Un'antica leggenda sui fichi lega la Famiglia di Nazareth alla Calabria
Il consumo di questo frutto dolcissimo presente sulle nostre tavole durante le festività natalizie è legato ad un momento emblematico della vita di Gesù Bambino: quando fu costretto a fuggire in Egitto con Maria e Giuseppe

CORIGLIANO-ROSSANO - Il fico è l’albero sacro per eccellenza. Presente nelle sacre scritture e nei racconti di diverse religioni è diffusissimo in tutti i paesi che affacciano sul Mediterraneo.
Nella cultura ebraico-cristiana l’albero del fico è legato soprattutto al racconto della Genesi in cui rappresenta l’Albero della conoscenza del Bene e del Male, uno degli alberi più importanti dopo l’Albero della vita. Ancora, nella tradizione rabbinica il fico è il frutto dello spirito, che infonde sicurezza e rinfranca l’anima. Infatti, sotto la sua ombra ci si riuniva per studiare e leggere la Torah.
Simbolo dell'amore materno, della luce, della forza, dell'immortalità e dell’abbondanza continua ad essere ancora oggi circondato da un’aura mistica. Anche nella cultura buddhista e islamica esiste un legame tra l’albero e la rivelazione (o conoscenza): Buddha avrebbe ricevuto l'illuminazione sotto un fico mentre il profeta Muhammad (Maometto) parlò per la prima volta sotto un fico, chiamato da allora anche l’Albero del Cielo.
Di forte ricchezza simbolica, prima fra tutte quelle della fertilità e della fecondità, il frutto assume nell'antichità classica, una valenza erotica. Dedicato ad Atena e a Dionisio, che era il dio della vegetazione, poi dell'estasi, del vino, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi, è associato anche alla pratica la sicomazia, un metodo di divinazione che avveniva attraverso le foglie dell'albero.
In epoca romana lo ritroviamo nel racconto della nascita della città eterna: il famoso cesto nel quale erano stati abbondonati Romolo e Remo, prima di essere trovati dalla lupa, si fermò miracolosamente sotto un albero di fico lungo il Tevere. Inoltre, i romani usavano regalare a Capodanno, esattamente come facciamo noi ancora oggi, fichi e miele.
La Calabria, così come molte altre regioni meridionali e del mediterraneo, ha vissuto ed assorbito molte di queste credenze che nel tempo si sono sedimentate e hanno dato vita alle tradizioni che tutti noi conosciamo e che ancora resistono dopo secoli. Piantato davanti alle case e ai templi, perché considerato di buon auspicio, i suoi frutti rimasero per lungo tempo la base dell’alimentazione di tutta la popolazione.
Una famosa leggenda calabrese narra che Maria, Giuseppe e Gesù, mentre erano in fuga verso l’Egitto per scampare alla strage degli innocenti ordinata dal Re Erode, decisero di trascorrere la notte sotto un albero di fico poiché non trovarono riparo altrove. L’Albero, appena vide la Sacra Famiglia, allungò i rami e allargò le foglie fino a nasconderli completamente agli occhi dei soldati del Re. La mattina seguente la Madonna uscì dal verde nascondiglio e rivolgendosi all’albero di fico disse: «Che tu sia benedetto, o fico. Per due volte all’anno darai i frutti più dolci della terra».
Da allora, all’inizio e alla fine dell’estate il fico dona i suoi dolci frutti e i calabresi, in ricordo di questa antica leggenda, li fanno seccare al sole e li consumano a Natale per celebrare la nascita di Cristo.