
Lo scienziato tedesco realizzò i tristemente noti missili V2 che furono i primi oggetti, durante un test, a riuscire a lasciare l'atmosfera terrestre il 3 ottobre 1942.
Un’ ulteriore spinta verso le esplorazioni spaziali, probabilmente quella decisiva, fu data dalla guerra fredda, durante la quale le due superpotenze mondiali si contesero il dominio sullo spazio ad ogni costo.
In quel periodo lo spirito di curiosità, di esplorazione e di progresso scientifico si mescolò a ideali di dominio politico, di supremazia tecnologica, il primo a raggiungere lo spazio avrebbe definitivamente consacrato il suo dominio sul mondo.
Sebbene dominati da ideali quantomeno discutibili, quegli anni sono risaltati per l’enorme e rapido progresso verso la conquista del cosmo. In una manciata di anni, poco più di una decina, si è potuto assistere a una serie di successi mai immaginati prima.
A sancire ufficialmente l’inizio della corsa allo spazio fu il primo satellite mandato in orbita dai russi: il famoso Sputnik, lanciato il 4 ottobre 1957 a cui seguì immediatamente il secondo volo orbitale terrestre il 3 novembre dello stesso anno, che vide protagonista la celeberrima cagnetta Laika come il primo essere vivente a entrare in orbita, anche se, in realtà, gli americani avevano già mandato in orbita con i V2 dei moscerini della frutta (drosophila melanogaster) per scopi scientifici.
Gli americani ribatterono con il lancio del loro primo satellite, Explorer 1, lanciato il 31 gennaio del 1958. Dopo i successi sovietici gli americani alzarono l’asticella e concentrarono gli sforzi nell'invio di una sonda sulla Luna. Il primo tentativo americano fu rappresentato dal programma Pioneer.
I sovietici risposero con il Programma Luna e con l'invio della sonda omonima “Luna 1” il 4 gennaio 1959, la prima sonda ad avvicinarsi al nostro satellite naturale. Il passaggio della sonda Luna 1 in prossimità dell'orbita lunare e il rilevamento del suo scarso o nullo campo magnetico segnò l'inizio dell'esplorazione lunare che, però, si data ufficialmente con l'allunaggio del 1959, quando la sonda sovietica Luna 2 impattò con la sua superficie.
Il successivo e fondamentale passo in avanti venne compiuto, ancora una volta, dai sovietici quando il 12 aprile 1961 inviarono nello spazio, a bordo della navicella Vostok 1, il primo uomo in orbita, il cosmonauta Juri Gagarin.
Grazie al programma Mercury, primo programma americano a prevedere missioni spaziali con equipaggio umano, attivo già dal 1958 sotto la presidenza di Eisenhower, gli americani riuscirono a portare il primo uomo, Alan Shepard, nello spazio sub orbitale a bordo della Freedom 7, il 5 maggio 1961, ma l’impresa appare nulla in confronto alla missione di Gagarin.
Sempre all’interno del programma Mercury, nel febbraio del 62, spettò a John Glenn l’impresa di essere il primo americano a raggiungere l’orbita terrestre mentre, dal canto loro, i russi avevano già effettuato altre missioni e altri voli orbitali, tant’è che la prima passeggiata spaziale della storia, ancora una volta obbiettivo centrato per i russi, venne effettuata da Aleksej Archipovič Leonov, della Voschod 2, lanciato il 18 marzo 1965. Quella volta si sfiorò la tragedia in fase di rientro ma alla fine andò tutto bene.
I moduli del programma Mercury erano delle minuscole navicelle che, con gli esigui 1,7 metri cubi di volume, a malapena potevano ospitare il pilota, si diceva che esse non venissero pilotate, ma che fossero indossate. Si trattava di soluzioni ancora “rudimentali” per quei tempi, i moduli erano comandabili da terra, seppur con molti vincoli, nel caso il pilota avesse avuto problemi. All'interno c'erano 120 controlli: 55 interruttori elettrici, 30 fusibili e 35 leve meccaniche.
