La "Fossa della Neve", quando la stagione invernale era motivo di lavoro e guadagno
La storie del prof Giulio Iudicissa riavvolge il nastro del tempo di oltre un secolo e arriva fino a Piana Caruso dove i montanari raccoglievano la neve per poi rivenderla d'estate
di Giulio Iudicissa
La neve non fu mai un fatto climatico eccezionale a Corigliano, ma neanche fu frequente. Quando cadde, recò, dunque, un qualche disagio ed un po' d'allegria.
Per la zona collinare, però, sopra il Piano di Caruso, essa rappresentò in passato, almeno fino alla prima metà del Novecento, materia di lavoro e di guadagno per non pochi montanari. Ci fu, insomma, una piccola industria della neve, fondamentalmente a gestione familiare, ma con impiego anche di manodopera esterna per taluni compiti.
Il tutto aveva inizio col raccoglierla in fosse ampie e profonde, appositamente scavate in aree poco o per niente esposte al sole e alle correnti. Ben pressata, poi, per impedire infiltrazioni d'aria, si provvedeva a ricoprirla con uno strato di paglia o di felci, con sopra un altro strato di sale ed un altro di terra. Un manto di rami completava la copertura, rendendo il deposito sotto vuoto.
D'estate, quella neve, sollevato lo strato protettivo, veniva tagliata a pezzi e, in cesti ben capienti, trasportata in paese a dorso di mulo. La si poteva acquistare, così, al minuto, un soldo al pezzo, presso i tanti fruttivendoli del luogo, per farne l'uso più adatto ai gusti e alle possibilità delle famiglie, in tempo in cui ancora non c'erano refrigeratori e congelatori.
C'è un posto, a circa dieci chilometri dal paese ed a mille metri d'altezza, in contrada Cozzo Domenichella, che conserva nel nome questa antica attività: si chiama "Fossa della neve".