Due papi o sede vacante?
Lo scorso 28 novembre è andata in scena, al teatro Metropol di Co-Ro, la commedia "I due Papi". Un'opera che racconta un evento epocale della storia recente, tra riflessioni suscitate e i quesiti aperti
CORIGLIANO-ROSSANO - Martedì 28 Novembre si è tenuta la seconda opera di prosa della nuova stagione teatrale, al cinema – teatro Metropol di Corigliano-Rossano, con “I due papi”, regia di Giancarlo Nicoletti.
Si decide, dunque, di volare alto, con uno spettacolo che approfondisce una questione essenziale per il diritto canonico e poco considerata dalla collettività, per lo meno quella parte più distratta. Con i bravissimi attori Giorgio Colangeli (Ratzinger) e Mariano Rigillo (Bergoglio) si tratteggia un caso più unico che raro nella storia ecclesiastica della cristianità.
Il fatto storico è risaputo; circa una decade fa, Ratzinger, al secolo papa Benedetto XVI, sbalordiva il mondo con le sue dimissioni, le prime dopo più di sette secoli. Veniva eletto Papa Francesco.
Al di là della notizia in sé (pur importantissima) la vera questione riposa sulle motivazioni che abbiano spinto Benedetto XVI a dimettersi, poiché, diciamolo, il papa non è l’amministratore delegato di una società, ma il capo della Chiesa cattolica nel mondo.
Tale circostanza, evidentemente non di poco conto, imporrebbe ad un papa, pur in condizioni pessime di salute, di abbracciare la croce e bere fino in fondo l’amaro calice. Siamo arrivati, invece alla stranezza di avere due papi, uno effettivo e l’altro emerito.
Le teorie che si sono succedute, per motivare ciò, non hanno nemmeno risparmiato l’ipotesi che la decisione di eleggere un nuovo papa avrebbe fondamento nel fatto che alcuni potenti cardinali abbiano preferito un altro pontefice più vicino alle loro idee.
A parere di chi scrive, questa ipotesi non appare del tutto peregrina, del resto, la differenza tra i due Pontefici è chiara a tutti: grande teologo e teso verso il trascendente il primo, abile politico e ben poco spirituale e identitario il secondo.
La prosa cerca di fornire un quadro della vicenda sviluppandosi in due tempi. Nella prima parte, ognuno dei due protagonisti ci viene offerto singolarmente, in un ambito quasi intimista, quasi a farsi toccare con mano dalla comunità che si riconosce nella fede. Nella seconda parte, invece, i due leader sono a confronto, ciascuno con la propria visione della fede, in un dialogo che parte sì dalla teologia per poi scendere ad un livello più terreno che rivela, tra le righe, il taglio dell’opera nettamente di preferenza bergogliano.
L’opera è di ampio respiro e di livello culturale certamente elevato e stimola ad approfondimenti non banali. Occorrerebbe operare un lavoro di raccolta e approfondimento, infatti, delle uscite pubbliche dell’attuale Pontefice dal giorno della sua elezione per avere un quadro più completo dell’opera bergogliana, tutta tesa ad una umanizzazione di Cristo. Basterebbe, a questo proposito, leggere la sua enciclica Fratelli tutti, per avere una idea più competente sulla linea molto sociale e poco spirituale dell’attuale pontefice.
A questo proposito chi scrive avverte la necessità di operare una considerazione personale in merito. Il cristianesimo, nel quadro di questa nuova Europa in preda alla teofobia, è sì accettato nella sfera pubblica, ma solo a condizione di una previa neutralizzazione del suo richiamo ontologico alla trascendenza; deve, cioè, negare sé stesso, ridefinendosi come mero fenomeno di costume con riflessi sociali ma privo di uno sbocco verso il divino.
La rappresentazione si conclude con il saluto del nuovo papa dalla loggia di San Pietro, il 13 marzo 2013, quando esclamò “fratelli e sorelle buona sera!”, formula laicissima con la quale rinunciava alla tradizionale formula “Sia lodato Gesù Cristo”. Né deve essere dimenticato che, sempre in quell’occasione, rinunciò ad impartire la tradizionale benedizione apostolica.
Rimane in sottofondo una domanda a cui l’opera non fornisce risposta. Perché mai il trascendente Ratzinger ha scelto di accettare queste strane dimissioni, dal momento che, essendo pontifex, non poteva rinunciare al proprio ufficio?
Secondo una teoria interessante, Ratzinger non abbandonava la croce, ma solo il suo ruolo di pastore della cristianità. Egli, dunque, si dimise non perché non sia più certo della giustezza della propria lotta culturale e spirituale, ma perché non fosse più in grado di contenere le potenze materialiste all’interno della Chiesa stessa. In tal modo avrebbe potuto dedicarsi all’indottrinamento ed alla preparazione dei un ristretto gruppo di resistenti all’interno del sacro tempio. Pertanto, quella di Ratzinger potrebbe anche non essere stata una sconfitta, ma un estremo tentativo di difesa del cristianesimo, al cospetto della sua evaporazione ad opera delle forse relativiste e nichiliste all’interno del Vaticano.
Ma se così è, allora Ratzinger sarebbe rimasto papa nella sostanza ed ora che è passato a miglior vita, non solo non avremmo due papi ma vi sarebbe addirittura sede vacante.
Naturalmente il discorso richiederebbe maggiori approfondimenti teologici ma riteniamo di essere grati all’organizzazione teatrale per averci permesso questo spunto di riflessione, di grandissimo spessore, innalzando notevolmente il livello culturale dell’offerta alla cittadinanza.
di Francesco Russo
fonte foto: fondazioneteatropirandello.it