Convinto dell’importanza di dare subito un segnale forte alla popolazione, il 25 maggio 1961 John Fitzgerald Kennedy, da poco eletto presidente degli Stati Uniti d’America, annuncia davanti al Congresso l’ambizioso obiettivo di portare un astronauta americano sulla Luna (e riportarlo sano e salvo a terra) entro la fine del decennio. Dopo essersi consultato con il vicepresidente Johnson e con Webb, neoeletto amministratore della NASA, Kennedy concluse che mandare un uomo sulla Luna, pur essendo un’impresa estremamente dispendiosa e impegnativa, costituisse l’unica possibilità per gli Stati Uniti di battere i rivali sovietici nella corsa allo spazio.
Questa impresa, però, non sarebbe stata realizzabile con il programma Mercury che il 12 giugno 1963 venne ufficialmente dichiarato terminato. Fu necessario avviare programmi spaziali più vasti ed intensi per poter raggiungere obiettivi talmente ambiziosi.
Dal programma Gemini ad Apollo: l’uomo arriva sulla luna
Per questi motivi al Mercury succedette il programma Gemini, chiamato così perché la navicella, a differenza di quelle precedenti, era abbastanza grande da poter ospitare due persone (gemelli).
Il suo scopo fu quello di sviluppare le tecniche per i viaggi spaziali avanzati, usate, poi, per mandare l’uomo sulla luna.
Inizialmente Gemini fu visto come un semplice sviluppo del programma Mercury (tant’è che in principio fu chiamato Mercury Mark II), ma subito si capì che, in realtà, aveva poco in comune con esso e che sarebbe stato, probabilmente, quello più avanzato fra tutti.
A differenza delle Mercury, le capsule Gemini potevano variare la loro orbita e avevano la capacità di agganciarsi ad altre navette. Gemini fu la prima navicella americana guidata dall'uomo ad avere un computer a bordo, il GGC (Gemini Guidance Computer), per facilitare la gestione e il controllo delle manovre di missione. Le complesse missioni di questo programma prevedevano EVA (attività extra veicolari) e manovre orbitali quali il rendez-vous (avvicinamento) con altre navicelle e il docking (aggancio).
Il programma reclutò nuovi astronauti che andarono ad aggiungersi ai “7 del Mercury” per arrivare a un totale di 27, fra i quali i più conosciuti Armstrong, Aldrin, Collins e Lovell.
A Gemini succedette il programma Apollo, anch’esso fu già avviato sotto la presidenza Eisenhower ma subì una forte spinta dopo le dichiarazioni di Kennedy.
In realtà è difficile definire una precisa successione fra i vari programmi spaziali americani in quanto gli stessi si intrecciarono negli anni, completandosi a vicenda. Il programma Apollo, infatti, prese il via già nel 1961, quando era ancora attivo il programma Mercury, e continuò anche dopo il termine del programma Gemini. Il programma Gemini che, nonostante fosse stato annunciato dopo il programma Apollo, è considerato come "propedeutico" ad esso. Gemini prevedeva infatti di raggiungere tre importanti obbiettivi da realizzarsi in orbita terrestre: mettere a punto i sistemi di manovra, localizzazione e rendez-vous nello spazio; realizzare delle attività extraveicolari; studiare le conseguenze sulla fisiologia umana della lunga permanenza nello spazio.
Grazie ai successi del programma, la NASA poté quindi dotarsi delle conoscenze necessarie per poter effettuare missioni spaziali sempre più complesse. Tutto questo mentre la progettazione e i primi test dei mezzi del programma Apollo avevano già avuto inizio.
