Perché non intitolare il nuovo tribunale di Co-Ro a Giuseppe Toscano Mandatoriccio?
La proposta dello storico Carlino chiude questa seconda parte della biografia dedicata al sommo giureconsulto rossanese, la cui fama e nobiltà d’animo si affermarono in tutta Europa
Giuseppe Toscano Mandatoriccio nonostante la sua raggiunta celebrità come avvocato e come giurista, rimase staccato dalle formazioni partitiche e dalle cospirazioni politiche, che in quel periodo affliggevano soprattutto Napoli capitale del Regno per le smoderatezze di re Ferdinando.
La sua fama, il suo nome, emblema anche di nobiltà d’animo e di dignità ben presto si diffusero anche oltre le frontiera sino ad affermarsi, in tutta l’Europa.
L’opera integrale, come ci ricorda Mario Rizzo studioso del luogo, si compone «di cinque grossi volumi stampati dal 1767 al 1780, opera che ebbe l’onore di essere recensita e lodata dal “Journal universal et litteraire d’Europe-Paris” e che fu ritenuta così pregevole da diventare testo di studio di alcune Università tedesche. […] Il Toscano non trafficò mai la sua scrupolosa coscienza, non si lasciò accecare dall’avarizia e dall’ambizione. E quando il re Ferdinando gli offrì un posto elevatissimo nella magistratura, Egli lo rifiutò. Appartenente ad una famiglia patrizia, preferì le aspre lotte di pensiero agli ozi tranquilli di una vita molle e agiata. Visse in mezzo agli studi nella familiarità di pochi: fu amico del Tanucci e degli altri uomini insigni che si trovavano, allora, a Napoli»6.
Non deve sembrare sproporzionato il parere che sul Toscano avevano, come si è potuto leggere, molti suoi famosi coevi, poiché sulla fama e la stima che godeva Giuseppe Toscano Mandatoriccio, come bravo e competente avvocato, molto ricercato per la sua prosa, non sono mancate da più parti note di lode e di riconoscimento come quella espressa dall’avvocato Francesco Mordenti che le ha addirittura dedicato una sua pubblicazione dalla quale è stato estrapolato il seguente passo: «Caduto il Tanucci, Ferdinando, successore di Carlo III, diventò ferocemente reazionario e tirannico, ed i cultori della scienza e della libertà in Italia, incominciarono a spargere il loro sangue per esse ai piedi dei Borboni. Sotto gli occhi del Toscano il Tanucci aveva fatto tentativi di riforme per riordinare il Reame che era tanto sottosopra. Il Toscano discepolo ed amico del Cirillo del Macciucca, e del Patrizi, da essi consigliato e diretto nei suoi studi, continuò a lavorare per quel riordinamento civile che quei giureconsulti non avevano potuto fare. Egli raccolse tutto il suo animo negli studi giuridici e specialmente nel diritto romano, e nel diritto canonico, mettendo in pratica in tutti gli atti della sua vita come difensore, giureconsulto, e pubblicista i principii di giustizia e di onestà, combattendo con la parola e con gli scritti, i funesti errori ed applicando costantemente l’antica massima: deceptis et non decipientibus iura subveniunt. Il Toscano fu uno dei primi campioni della scuola formata da quei Napoletani pratici e profondi che insieme ai Milanesi, si dedicarono agli studi legislativi, tentando le riforme civili per mezzo della scienza. Egli, come il Genovesi ed il Verri combatteva la filosofia scolastica, era com’essi spinto a far ciò da sentimenti umanitari, faceva com’essi sentire che erano indispensabili larghe riforme economiche e sociali, chiedendo la soppressione dei privilegi che godevano i preti ed i feudatari, proponendo in tal modo l’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge»7.
