Che fine ha fatto l'Elephas Antiquus del Cecita? Storie dimenticate che potrebbero riscrivere la storia della Calabria
C'è un passato "inesplorato" nella Calabria del nord-est. Rilanciare la ricerca (ferma non si sa perché) potrebbe attirare esperti e studiosi e rappresentare un nuovo punto di partenza. La Regione, però, si è disinteressata di questo patrimonio
CORIGLIANO-ROSSANO - Il 17 settembre dell’ormai lontano 2017 venivano scoperti, sulle sponde del lago Cecita in Sila, i resti di un Elephas antiquus, un elefante preistorico, "cugino" del Mammut, dalle zanne lunghe e diritte che visse anche in Calabria fino a 12mila anni fa. Il rinvenimento, che allora fu seguito dai funzionari della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone insieme al Segretariato Regionale del Mibact per la Calabria, al Comune di Spezzano della Sila, al Parco Nazionale della Sila, all’Università degli Studi del Molise e all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, animò il mondo accademico e aprì una serie di nuovi scenari sulla storia della Calabria preistorica.
La possibilità di approfondire, studiare e datare i reperti permise di avviare un progetto di ricerca che prevedeva, oltre al recupero dello scheletro dell’elefante, anche una serie di ricognizioni esplorative lungo le sponde del bacino lacustre (allo scopo di individuare nuovi siti d’interesse paleontologico e archeologico), alcune perlustrazioni dall’alto e, infine, un programma di analisi specialistiche di tipo sedimentologico, archeobotanico e palinologico, tese ad acquisire dati utili per pervenire ad una precisa ricostruzione del paleoambiente.
Il progetto, però, venne stroncato sul nascere e si arenò a causa della mancanza di fondi. Poi non se ne seppe più nulla. Degli scavi successivi si occupò l’Università del Molise con il coordinamento della professoressa Antonella Minelli. I resti dell’Elephas rimangono sotto chiave negli studi dell'ataneo. Questo perché chi doveva finanziare la ricerca (la Regione Calabria in primis) non lo ha fatto. Alcuni studi sui reperti sono stati condotti ugualmente, a spese dell'università molisana, ma ci sarebbe ancora molto lavoro da fare e senza fondi non si può proseguire.
Da allora calò il silenzio e l’interesse verso questa importante scoperta; nessuno si interessò più alla questione che venne trascurata e poi definitivamente dimenticata sia dai media che dagli enti coinvolti nelle ricerche.
Ma la possibilità che dietro questo complesso e suggestivo insieme di scoperte e ricostruzioni si nasconda qualcosa di importante è suffragata dalle recenti ipotesi fatte dall’ingegnere Nilo Domanico durante una spedizione al sito dei Giganti di Pietra dell’Incavallicata di Campana (leggi qui per approfondire).
Anche Giuseppe Intrieri, in un articolo apparso su National Geographic, collegava i due siti parlando dell’elefante come di «una scoperta notevole anche alla luce del possibile collegamento con alcuni megaliti situati non molto distanti dal lago Cecita: vicino all’abitato di Campana, a cavallo fra il Mar Jonio e la Sila, si stagliano infatti due imponenti strutture di pietra che a parere di diversi studiosi sarebbero il risultato di scalfittura di tipo antropico. In particolare una delle due supposte sculture mostra le sembianze di un elefante dalle zanne dritte, con ogni probabilità proprio Elephas antiquus».
A completare il quadro, tutta una serie di evidenze archeologiche che testimoniano la presenza di attività umane nel Parco Nazionale del Pollino durante la fine del Paleolitico, nel Mesolitico e nel Neolitico. Tra queste, il ritrovamento nel 1984, nel comune lucano di Rotonda, di uno scheletro quasi completo di Palaeoloxodon antiquus (detto anche Elefante dalle zanne dritte).
Sicuramente il rischio di suggestioni in questi casi è molto alto. Il problema, però, è che i resti di questo importante ritrovamento giacciono fermi nei depositi del dipartimento di ricerca dell’Università del Molise, con il rischio che vengano definitivamente dimenticati.
Un ritrovamento del genere non può e non deve cadere nell’oblio generale. L’attenzione e l’eco che potrebbero tenere viva l’attenzione su questa parte di storia e di studi, che precedono l’epoca magnogreca e che meritano parimenti l’interesse di tutti, va assolutamente foraggiata.