La realizzazione di un programma così ambizioso rese necessaria una decisiva crescita del settore dell'industria aeronautica, sia per quanto riguarda il personale addetto (la NASA passò da 36.500 addetti a 376.500) sia nella realizzazione d'impianti di grandi dimensioni. Allo stesso modo il programma necessitava di un notevole sforzo economico, i fondi disponibili per la NASA passarono da 500 milioni di dollari nel 1960 a 5,2 miliardi nel 1965. Il programma Apollo rappresentò una sfida senza precedenti in termini di tecnologia, capacità economiche e organizzative.
Parallelamente allo sviluppo delle tecniche dei viaggi spaziali umani si procedeva allo studio dettagliato della luna. Il programma prevedeva tutta una serie di missioni con e senza equipaggio che avrebbero finalmente portato l’uomo sulla luna.
La prima ventina di missioni furono senza equipaggio, incentrate principalmente sulla progettazione e test dei razzi che si concretizzarono nei primi “Little Joe” Saturn I e Saturn IB. Durante queste missioni furono svolti numerosi test di propulsione, di trasporto di componenti e satelliti in voli orbitali e sub-orbitali. Lo scopo era quello di creare razzi sempre più potenti e capaci di portare nello spazio carichi sempre più pesanti.
Dopo i successi di queste prime missioni venne l’ora del primo volo con equipaggio umano che, purtroppo, fu stroncato sul nascere a causa di un’esplosione sulla rampa di lancio dell’Apollo 1, con la conseguente, tragica morte dei tre astronauti Grissom, White e Chaffee. Era il 27 gennaio 1967 e questo tragico evento diede un forte rallentamento al programma. Ma si sa, dopo il temporale torna sempre il sereno, così dopo quasi due anni di stasi arrivò un nuovo successo per la NASA, il primo volo umano dell’Apollo 7 e del Saturn IB.
Il Natale del 1968 “attorno” alla luna
Con la successiva missione Apollo 8, prima missione del Saturn V, nel dicembre del 1968 gli astronauti americani James Lovell, Frank Borman e William Anders orbitarono per la prima volta attorno alla Luna e, oltre a festeggiare per la prima volta il Natale nello spazio, rientrarono in sicurezza sulla Terra. Questa missione fu quella che più ricorda la missione del succitato Impey Barbicane, che con la sua navicella proiettile orbitava intorno alla luna circa un secolo prima, fatto salvo che, per fortuna, i tre astronauti in carne e ossa, a differenza di Barbicane, sono tornati sani e salvi a casa. «Questo projettile … è passato di fianco, ma abbastanza vicino però da essere trattenuto dall'attrazione lunare».
Nella realtà, però, l’uomo non si fermò all’impresa di Barbicane e, anche se con ormai mutati moventi, dopo un paio di missioni per provare a portare il modulo lunare (LEM) prima in orbita terrestre e poi in orbita lunare, arriva finalmente la realizzazione di quel sogno tanto inseguito.
20 luglio 1969, ore 4:56 ora italiana: il primo passo sulla luna
Il 20 luglio del 1969, alle 4:56 ora italiana, l’astronauta e comandante dell’Apollo 11 Neil Armstrong fu ufficialmente il primo uomo a posare piede sul suolo lunare. «That's one small step for a man, but giant leap for mankind» furono le sue ormai iconiche e leggendarie parole pronunciate al mondo.
E fu veramente un balzo enorme per tutto il genere umano, dopo secoli di sogni, teorie, congetture, ambizioni, sacrifici finalmente l’uomo aveva conquistato l’ignoto, valicando il più remoto confine allora immaginato.
Il risultato di un desiderio così forte da rendere possibile l’impossibile.
E tutto ciò era stato realizzato grazie all’enorme determinazione di quattro presidenti, nel frattempo a Eisenhower e a Kennedy erano succeduti Johnson e Nixon, che riuscirono a rafforzare e a mantenere un sistema economico- industriale stabile, alimentandolo con le risorse necessarie. Per riuscire nell’impresa la Nasa e gli Stati Uniti hanno operato un incredibile sforzo di coordinamento, coinvolto centinaia di migliaia di persone, messo sul piatto un investimento notevolissimo destinato a un’applicazione del tutto pacifica.