E furono in tanti a scrivere di lui. Nel corso della ricerca rovistando tra alcune immagini e trafiletti mi è capitato tra le mani copia di un articolo, dal quale non si evince il nome dell’autore, pubblicato, però secondo la nota di M. Massoni, a Buenos Aires, nel 1913, dal giornale Pro Rossano, nel quale a proposito del Nostro esperto di diritto rossanese, in un breve passaggio, così veniva riportato: «Giuseppe Toscano Mandatoriccio (1721-1806) - In tempi a noi più vicini, la stessa famiglia fu illustrata da altri nomi generosi, che sacrificarono alla patria tesori inestimabili di mente e di cuore; ma nessuno però assorse all’altezza di quel «Giuseppe Toscano Mandatoriccio», che con Gravina e con Vico forma per l’Italia Meridionale, la trinità luminosa del pensiero giuridico e politico durante il ruinoso periodo del Settecento. Con lui lo studio del diritto, uscito fuori della casuistica pedissequa del Bartolo e del Cipolla e rivendicato in parte dagli sforzi del Cirillo, del Macciucca e del Patrizi, che iniziarono una vera scuola napolitana, ritornò alle fonti genuine della legislazione romana e proruppe in un gettito gagliardo di critica e di sintesi filosofica. E la sua figura è tanto più gloriosa, in quanto, vissuto al contatto del governo veramente rinnovatore del Tanucci sotto Carlo III e dell’esegesi storica ed antiscolastica di Pietro Giannone, egli ha suggellato nelle sue opere e precorse quasi con un intuito e spirito laico le nuove affermazioni dei rapporti tra Chiesa e Stato. Tuttavia, parlando di codesto insigne Giurista, non dobbiamo dimenticare che Rossano ebbe già una lunga tradizione di fama nel campo degli studi giuridici. Un Maestro Dino, di cui non si è potuto sapere nulla circa la famiglia, fiorì verso l’anno 1390 nello Studio di Bologna e scrisse completamente di diritto civile, lasciando un commento alle Pandette giustinianee noto agli studiosi col nome di De regulis iuris. Così altri dotti rossanesi, don Giacinto Camporota, vissuto intono al 1600 e don Francesco Pane, contemporaneo del Toscano, furono giureconsulti di grido, massime in materia di diritto privato; ed ancora Francesco Caracciolo, che scrisse valorosamente di legislazione penale, intuendo con spirito affatto geniale non poche di quelle verità, che poi il Beccaria lasciò all’attenzione dotta dei corifei della scuola classica. […] Di questo nostro sommo Pensatore però noi, lungi dal tratteggiare la sua figura privata, il che ci porterebbe fuori i limiti imprescindibili di un articolo, dobbiamo dire quanto è in rapporto alla sua opera massima, che, obliata da noi, ancora è in onore nelle Facoltà Giuridiche della Germania.
Giuseppe Toscano, non è inutile ripeterlo, si ricollega alla scuola storica del diritto, che splendette in Italia, con l’Alciati, con il Cuiacio, con l’Irnerio, ecc. e che, suggellata dal nostro Gravina e da G. B. Vico, onorò il pensiero europeo prima che s’affermassero oltre le Alpi i seguaci di Hagel, il Savigny, l’Eichhorn, il Goeschel e finalmente Teodoro Momsen. La sua opera «De Causis Romani Iuris», oltre ad essere un vero e proprio trattato di diritto pubblico, è un monumento insuperabile di critica storica e filosofica. Le affermazioni politiche, come quelle ecclesiastiche, vi sono dettate con un acume e con esuberanza tale di dottrina, da rendere quasi evidenti le cause e i fattori del fenomeno giuridico. L’Autore infatti, mentre dà uno sguardo sintetico allo sviluppo del diritto romano sino all’epoca giustinianea, non dimentica di far osservare che la filosofia e la storia hanno una grande importanza in codesta esegesi, massime la filosofia storica e la storia delle varie costituzioni da quelle elleniche di Licurgo e di Solone a quelle latine di Romolo e di Numa che prelusero tutte e dettero origine alla costituzione democratica della Roma repubblicana. Quindi si addentra nello studio particolare delle varie leggi sino alla loro definitiva raccolta, e ne ricerca la ratio iuris con il suffragio e l’aiuto di tutte le scienze, allora esistenti. Per lui, così, il fenomeno giuridico esiste in quanto v’è una lotta di classi, la quale spinge i cittadini al raggiungimento di una data libertà o rivendicazione politica; ed è appunto per questa lotta tenace fra patrizi e plebei, che è nato il diritto romano, conservatore per istinto, come egli osa con perspicacia affermare. Inoltre egli afferma che solo quando le garanzie della legge sono indiscutibili e si è formato un vero diritto interno può avere ragione di esistere una politica imperialistica, al modo stesso dei Romani che suggellarono prima d’espandere le loro conquiste una vera e propria dichiarazione dei diritti del popolo. S’arresta qui a studiare le differenze tra ius-urbanus e ius-gentium e tra gli editti del praetor peregrinus e quelle del preator civilis, facendo vedere che la grandezza del diritto romano e dell’impero in genere fu possibile, solo perché le nazioni straniere furono escluse dal primitivo diritto nazionale.
Ma dove il Toscano riuscì veramente geniale, fu proprio nel rilevare i rapporti tra Chiesa e Stato, notandone l’evoluzione, i principi e le cause. Egli dice prima di tutto che il potere della Chiesa sorse per opera dello Stato, e che quest’ultimo è di gran lunga superiore all’autorità ecclesiastica, sia per il consolidamento politico del Popolo, che per la tutela civile dei cittadini. E con grande coraggio mette avanti le degenerazioni del clero e della chiesa, rilevandone i fattori primordiali nelle usurpazioni e nei maneggi affaristici, che debilitarono l’interesse religioso e spirituale a vantaggio di quello temporale. Non si vede qua un seguace ed un amministratore del Giannone?
Toscano scrisse la sua opera in 20 anni: ne pubblicò i primi fascicoli nel 1767 e gli ultimi nel 1780; e al suo apparire unanime fu l’elogio al pensatore insigne.
Scrisse di lui con entusiastiche parole il Capialbi nella Biografia degli Uomini illustri del Regno di Napoli, tomo XVI, Napoli 1829. Ne parlarono anche il Napoli-Signorelli nelle Vicende della Cultura delle due Sicilie e il Giustiniani nelle Memorie istoriche degli Scrittori legali del Regno.
