di SAMANTHA TARANTINO Ferrovie. Croce e delizia del Meridione. E pensare che la prima ferrovia italiana fu costruita nel Sud splendente di epoca borbonica, quando il lungimirante re
Ferdinando II permise all’ingegnere
Armando Bayard de la Vingtrie la costruzione della
prima strada ferrata.Il
3 ottobre 1839 venne inaugurata, infatti, la ferrovia
Napoli-Portici, una tratta che, seppur breve, segnò un momento nevralgico per il Regno delle Due Sicilie, una delle grandi potenze europee dell’epoca. Con la legge di riorganizzazione delle ferrovie, nella seconda metà dell’Ottocento, le Ferrovie calabro-sicule iniziarono i lavori di costruzione della ferrovia jonica. Il
3 giugno 1866 venne inaugurato
il primo tratto che da Reggio Calabria proseguiva fino a Taranto, conclusosi nel 1869. Un percorso che fu un nodo cruciale economico e strategico, completato a scaglioni in alcuni anni (Rossano-Cariati 18 giugno 1870; Rossano-Trebisacce 1870; Cariati-Crotone 1874). La costruzione dell’intera tratta
Cosenza-Stazione di Sibari, costruita dal 1876 al 1879, interessò la zona di quella Sibaritide che oggi langue nel deserto delle stazioni abbandonate e delle fermate soppresse. Che strano destino! La storia della ferrovia jonica ha da subito una notevole importanza perché legata al
commercio degli agrumi. Un treno e una tariffa speciale per il trasporto del prezioso bene era fondamentale. La stipula di accordi commerciali con le capitali europee (Francia e Svizzera) e di seguito con l’America favorì il traffico di persone e merci, un trasporto considerato più conveniente e più rapido.
La linea jonica fu per molto tempo l’unico collegamento dall’estremo Sud (e dalla Sicilia) verso il Centro e il Nord della penisola e, «a partire dal 1890, data in cui venne completata la linea Metaponto-Potenza-Battipaglia, l’essenziale collegamento con Napoli e Roma» (
ndr). Dall’Unità d’Italia, di acqua ne è passata e di strada ne è stata fatta. Sì, dappertutto, tranne che dalle nostre parti. Vero è che i tagli alle tratte ferroviarie hanno interessato l’intero stivale, ma se si contano i
caselli abbandonati su alcuni punti del tracciato locale rossanese, si può notare come sono ben lontani i tempi in cui il treno fischiava e si aprivano le porte ai passeggeri che scendevano in stazioni degne di questo nome. La storia ha sempre raccontato di un certo disinteresse nel voler sviluppare collegamenti più agevoli per il Sud. Le zone interne non producevano economia. Le linee che collegavano le città del Meridione al Nord fruttifero sì che, invece, servirono ad agevolare il trasferimento della manodopera meridionale al Nord. Sul
Milano-Crotone, sono saliti tanti indistintamente, dai nonni emigranti in cerca di lavoro agli studenti universitari, ai parenti in trasferta. Oggi, della rassicurante divisa del capostazione non c’è neanche l’ombra, e quella voce che diceva: «Rossano, stazione di Rossano!» resta solo un ricordo d’infanzia. Sono circa
1.900 le stazioni della rete ferroviaria italiana dove il personale non è più presente, comprese le biglietterie, ormai automatizzate con acquisto dei titoli di viaggio. Ma resta, tuttavia, il problema della salvaguardia di un patrimonio da riutilizzare. Sono circa
2mila i km di linee ferroviarie non più attive sul territorio italiano. Il
Gruppo FS Italiane sta concedendo, con contratti di comodato d’uso gratuito alle associazioni e ai comuni per avviare progetti sociali che inglobino lo sviluppo del territorio. Un riuso sociale-ambientale degli spazi grazie alla sottoscrizione di Protocolli d’Intesa tra le Regioni, le cooperative e associazioni e il MiBACT. Delle
3.000 km di linee ferroviarie italiane dismesse, 325 km sono stati destinati a progetti di greenways: piste ciclabili e percorsi verdi accessibili a tutti, riservati alla mobilità dolce, i cosiddetti
Binari verdi. Il Gruppo vuole infatti definire un Piano Nazionale di
greenways, seguendo l’esempio di altre nazioni europee, come la Spagna, con il coinvolgimento delle istituzioni. Nella nostra realtà, ad esempio, si potrebbe proporre l’idea di percorsi verdi che costeggiano i vecchi tratti della ferrovia, immersi nella natura. E se pensiamo ai percorsi montani, be’, qui il discorso si fa ancora più interessante. Da più tempo si sta parlando di ripristino della tratta ferroviaria tra
Camigliatello e San Giovanni in Fiore, il trenino che attraversa paesaggi mozzafiato spesso innevati. L’Associazione Ferrovie in Calabria si sta attivando affinché venga riattivata la tratta. È prossima, infatti, la presentazione di uno studio di fattibilità relativo alla riattivazione della Ferrovia Silana tra Camigliatello e San Giovanni in Fiore per fini turistici e non solo, corredato di una «proposta per un recupero immediato di fondi per l’avvio dei lavori di ripristino della tratta, presentando poi il Protocollo d’Intesa che verrà stipulato con l’Ente Parco, per l’organizzazione di iniziative volte alla riapertura della storica tratta ferroviaria a scartamento ridotto. Seguirà la presentazione delle istanze rivolte alla Regione Calabria e al MiBACT, rispettivamente per l’inserimento della Ferrosilana all’interno della pianificazione POR 2014-2020, e alla salvaguardia della stessa secondo il Disegno di Legge 1178/13». E, intanto, mentre il traffico su gomma aumenta, tra interruzioni e promesse, quello su rotaia è ridotto a lumicino, quello aereo va a singhiozzo e quello marittimo non viene per nulla sfruttato.