Questo segnò la vittoria degli Stati uniti nella corsa alla Luna e la sconfitta dell’Unione sovietica che perse il suo comando dopo ripetuti fallimenti nello sviluppo del lanciatore N1, il corrispettivo sovietico del Saturn V. I sovietici cercarono di battere gli Stati Uniti riportando materiale lunare sulla Terra per mezzo di sonde senza umani. Il 13 luglio, tre giorni prima del lancio dell'Apollo 11, i sovietici lanciarono Luna 15, che raggiunse l'orbita lunare prima di Apollo 11. Durante la discesa, Luna 15 si schiantò nel Mare Crisium a causa di un malfunzionamento; questo schianto avvenne due ore prima che Armstrong e Aldrin decollassero dalla superficie lunare per tornare a casa.
Il programma Apollo proseguì con altre sei missioni, tutte con destinazione Luna, con grande successo ad eccezione di Apollo 13. Nonostante l’incidente verificatosi a causa del danneggiamento di un serbatoio di ossigeno, i tre astronauti, pur non essendo riusciti a raggiungere il suolo lunare, tornarono sani e salvi sulla terra.
Nonostante il successo del programma e nonostante fossero programmate missioni fino ad Apollo 20, tuttavia con Apollo 17 il programma subì un drastico stop, probabilmente generato dallo scarso interesse di Nixon verso il programma spaziale. Questi e altri decisero una serie di consistenti tagli ai fondi destinati alla corsa allo spazio, viste peraltro le consistenti perdite generate dagli avvenimenti del Vietnam. Furono licenziate diverse persone e fu arrestata la produzione del glorioso quanto funzionale Saturn V e la diminuzione del budget vide sfumare i sogni della Nasa e del programma Apollo.
Da lì la magica e tanto agognata luna veniva “strappata” dalla mente di un’umanità che ormai si era assuefatta a sognarla.
Nonostante ciò, durante gli anni 70 si iniziò a vedere qualcosa che fino ad allora si riteneva impensabile: la fine della corsa allo spazio e l’inizio di una collaborazione fra Stati Uniti e Unione sovietica. Il programma sperimentale Apollo-Sojuz fu la prima missione congiunta tra i due vecchi rivali nel settore dei voli nello spazio. Il 17 luglio 1975 una navicella spaziale del programma Apollo ed una capsula Sojuz si agganciarono nell'orbita intorno alla Terra, consentendo ai due equipaggi di potersi trasferire da una navicella spaziale verso l'altra.
In ogni caso, negli anni seguenti, non si poté certo dormire sugli allori, anche solo per non essere sopraffatti dai russi, che continuavano a perfezionare i loro razzi e con i quali portavano a terra campioni dalla superficie della luna o, peggio, dai cinesi, che cominciavano a entrare a grandi passi nell’astronautica. Fu così che nacque un’alternativa alla Luna, una nuova spinta oltre l’atmosfera terrestre: la stazione spaziale orbitale e i mezzi per raggiungerla.
Lo Shuttle, nato per lo scopo, a dispetto delle grandi aspettative, si rivelò più un fallimento che un successo. Nasceva per essere economico, affidabile, riutilizzabile (caratteristica fondamentale nell’astronautica moderna) ma in realtà il costo di ogni volo si rivelò cento volte più gravoso del previsto.
Le aspettative furono ampiamente deluse, tantopiù che la stazione spaziale, nel frattempo, non mostrava effettiva utilità, soprattutto fra la gente comune, per cui lo scopo dello Shuttle appariva alquanto dubbio. Fra l’altro, neanche le varie missioni delle stazioni spaziali Skylab 1, 2 3 e 4 ebbero tutto il successo sperato, certo resero possibili differenti esperimenti scientifici, ma non portarono un vero progresso nell’astronautica.