Narra il Capialbi che grande ammiratore del Toscano fu il dotto archeologo Martorelli, il quale «parco nel lodare altrui, alla di cui revisione passò quell’opera, l’encomiò a cielo», e l’altro censore, Carlo Gagliardi, asserì che in essa: -undique splendet elegantia sermonis, rerum ubertas et orlo et multigena erudito- (dappertutto splende eleganza di dire, ricchezza di notizie ed ordinata e molteplice erudizione). […]»8.
Sulla fama e la stima che godeva Giuseppe Toscano Mandatoriccio, così come finora argomentato, non sono mancate, da più parti, note di lode e di riconoscimento come quelle espresse nel tempo al riguardo dai numerosi autori attraverso le diverse note biografiche a lui dedicate, con la ricostruzione letteraria della sua vita e l’ampia bibliografia di opere, saggi, articoli elaborati. Pertanto, così come acclamato dalla vasta platea degli storici, credo che Giuseppe Toscano Mandatoriccio, il quale, ancora oggi continua a godere della grande considerazione della gente, a giusta ragione, debba essere ritenuto il più illustre figlio di Rossano.
Giuseppe Toscano Mandatoriccio, il filosofo e giureconsulto sommo, come definito da Domenico Camporota9, noto nella repubblica letteraria per la sua celebre opera pubblicata in sette Tomi, come riportato da Francesco Sacco10, animatore, sulle orme del Genovesi, di quell’illuminismo napoletano improntato non ad astratte teorie, ma alla concretezza, come scriveva Giovanni Sapia11, il grande giureconsulto, l’uomo del principio secondo il quale le leggi aiutano le persone che sono ingannate e non quelle che ingannano, l’uomo spinto sempre dall’amore per la giustizia e la verità, fermo nell’evidenziare l’immoralità e il degrado sociale, autentico fautore della libertà di pensiero, strenuo paladino delle classi più emarginate e oppresse, che aveva sempre cercato di difendere da una società corrotta e prepotente nella quale si annidavano con spudoratezza l’ingordigia e l’inganno attraverso la coerenza del suo comportamento e la rettitudine, nel 1804 in Napoli veniva colpito da apoplessia. Sostenuto dalle amorevoli attenzioni e cure del nipote Gaetano rientrava a Rossano, sua città natale, dove cessava di vivere il 4 luglio del 1806, all’età di 73 anni.
La sua dipartita suscitò il dolore collettivo della città per la perdita di una persona che lasciò ottima memoria di sé anche nell’ambiente dell’avvocatura napoletana dove fu sempre stimato, ammirato e apprezzato per le sue grandi doti. Fu per tutti esempio morale e operoso da imitare, tanto che il suo passato, come memoria storica, continua a far parte della nostra realtà quotidiana.
In conclusione, scriveva l’autore dell’articolo e anonimo giornalista della Pro Rossano, quello che più stupisce sul personaggio di Giuseppe, è come il Nostro è stato considerato, tanto che nel chiudere il suo articolo così compilava: «Tanto nomini nullum par elogium»: solo deploriamo che in così grande gazzarra di monumenti e di lapidi, che caratterizza l’Italia moderna, Rossano non abbia trovato né il tempo né il luogo di ricordare con un segno di riverenza e d’affetto un così celebre suo figlio!». Nel condividere pienamente il pensiero di chi mi ha preceduto circa 110 anni fa, credo forse sia giunto il momento che la politica tutta della città facesse una riflessione vera sul valore del nostro concittadino al quale, se mi posso permettere e nella speranza che tutto accada positivamente, come pare stia avvenendo secondo alcuni titolati del luogo la prospettata e prossima apertura del Tribunale della Città Corigliano-Rossano, di intitolarlo a Giuseppe Toscano Mandatoriccio, o in alternativa un luogo degno che ne ricordi il suo nome.
Bibliografia
6 M. RIZZO, Rossano, Persone - Personaggi e Curiosità…, Edizioni Libreria Manzoni, Rossano MCMXCV, p. 136.
7 F. MORDENTI, Appunti biografici e critici sulla vita e sulle opere di Giuseppe Toscano-Mandatoriccio Giureconsulto Rossanese, Piccitto & Antoci, Ragusa 1886, pp. 44-45.
8 Articolo anonimo, Giuseppe Toscano Mandatoriccio (1721-1806), in Pro Rossano prima e seconda pagina, Buenos Aires 1913, in archivio privato M. M.
9 D. CAMPOROTA, Corona Calabra o vero titoli storico-onorari a illustri calabresi, Fratelli Romano Stamperia, Napoli, 1861.
10 F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli, Vincenzo Flauto, Napoli 1796.
11 G. SAPIA, Leggendo «Mandatoriccio – Storia di un Feudo» di Franco Emilio Carlino, La Voce, Anno XXI, N. 1 gennaio 2017.
Per leggere la prima parte della biografia, intitolata "Giuseppe Toscano Mandatoriccio, il sommo giureconsulto rossanese ammirato e stimato da Federico II di Prussia" clicca qui