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La scuola è un luogo sicuro: la sospensione sta spazzando via una generazione

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L’ipocondria è il preludio psicoanalitico di una persona con un disturbo narcisistico della personalità, una delle patologie più abituali e dannose della nostra epoca. L’ipocondria diventa poi una potenza di fuoco quando viene istituzionalizzata, quando, cioè, si ricorre alla paura della paura invece di affrontare con coraggio i momenti difficili. 

La pandemia continua a dimostrare la presenza nell’agone decisionale di un’allergia alla responsabilità e alla decisione. Se qualcosa non si riesce a deciderla, se non la si controlla, se diventa più grande da non poterla  sistemare con un semplice rattoppo, allora si chiude. 

Quello che è accaduto nel pomeriggio di ieri nella querelle tra Ente e TAR è una pagina triste non solo per Corigliano-Rossano ma anche per il futuro dei nostri figli. Al di là della mancanza di polso, di ricorrere all’ovvia chiusura e soprassedendo ai commenti festanti di genitori che, con ogni probabilità tra qualche mese (speriamo settimane), saranno gli stessi ad obiettare sulle iniezioni di vaccino ai loro pargoli, ci sono da chiarire delle scomode verità: ogni giorno in più di chiusura delle scuole equivale ad un danno inestimabile alle nuove generazioni. È un approccio rude ma parlano le fonti.

Un rapporto dell’UNICEF ha dichiarato che sospendere le attività didattica è la scelta più sbagliata possibile. Gli studi mostrano che le scuole non sono il canale di diffusione principale della pandemia. Eppure, stiamo assistendo a una tendenza allarmante per cui i governi regionali ed Enti comunali stanno ancora una volta chiudendo le scuole come primo ricorso piuttosto che come ultima risorsa. Lo scandalo sta qui, dare un messaggio ai ragazzi per cui delle scuola si può fare a meno, che se qualcosa va male può essere chiusa, che è un danno e una beffa. Ma tutto questo è diventato normale e non fa più notizia.

Intanto arrivano foto sconcertanti di giovani che invadono piazze principali di Corigliano Rossano. I bambini, per quanto miope sia la visione ipocondriaca della chiusura dura pura, stanno pagando il prezzo più alto a danno del loro benessere fisico e mentale. In città ci sono larghe fette di ragazzini che non possiedono dispositivi informatici a sufficienza, che non hanno internet veloce e che stanno imparando a leggere e scrivere da uno schermo. La pedagogia non si esercita su YouTube, Zoom o Skype, la tecnica (quindi tecnologia) è la distruzione dell’apprendimento scolastico. Chiedere alle maestre quanto sia difficile tutto questo.

Quando una scuola chiude, i bambini rischiano di perdere istruzione, sistemi di supporto, pasti e sicurezza. I bambini più ai margini pagano il prezzo più alto. Lo pagano perché, devono sapere i nostri amministratori, che negli ultimi anni solo il 13,2% dei bambini ha accesso a servizi pubblici offerti dai Comuni, con percentuali che si fermano al 3% per la Calabria, al 4,3% per la Campania e al 6,4% per la Sicilia. A dircelo è un rapporto molto dettagliato di Save the Children di poche settimane fa. 

Il 17 settembre 2020, ancora prima della seconda ondata, il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha affermato che un’ulteriore chiusura delle scuole avrebbe conseguenze devastanti sui bambini, i giovani e la società nel suo complesso. Per questo dovrebbe essere l’ultima spiaggia e, nel caso, una soluzione temporanea da adottare soltanto a livello locale in aree con un’intensa trasmissione di coronavirus. Parlare di scuola come motore del contagio non trova nessuna evidenza scientifica. Lancet, la più rinomata rivista medica mondiale, non prescrive alcuna chiusura degli istituti per fermare l’epidemia. Un dato allarmante arriva da un rapporto dell’accademico Marco Bella secondo cui chiudere le elementari significa far sì che i bambini siano affidati ai nonni e diventare dei veicoli di contagio nei confronti della categoria di persone che più dovremmo proteggere.

Il problema si pone quando non si organizza per tempo il trasporto urbano e a pagarne le conseguenze sono le superiori e non le elementari e medie. Paghiamo il peccato originale di dare tutta la colpa alle scuole e non alle responsabilità che ci stanno intorno. Basta tornare indietro di qualche mese quando denunciavamo, ad una settimana dall’inizio dell’anno scolastico (poi rimandato), la situazione di ritardo nei lavori all’interno degli Istituti cittadini. Ora è troppo facile, troppo semplice come firmare ordinanze che stanno condannando una generazione.

Josef Platarota
Autore: Josef Platarota

Nasce nel 1988 a Cariati. Metà calovetese e metà rossanese, consegue la laurea in Storia e Scienze Storiche all’Università della Calabria. Entra nel mondo del giornalismo nel 2010 seguendo la Rossanese e ha un sogno: scrivere della sua promozione in Serie C. Malgrado tutto, ci crede ancora. Ha scritto per Calabria Ora, Il Garantista, Cronache delle Calabrie, Inter-News, Il Gazzettino della Calabria e Il Meridione si è occupato anche di Cronaca e Attualità. Insegna Lettere negli istituti della provincia di Cosenza. Le sue passioni sono la lettura, la storia, la filosofia, il calcio, gli animali e l’Inter. Ha tre idoli: Sankara, Riquelme e Michael Jordan.