Dal fallimento dello shuttle all’astronautica commerciale
Lo shuttle fu impiegato, quindi, per missioni quali lanciare o “catturare” satelliti o come supporto alle stazioni spaziali Skylab. Proprio l’attività di lancio di satelliti privati iniziò ad aprire la strada all’astronautica commerciale in quanto lo shuttle possedeva il monopolio del mercato statunitense per i lanci di satelliti, sia pubblici sia privati, militari o civili.
Infatti, diversi operatori di telecomunicazione internazionali si rivolsero alla NASA per lanciare i propri oggetti spaziali, questo portò al lancio di 24 satelliti commerciali nei primi tre anni di attività della navetta.
Il grave incidente del Challenger, il 28 gennaio 1986, nel quale persero la vita i 7 astronauti dell’equipaggio diede un duro colpo alla carriera dello Shuttle.
L'indagine della Commissione Rogers evidenziò la cattiva gestione del programma da parte della NASA: Il problema che aveva causato l'incidente era già stato identificato prima del lancio ma sottovalutato dai tecnici a causa di un approccio errato all’analisi e di una mancanza di comunicazione tra i vari responsabili. Il rapporto rivelò, inoltre, che i rischi delle missioni erano superiori a quanto stimato.
Questo rapporto modificò pesantemente l'operatività della navetta. Venne, infatti, stabilito che il lancio di satelliti e qualunque altra operazione spaziale che non avesse dovuto disporre di un equipaggio si sarebbe dovuta realizzare mediante lanciatori convenzionali, in modo da non rischiare inutilmente vite umane, cosa ritenuta moralmente inaccettabile per una missione spaziale. Questa scelta comportò la fine della carriera commerciale dello Space Shuttle.
Nel frattempo, i russi, zitti zitti, facevano progressi con le stazioni spaziali, evolvendo i primi progetti delle Saljut 1-7 e realizzando la stazione MIR, parola che in russo significa mondo e pace, considerata come ulteriore successo e prestigio del programma spaziale sovietico. La Mir, lanciata il 20 febbraio 1986, divenne la prima stazione spaziale abitata “perennemente” e funzionante scientificamente, raggiungendo così l'obiettivo per cui fu concepita.
Questa, infatti, poté basarsi sulle stazioni spaziali Saljut e sulle precedenti esperienze ricavate con la loro operatività. La sua struttura infatti venne concepita analogamente. Ovviamente, si poté evitare di commettere numerosi errori e di incappare in diversi inconvenienti, grazie a quanto riscontrato nelle varie missioni che avevano volato verso le Saljut. Si direbbe che i russi da sempre continuano ad affinare le loro “spartane” tecnologie con successo, considerando, fra l’altro, che il razzo che portò Gagarin nello spazio ancora oggi porta i cosmonauti russi e gli astronauti americani sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale).
In ogni caso, vinti gli antichi dissapori, americani e russi hanno continuato a collaborare fino ai giorni nostri, attivando una serie di costruttive collaborazioni anche con l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) che hanno portato, appunto, alla realizzazione della International Space Station, il più grande laboratorio orbitante mai costruito.
Nella Stazione Spaziale Internazionale un gran pezzo d’Italia
L'Italia è uno dei paesi che hanno maggiormente contribuito al programma della Stazione Spaziale Internazionale. Indipendentemente dalla partecipazione dell'ESA, l'Italia ha contribuito alla Stazione Spaziale con i tre moduli polivalenti di logistica MPLM, costruiti dalla Thales Alenia Space per conto dell'Agenzia Spaziale Italiana.
Ancora un’evoluzione nelle motivazioni che spingono l’uomo nello spazio. Questa volta quello che prevale è lo spirito di cooperazione internazionale mirato al progresso scientifico e tecnologico comune.
