La vera storia di Benedetto Senidega, il Papa rossanese con il nome di Giovanni VII
La città bizantina diede i natali a Benedetto, persona «molto colta e con una forza di persuasione ed efficacia non comuni». In questa prima parte della biografia scopriremo “La sua relazione con i Longobardi”
Dopo il disegno imperialista dell’Imperatore bizantino Giustiniano I, noto come Renovatio Imperii, indirizzato a riprendere le diverse regioni del caduto Impero Romano d’Occidente, allo scopo di restituirle al loro antico fasto e amministrate da un solo Imperatore, con capitale Costantinopoli, non mancarono i funzionari appartenenti alla nobiltà bizantina trasferitisi in Italia e quindi anche nella signorile e splendida città di Rossano, centro importante dell’Impero Bizantino, terra di civiltà e autorità politica, molto rinomata e riconosciuta nella storia religiosa per la misticità del suo territorio.
Tra i funzionari bizantini troviamo anche il padre di Benedetto Senidega, che poi divenne il Papa, rossanese, col nome di Giovanni VII. Il padre, infatti, era “il funzionario che sovrintendeva ai lavori di restauro del palazzo imperiale del Palatino, divenuto sede del governatore”1.
Di origini greche, secondo quanto ci riporta Luigi Andrea Berto2, apprendiamo che la madre di Giovanni si chiamava Blatta, mentre il nome di suo padre era Platone. Giovanni fu una persona molto colta e fornita di grande capacità di parola e conoscenza della lingua, congiunte a una forza di persuasione ed efficacia non comuni. Per la sua concretezza artistica e l’interesse per l’arte, confermate anche dall’aver fatto affrescare molte chiese, fu rettore dei possedimenti monumentali, artistici e culturali e delle numerosissime bellezze presenti lungo la via Appia, la strada sicuramente più importante dell’antica Roma. Fu un pontefice certamente di origini orientali, ma con un interessante e durevole impegno al servizio della Chiesa cattolica prima della sua elezione sulla cattedra di S. Pietro avvenuta il 1° del mese di marzo dell’anno 705. Pertanto, credo non si può dire che il nostro, Benedetto, appartenga a quella schiera di pontefici arrivati dall’Oriente, spesso designati dagli stessi sovrani allo scopo di essere compiacenti con la loro scelta nel campo della religione. Al riguardo interessante e utile è il richiamo di L. Accattatis, che nella sua opera, riprendendo il pensiero del Muratori, così riporta: «Dacché miriamo (osserva il dottissimo Abate Muratori) tanti Greci posti nella sedia di San Pietro, possiam ben credere, che gli Esarchi ed altri uffiziali Cesarei facessero de’ maneggi gagliardi per far cadere l’elezione in persona della lor nazione; il che nulladimeno nulla nocque all’onore della santa Sede, perché questi Greci ancora fatti Papi sostennero sempre la vera dottrina della Chiesa, né si lasciarono punto smuovere dal diritto cammino per le minacce de’ greci Imperatori»3.
Ma chi era veramente Papa Giovanni VII (705-707) nato a Rossano che nel corso del suo pontificato per un certo intervallo di tempo traslocò nella residenza imperiale del Palatino fatta costruire da Tiberio, abbandonando di fatto il vescovado lateranense? Secondo una vasta parte di critica storiografica tale trasferimento rappresentò un valore politico dimostrativo di enorme importanza, poiché Giovanni VII con questo suo cambiamento di residenza si poneva manifestamente sotto il protettorato politico e militare dell’esarca bizantino.
Le motivazioni di siffatta azione, credo debbano ricercarsi verosimilmente nella volontà dello stesso Giovanni VII di appoggiare intenzionalmente i Bizantini non tanto per individuale simpatia, ma preferibilmente perché aveva capito di non poter contrastare Giustiniano II, benché pungenti erano in quel momento le opinioni di un vasto contesto e malgrado gli ottimi legami con i Longobardi, che a dire il vero non gli procurarono alcun grattacapo, cosa che, diversamente, era successo a Giovanni VI, suo predecessore, anch’egli di origine greca, quando Gisulfo, duca longobardo di Benevento riuscì a sottrarre buona parte del Lazio meridionale, portandosi così con il suo esercito quasi alle porte della città di Roma.
Un altro episodio che conferma i buoni rapporti tra Giovanni VII e i Longobardi, fu la risposta positiva a Faroaldo II, duca di Spoleto, che lo sollecitò al mantenimento dei beni della famosa abbazia di S. Maria di Farfa, in provincia di Rieti edificata nel 680 dal franco, Tommaso di Moriana, e quindi sotto la salvaguardia dei Longobardi, segnale tangibile di quanta autorità veniva riconosciuta a questo papa rossanese da Faroaldo II.
La circostanza, però, che maggiormente sottolinea i favorevoli e concreti confronti tra Giovanni VII e lo Stato Longobardo è raffigurata dalla concessione fatta dal re Ariperto II alla Chiesa di Roma. Si trattò di un attestato, con il quale alla Chiesa si riconosceva la proprietà del patrimonio delle Alpi Cozie, precedentemente conquistate dal suo precursore Rotari, duca di Brescia che consolidò il suo potere in opposizione alle pressioni separatiste, allargando così le sue occupazioni sui territori di Bisanzio. Un gesto, quello di Ariperto II, dal quale si intravide il proseguimento di una politica filocattolica unitamente alla ricerca e alla volontà di rafforzare l’amicizia e l’intesa cordiale non solo col Papa, ma anche con Bisanzio, se pure in quella particolare congiuntura, questa era stretta da un’evidente crisi che screditava l’Impero e avviava le province italiane verso una più consistente autonomia; un modo anche, se pure indirettamente, di affermare l’atto della precedente usurpazione del territorio da parte dei Longobardi.
BIBLIOGRAFIA
1 http://wwwbisanzioit.blogspot.it/2012/05/loratorio-di-giovanni-VII.html
2 A. Berto, Enciclopedia dei Papi 2000, in http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-VII_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/
3 L. Accattatis, Le Biografie…, Vol. I, p. 52, cit. p. 12.