Ma da circa un decennio a questa parte si è assistito a un grande cambiamento, l’ambiente spaziale non è più solo appannaggio di agenzie nazionali o governative. Diverse società private, infatti, sono entrate nel mondo delle esplorazioni spaziali, e stanno spingendo il settore in avanti in modo più forte e rapido di quanto possano fare i governi da soli.
La corsa allo spazio da parte delle compagnie private
Si potrebbe, dunque, sostenere che si stia avviando una nuova corsa allo spazio dove le compagnie private sono in competizione tra loro e, talora, anche contro quelle governative. Lo scopo potrebbe non essere prettamente quello di raggiungere nuovi obiettivi scientifici o esplorativi, ma semplicemente quello, eticamente opinabile, di accaparrarsi “clienti paganti”.
Fra le società private in lizza per la corsa allo spazio, non si possono non citare Space X, Boeing, Blue Origins e Virgin Galactic che, grazie ai loro visionari e audaci creatori, stanno inanellando una serie di enormi passi avanti. Una su tutte Space X, che da qualche tempo fa la spola fra la terra e la stazione spaziale, trasportando rifornimenti ed equipaggio grazie ai performanti razzi Falcon nelle versioni da Falcon One a Falcon 9 e Falcon Heavy, a seconda del carico da trasportare.
Elon Mask è riuscito in quello in cui gli americani hanno fallito con lo shuttle, quello, di non poco conto, di realizzare dei razzi recuperabili e riutilizzabili. Il video del primo stadio del Falcon che atterra intatto su una piattaforma in pieno oceano ha fatto il giro del mondo.
Il 30 maggio 2020, SpaceX ha lanciato con successo un equipaggio di due astronauti della NASA (Doug Hurley e Bob Behnken) sulla navicella Crew Dragon con la missione denominata Demo-2, rendendo SpaceX la prima azienda privata a inviare astronauti sulla ISS.
Più spazio ai privati per continuare a esplorare e spingersi oltre la luna
La domanda sul perché la NASA acconsenta a tutto ciò, addirittura finanziando alcune di queste società, trova risposta nel fatto che risulta più conveniente demandare ai privati il “semplice” compito di portare uomini e merci nello spazio, per potersi concentrare sul programma di portare ancora oltre l’esplorazione umana: raggiungere nuovamente la Luna e porvi una base permanente e poi portare l’uomo su Marte. Esplorare…
Prossimo passo: portare un uomo e una donna nel polo sud lunare
L’ultimo nato: Artemis, un programma di volo spaziale con equipaggio, in corso, portato avanti principalmente dalla NASA, dalle aziende di voli spaziali commerciali statunitensi e da partner internazionali come l'Agenzia spaziale europea (ESA), la JAXA e la Canadian Space Agency (CSA). Esse hanno l'obiettivo di far sbarcare "la prima donna e il prossimo uomo" sulla Luna, in particolare, nella regione del polo sud lunare, entro il 2024. La NASA vede Artemis come il prossimo passo verso l'obiettivo a lungo termine di stabilire una presenza autosufficiente sulla Luna, gettare le basi per le società private per costruire un'economia lunare e infine mandare gli umani su Marte.
Ecco ritornare nelle menti dell’uomo la luna, quella magica e tanto desiderata meta, sognata oltre un secolo e mezzo fa da quel visionario di Barbicane, ricomincia a farsi spazio nei pensieri, anche se già si sa che non ci si accontenterà solo di essa. Non ci si accontenterà “soltanto” di esplorare, ora si vogliono colonizzare nuovi mondi, magari sfruttandone economicamente le risorse.
Giusto il progresso, ma quali saranno, ora, le motivazioni? Come saranno evoluti e/o modificati moventi dai primi bagliori di curiosità di secoli prima? Se pensiamo di colonizzare e sfruttare altri mondi allo stesso modo di come stiamo facendo con la terra…beh, che Dio ce la mandi buona!
Luigi Maria Tridico - Ingegnere esperto di aeronautica e astronomia